PARTE II
DIABETE E PROCESSI DI CURA
4. IL DIABETE MELLITO DI TIPO 1 (DM1):
COSTRUZIONI BIOMEDICHE
Diabetes mellitus (usually known just as diabetes)
is the name given to a group of disorders characterized
by chronically high blood glucose levels
(Stuart J. Brink et al., Diabetes in children and adolescents, 2011, p. 22)
Etimologia, classificazione ed epidemiologia
Il termine diabete, coniato da Areteo di Cappadocia (I sec. d.C.), deriverebbe dal verbo diabainein che in greco antico significa attraversare (dìa: attraverso; baino: vado). Il suo utilizzo allude probabilmente al fluire dell’acqua, poiché il sintomo più evidente che accompagna tale condizione è un’eccessiva produzione di urina, la poliuria. Nel Medioevo il termine è stato successivamente “latinizzato” in diabetes, con l’aggiunta di mellito (dal latino mel: miele, dolce) per il fatto che sangue e urine dei pazienti diabetici hanno un evidente sapore dolce. Questa caratteristica era già conosciuta dagli Egiziani, Greci e Cinesi ed è stata utilizzata dai medici, durante tutto il Medioevo, per porre la diagnosi (Williams e Pickup, 2004).
In età contemporanea le varie tipologie di diabete mellito hanno avuto nomenclature diverse, basate su concetti e criteri differenti, quali l’età di insorgenza (giovanile o senile) e la responsività all’insulina (insulino-dipendente e non insulino-dipendente). Tuttavia essendoci frequentemente quadri, per esempio, di diabete mellito definito senile ma a insorgenza giovanile, per migliorare la chiarezza espositiva l’Organizzazione Mondiale della Sanità (W.H.O.) nel 1999 ha distinto il diabete mellito in tipo 1 e 2. Il diabete mellito di tipo 1 (DM1) colpisce prevalentemente la popolazione al di sotto dei 30 anni e prevede la distruzione delle cellule pancreatiche beta, produttrici di insulina, con una conseguente parziale o completa insulino-deficienza. Si suddivide, ulteriormente, in due forme: diabete mellito immuno-mediato (distruzione mediata autoimmune delle cellule beta del pancreas) e diabete mellito idiopatico (a eziologia sconosciuta). Il diabete mellito di tipo 2 (DM2) colpisce una popolazione prevalentemente anziana . Tale condizione si caratterizza per un’inadeguata utilizzazione del glucosio da parte delle cellule che non rispondono normalmente alla stimolazione insulinica, cui si aggiunge, anche se inizialmente relativa, una residua secrezione insulinica che risulta inadeguata al fabbisogno dell’organismo. Normalmente tale tipologia di diabete viene trattato con farmaci ipoglicemizzanti orali, la dieta e una generale attenzione allo stile di vita, ivi inclusa l’attività fisica, in alcuni casi si rende necessario un trattamento insulinico.
Il diabete mellito rappresenta con le sue complicanze uno dei maggiori problemi sanitari dei paesi economicamente più sviluppati e la sua prevalenza è in continuo aumento, al punto da indurre gli esperti, negli ultimi anni, a parlare di una vera e propria epidemia mondiale (Vespasiani et al., 2005). Sebbene la prevalenza del diabete mellito in generale si stia incrementando in tutto il mondo, si ritiene che quella del DM2 aumenterà ancora più rapidamente in futuro a causa dell’incremento dell’obesità, dei ridotti livelli di attività fisica e del complessivo allungamento della vita media (Powers, 2002). Nel corso dell’ultimo decennio sono divenuti sempre più numerosi gli studi epidemiologici volti a valutare l’incidenza del DM1 e, in molte parti del mondo, sono stati istituiti registri, utilizzando criteri standardizzati per la raccolta dei dati (Arcari et al., 2007). In proposito va rilevato, innanzitutto, come vi sia una considerevole variazione geografica nell’incidenza del DM1, non soltanto a livello mondiale, ma anche in corrispondenza di aree più ristrette. Nell’ambito intercontinentale i tassi di incidenza più bassi si rilevano in Asia e Oceania, quindi nell’America del Sud e del Nord. Le ampie variazioni geografiche nell’incidenza del DM1 sembrano in parte essere collegate al diverso patrimonio genetico delle varie popolazioni. L’incidenza nell’ambito delle popolazioni caucasiche risulta più elevata che tra le popolazioni mongoliche o di carnagione scura. Inoltre esistono ampie differenze di incidenza tra gruppi etnici relativamente omogenei. I tassi di incidenza più elevati sono stati rilevati in Europa, dove però sono presenti notevoli variazioni intra-continentali .
