Le molteplici dimensioni di Ai Weiwei
Quando Elena Ochoa Foster aprì il suo spazio espositivo a Madrid, mi invitò a lavorare con lei e la Ivory Press a un libro su Ai Weiwei. Doveva mostrare tutte le sfaccettature della sua complessa attività. Per questo motivo, il titolo Ways Beyond Art è un omaggio a Il superamento dell’«arte» di Alexander Dorner. Visionario curatore tedesco, Dorner fu direttore del Landes Museum di Hannover negli anni venti e trenta del Novecento. Scrisse in esilio Il superamento dell’«arte», e in esso sosteneva che per capire le forze che stanno alla base della creazione artistica fosse necessario analizzare il contesto più ampio in cui nasce l’opera, dal punto di vista scientifico, letterario, architettonico e così via. L’opera di Ai Weiwei si nutre esattamente di tutti questi elementi. Volevamo creare un libro che, per la prima volta, riunisse tutti gli aspetti dell’opera di Ai Weiwei: nell’intervista che segue si tenta, dunque, di cogliere le molteplici dimensioni della sua espressione artistica.
HANS ULRICH OBRIST
Possiamo parlare dei tuoi disegni, del loro rapporto con le tue installazioni e le tue opere architettoniche? Ho pensato che potesse essere interessante pubblicarne una serie in questo catalogo, per darne un’idea.
AI WEIWEI
L’idea di partenza è sempre seguita da un disegno, che però spesso non conservo; la maggior parte di questi disegni la butto via. Ne ho ancora alcuni, di progetti architettonici o installazioni, e anche qualche modello. Abbiamo tutti i disegni delle grandi installazioni, ma a volte utilizzo i modelli al posto dei disegni. Alcuni disegni sono stati realizzati addirittura dopo il progetto. Ovvio, qualche schizzo l’abbiamo fatto prima, ma alcuni anche dopo. Per ogni installazione facciamo moltissimi disegni al computer. Una persona sola ci impiegherebbe più di un anno a fare tutti i disegni, perché il procedimento è molto complicato. Trovo molto interessanti i disegni al computer, perché sono precisi e dettagliati. Ho fatto un libro di frammenti di tutti i miei disegni.
HUO
Quindi esiste un libro dei tuoi disegni?
AWW
Solo di un progetto: Fragments (Frammenti, 2005). Contiene più di cento disegni. L’installazione è composta da centosettantaquattro elementi, di ogni elemento vi sono disegni della vista frontale e delle sezioni. Chiunque, utilizzando questi disegni, potrebbe riprodurre l’oggetto alla perfezione.
HUO
Cioè, potrebbe essere usato come un manuale?
AWW
Sì, esattamente.
HUO
Ci sono due tipi di disegni, a mano e al computer. Tu continui a disegnare a mano?
AWW
Sì, perché nel disegno a mano c’è più sentimento, è una specie di classico. Non si può eliminare. Tantissimi artisti apprezzano questa qualità. Ogni volta che si crea un progetto, occorre fare diversi disegni per discuterne con l’équipe. Anche per illustrare un progetto ancora in fase di definizione sono necessari i disegni. Sono riuscito a trovarne alcuni da pubblicare. Mi pare una buona idea, perché in genere è sempre il prodotto finale che interessa di più alla gente.
HUO
Più che il procedimento sottostante?
AWW
Sì, soprattutto più dell’origine dell’idea.
HUO
Dunque il disegno è una delle attività a cui ti dedichi quotidianamente?
AWW
No, faccio il blog. Il blog per me è come il disegno. Leggo le email, scrivo, fotografo. Una volta disegnavo molto. Per parecchi mesi ho disegnato alla stazione dei treni. Ne ho un’infinità di quei disegni.
HUO
Di quelli fatti alla stazione?
AWW
Sì, alla stazione di Pechino, alla fine degli anni settanta, anche prima di cominciare l’università: era un modo per esercitarmi. Ho disegnato perfino allo zoo.
HUO
Li hai ancora quei tuoi primi disegni?
AWW
Sì, forse alcuni. Mia madre ne ha buttati via un po’ – ne ha riempito parecchi sacchi della spazzatura – ma forse riesco a ritrovare alcuni dei primi disegni.
HUO
È affascinante quello che hai detto del blog, l’idea che possa essere paragonato all’atto di disegnare.
AWW
Il blog è il disegno di oggi. Qualsiasi cosa io dica o scriva sul blog può essere considerata parte del mio lavoro. Fornisce la maggior quantità possibile di informazioni: mostra interamente il mio ambiente.
HUO
Non ti vedo mai senza la tua macchina fotografica, la usi di continuo per scattare le foto che quotidianamente pubblichi sul blog. Com’è cominciato il blog?