Eziopatogenesi
Il DM1 è una patologia dismetabolica cronica dovuta, come si è accennato, a una distruzione autoimmune delle cellule beta del pancreas che svolgono l’importante funzione di secernere insulina. Sul piano clinico si caratterizza per la presenza di iperglicemie e glicosurie nella prima fase della malattia e di manifestazioni degenerative, specie vascolari, nella fase tardiva. L’insulina è un ormone polipeptidico che influenza il metabolismo glucidico, lipidico e proteico, attivando processi anabolici e inibendo quelli catabolici nel tessuto muscolare, nel fegato e nel tessuto adiposo (Powers, 2002). L’ormone insulinico incrementa la velocità di sintesi di glicogeno, acidi grassi e proteine e stimola la glicolisi . Favorendo la penetrazione intracellulare del glucosio, di alcuni altri zuccheri e di amminoacidi nel tessuto muscolare e in quello adiposo, provoca un abbassamento dei livelli ematici di glucosio (effetto ipoglicemico). L’insulina, inoltre, inibisce il catabolismo del glicogeno e dei lipidi e fa diminuire la velocità della glucogenesi . La concentrazione del glucosio nel sangue che irrora le cellule beta del pancreas sollecita la biosintesi dell’insulina e la sua dimissione. La risposta delle cellule beta avviene in due fasi successive: la prima è a secrezione rapida e la seconda a secrezione graduale. Nel diabete la secrezione insulinica risulta inadeguata nel tempo, per la “torpidità” della prima fase e insufficiente nella quantità nella seconda fase, così che non riesce a modificare sostanzialmente lo scompenso glucidico (Powers, 2002). Una carenza di insulina comporta un’ostacolata penetrazione del glucosio nelle cellule e di conseguenza l’abbassamento di tutte le reazioni di sintesi a livello cellulare nonchè la compromissione della glicogenosintesi epatica e muscolare. Il glucosio, ristagnando negli spazi extracellulari, induce l’instaurarsi di un regime iperglicemico. A ciò si aggiunge l’aumentato catabolismo di lipidi e proteine al fine di sopperire alle necessità energetiche dell’organismo. L’accresciuto catabolismo lipidico porta alla formazione dei corpi chetonici: si instaura così quella grave complicazione metabolica denominata chetoacidosi (Gomez, 2000).
Per quel che concerne l’eziologia, attualmente ci sono fondati motivi per considerare il DM1 una malattia in qualche modo ereditaria. Più precisamente la trasmissione ereditaria deve ritenersi, quanto meno, in grado di predisporre alla malattia, se non di causarla necessariamente. Le modalità di trasmissione dell’errore genetico appaiono incerte: non si tratta di trasmissione autosomica dominante, piuttosto, secondo le ipotesi che godono di maggiore credito, avrebbe luogo la trasmissione di un gene recessivo oppure di una costellazione di geni (Powers, 2002). Gli agenti ambientali possono tuttavia rivestire un ruolo cruciale nella comparsa della malattia. Ne sono stati individuati alcuni, in particolare, che non influenzano il genotipo, ossia indipendenti dalla predisposizione ereditaria ad ammalarsi, come i processi infiammatori di origine virale. Fattori che modificano la “penetranza” del genotipo diabetico, facendo variare il periodo di latenza della malattia, possono essere dieta, esercizio fisico, obesità, gravidanza, stato endocrino e altro. Il soggetto a rischio di DM1 presenta alterazioni metaboliche ancora non evidenti che potrebbero condurre a un’insufficiente attività insulinica, ma talora la malattia non progredisce in maniera inesorabile. Molti studiosi ritengono, quindi, che gli squilibri metabolici costituiscano manifestazioni tardive del DM1 che sono precedute, nel tempo, da stadi non facilmente riconoscibili (Williams e Pickup, 2004).
Aspetti clinici, fisiopatologici e complicanze
L’esordio della malattia è rapido e ingravescente. Il DM1 si instaura nel giro di qualche settimana con la seguente chiara e inequivocabile sintomatologia: poliuria, polidipsia, astenia, a cui si associa, in contrasto con la polifagia, il dimagrimento. Il deficit insulinico determina un’insufficiente utilizzazione del glucosio, alla quale fa seguito, innanzitutto, un innalzamento dei livelli glicemici. Quando la concentrazione ematica del glucosio oltrepassa la soglia renale, questo incomincia a passare nelle urine (“fuga urinaria” e glicosuria). Ne derivano poliuria e polidipsia, poiché aumenta la quantità di acqua che l’organismo deve eliminare come solvente del glucosio. Risulta alterato anche il metabolismo dei lipidi e delle proteine, utilizzati dall’organismo in mancanza di glucosio come fonti alternative di energia; da ciò conseguono polifagia, calo ponderale, astenia, chetonuria , acidosi (Powers, 2002). Il DM1 insorge più frequentemente nel periodo che intercorre tra la seconda infanzia e l’adolescenza, soprattutto intorno agli 8/9 anni e nella pubertà. Nel periodo puberale si verifica infatti una maggiore produzione di ormoni antagonisti dell’insulina. La diagnosi di sospetto o presunta patologia diabetica, fondata sulla valutazione dei sintomi soggettivi e oggettivi, viene documentata in maniera inconfutabile da alcuni elementi di semeiotica quali glicosuria, iperglicemia, presenza di chetonuria e acidosi. La precocità della diagnosi può influenzare favorevolmente il decorso della malattia, in quanto l’attuazione tempestiva di un idoneo programma di cura insulinica e dietetica è in grado di evitare più gravi alterazioni a carico delle beta-cellule pancreatiche (Go...