AWW
Per caso. La Sina Corporation voleva aprire dei blog per un certo numero di persone. Ho detto loro che non avevo mai usato un computer e che non sapevo come funzionasse. Ma mi hanno risposto: «Ti possiamo insegnare noi». Allora ci ho riflettuto un po’, mi sono reso conto che era il modo migliore per avere un contatto diretto con la realtà, oltre che per rendere pubblica la mia vita privata. Mi è parso qualcosa di inedito e quindi ho deciso di provare. Nei primi post ho dichiarato che l’obiettivo del blog era l’esperienza stessa, senza bisogno di uno scopo particolare. Ora che abbiamo questa tecnologia la si può usare direttamente, anche, fino a un certo punto, senza pensarci troppo, senza doverne necessariamente estrarre un significato. È qualcosa che solo oggi è possibile. Se fosse avvenuto prima, non avremmo visto i disegni di Leonardo da Vinci o di Degas. Avrebbero avuto tutti la macchina fotografica. Credo che il mio blog sia il più ricco di immagini in assoluto; a livello internazionale, nessun altro pubblica così tante foto ogni giorno.
HUO
Quante ne scatti?
AWW
Da cento a cinquecento al giorno.
HUO
Incredibile!
AWW
Abbiamo scattato centinaia di migliaia di foto per il blog.
HUO
Ti ricordi il tuo primo post?
AWW
Sì, era solo una frase, qualcosa del tipo: «Abbiamo bisogno di uno scopo per esprimerci, ma la nostra espressione ha già in sé il suo scopo». Un po’ come l’idea che, per imparare a stare a galla, ci si debba buttare in acqua.
HUO
Quindi era solo questa frase, senza immagini?
AWW
Il primo post non conteneva nessuna immagine. All’inizio si esita, si vaglia attentamente, si pensa.
HUO
Quella prima frase è davvero importante, una sorta di motto. Era scritta con caratteri grandi?
AWW
Sì, si fa fatica a capire come e perché si debba comunicare così con gli altri computer. Ci si domanda quale sia il modo migliore per rendere pubblica, attraverso le tecnologie cibernetiche, questa realtà virtuale. È strano, all’inizio. È come quando si getta qualcosa in un fiume: pur sparendo immediatamente alla vista, continua a esistere nell’acqua, e il volume stesso del fiume subisce delle modifiche a seconda di quanti oggetti vi vengano lanciati dentro. Mi pare che il primo giorno del mio blog sia stato il 19 novembre, ormai quasi tre anni fa. Ho già pubblicato più di duecento articoli, interviste e scritti, recensioni e commenti sull’arte, la cultura, la politica, ritagli di giornale e così via. È stato in assoluto il regalo più interessante che abbia mai ricevuto; per me, ma forse addirittura per la Cina, perché viviamo in una società che non solo non incoraggia l’espressione delle proprie idee, ma spesso la punisce, come è successo a due generazioni di scrittori. La gente ha paura a mettere qualsiasi cosa per iscritto; qualsiasi parola scritta può venire utilizzata come prova di colpevolezza. Ecco perché gli intellettuali cinesi sono così cauti ora.
HUO
Trovo interessante che il blog sia cominciato con una frase scritta. Nella nostra ultima intervista abbiamo parlato dei tuoi inizi e del rapporto con tuo padre; non ci siamo però soffermati sui tuoi scritti, un argomento che mi incuriosisce molto.
AWW
Anch’io sono molto incuriosito dai miei scritti. Sono cresciuto in una società che non premiava, né incoraggiava il lavoro intellettuale, la lettura e la scrittura. La mia stessa esperienza di lettura consisteva nel sentirmi dire da mio padre, ogni volta che prendevo in mano un libro: «Mettilo giù, ti fa male agli occhi». Era proprio come un vecchio contadino.
HUO
Ma era davvero quello che pensava?
AWW
Sì, vivevamo in un villaggio completamente sperduto. Lui svolgeva il suo lavoro quotidianamente, e pensava che non fosse un bene che i suoi figli leggessero, perché si era fatto un’idea molto chiara del futuro della Cina: chiunque avesse un minimo di cultura sarebbe stato punito. Esprimere la propria opinione poteva portare alla morte. Era naturale non volere che la propria famiglia leggesse. Ho solo un grande rimpianto, di non sapere scrivere bene. È il talento che ammiro di più. Credo che, se sapessi scrivere, abbandonerei l’arte per la scrittura. Lo trovo il modo più bello ed efficace per esprimere il mio pensiero. Quando ho iniziato il blog, avevo già deciso che avrei cercato di esercitarmi nella scrittura. Da principio è stato difficile, ma poi è andata meglio; devo ringraziare questa tecnolo...