1. Le ambigue forme del lusso
Isole di opulenza e di esclusione
Vacanze al risparmio? Offerte low cost per voli e soggiorni? Dimenticate tutto questo, siete a Gstaad, il paradiso invernale dei miliardari di tutto il mondo, al centro delle Alpi bernesi.
Hotel di alto prestigio architettonico che si ergono da foreste incantate, camere da 18.000 euro a notte, chalet che costano in media 45.000 euro al metro quadrato, negozi e boutique di ultra-lusso.
A Gstaad tutto è una luxury adventure. Anche i negozi “normali” come il tabaccaio e il fruttivendolo sembrano esporre oggetti sfarzosi, e non solo per il prezzo. Da sempre i super-ricchi passano le loro vacanze da queste parti. E non tanto per sciare!
Anche se ci sono piste meravigliose, da queste parti lo sport invernale non sembra essere il passatempo preferito. A Gstaad si viene per spendere i propri soldi, e in un modo o in un altro ci si riesce sempre!
Di che si tratta? È un messaggio pubblicitario pieno di entusiasmo, di orgoglio e d’intenti seduttivi, che possiamo leggere in Internet. E che si rivolge a celebrità, a maghi della finanza, a grandi evasori fiscali.
Altri esempi di simili cittadelle del privilegio verranno presentati più avanti. E a essi si possono aggiungere le nuove forme di gentrification in atto oggi nelle grandi metropoli. Sono forme diverse ormai da quelle che potevano osservarsi quindici o vent’anni fa. Ora, ad esempio, Manhattan potrebbe diventare in gran parte (Harlem incluso) un’isola per soli super-ricchi, una roccaforte dell’estrema opulenza. Gli audaci finanzieri di Wall Street (come in un film di Stone, o di Cronenberg) vivono in grattacieli di cristallo, con palestre e piscine. E la classe media, o anche medio-alta, che era stata protagonista negli anni Novanta di un imborghesimento dei quartieri popolari, ora comincia a trasferirsi in periferia perché i prezzi di tutto sono saliti alle stelle.
Anche alcuni quartieri di Londra sono ora investiti da una nuova gentrification di altissimo livello. E a Chicago operano con successo agenzie specializzate nel mercato di immobili di valore superiore a un milione di dollari. Ma occorre notare a questo punto che l’accaparramento di beni immobiliari di grande lusso modifica ulteriormente la struttura urbanistica e sociale delle grandi metropoli. In un tempo relativamente rapido, il quartiere esclusivo può subire una trasformazione ulteriore, diventando certamente un luogo vieppiù prestigioso per l’alto prezzo della proprietà, ma trasformandosi anche in uno spazio costantemente inutilizzato, o disabitato per lunghissimi periodi. Uno spazio di proprietà assente, dove l’alto, crescente costo degli immobili espelle non solo i precedenti abitanti ma anche molte attività terziarie.
Ciò sta mettendo in atto una forma grave di esclusione o di espulsione, a danno di un numero crescente di cittadini. E ne risultano danneggiate la morale pubblica, la vita civile, la giustizia sociale; ma insieme ne risulta ostacolata, o almeno rallentata, ogni azione di rilancio dell’economia. Tanto meno la ricchezza verrà investita in attività produttive, tanto più verrà protratta nel tempo ogni reale via d’uscita dalla crisi. E sulle varie angolature di questo problema torneremo più volte.
È bene però precisare. Oggi in Europa, parole come esclusione ed espulsione parrebbero applicabili forse più appropriatamente ad altre situazioni: al degrado dei quartieri periferici, ad esempio; ma ancor più al dramma dei profughi e dei migranti, alle contraddizioni dei governi e alla mancata solidarietà tra le nazioni. Oppure al modo in cui le politiche del rigore e dell’austerità trasformano un’idea includente di Europa in una del tutto opposta. Ma in questo scritto s’intende cogliere un particolare aspetto di ciò che intendiamo come esclusione: quello del distacco che negli anni Duemila appare sempre più approfondirsi all’interno delle società a sviluppo maturo. Distacco che emerge dall’inversione della tendenza “includente” propria della società dei consumi nella seconda metà del Novecento.
Ed è un distacco che sta compiendosi tra una minoranza ultraricca e una massa che va impoverendosi; una massa che include i ceti medi in progressivo declassamento. Questo parrebbe stia avvenendo nelle aree a sviluppo maturo, come l’Unione Europea.
Nei paesi invece dove lo sviluppo sembra ancora crescente (e dove la middle class produttrice e consumatrice non è in declino ma al contrario è in formazione), si avviano ora processi solo apparentemente analoghi a quelli della società opulenta nordamericana ed europea descritta da Galbraith alla fine degli anni Cinquanta del Novecento. Processi in realtà diversi perché gli appartenenti alla fascia alta e privilegiata (che in Brasile, ad esempio è calcolata intorno al 6%) sembrano oggi temere l’avvio o la ripresa di programmi sociali diretti a incrementare il reddito e la domanda. E tendono a limitare il confronto competitivo sul piano del lusso all’interno del proprio mondo. Isolandosi e arroccandosi in ambienti molto esclusivi, sorvegliati da addetti alla sicurezza privata. Non molto diversamente, negli effetti, da quanto facciano per altre vie e altri motivi gli appartenenti alla “superclasse” americana o europea.
Sono vari dunque, sul pianeta, i luoghi protetti dell’opulenza per pochi. Pochi che mentre tutti gli altri s’impoveriscono diventano sempre più ricchi. Pochi che trovano l’esito e la ragione stessa della loro condizione privilegiata nel vivere in quei luoghi. O semplicemente (come sempre più spesso accade) nell’averli senza neppure abitarli. E nel possedere beni di prestigio: qualche yacht che costa centinaia di milioni di dollari, qualche limousine, qualche raro gioiello indossabile su abiti di grande firma. Ma anche collezioni d’arte contemporanea, con opere di Bacon, Warhol, Koons. Il cui valore di mercato (che può superare le centinaia di milioni di dollari al pezzo) è destinato a salire. Non è solo una forma particolare di speculazione. Nell’acquisto dell’oggetto d’alto livello gioca un suo ruolo anche l’identificarsi, l’autoriconoscersi, la possibilità di mostrare. E in questo processo può delinearsi e assumere importanza determinante una nuova forma di valore, non classicamente economico; non puramente né direttamente tale.
Una parola magica e polisemica
Lusso: una parola segnata da equivoci per la sua polisemia, la sua ambiguità. Una parola magica per tutto ciò che evoca, che esibisce e che nasconde.
Si parla, ad esempio, di lusso come eccesso nell’esibizione di ricchezze attraverso il possesso di oggetti. Ma anche di amore del lusso come “culto del bello”; incluse, come si diceva, le opere d’arte (pur se “bello” e “arte” non necessariamente coincidono). Opere possedute, patrocinate, valorizzate nei due sensi possibili della parola; come è evidente, nell’attuale mercato dell’arte: dove si accompagnano sinergicamente firma dell’autore, giudizio del critico e variazione nel prezzo.
Ma senza dubbio sulla nozione di “lusso” si è sempre registrata una certa ambiguità, anche per quanto concerne i giudizi di valore.
Non va dimenticato, in proposito, che già nell’antica Grecia come poi nella Roma repubblicana, i saggi criticavano il troppo lusso nei rituali: ad esempio nei riti funebri delle grandi famiglie. E le istituzioni si sforzavano di porre un argine a quegli eccessi.
E va ricordato, fra i tanti esempi possibili, il fervente moralismo che animava i Comuni medievali. Inevitabile è il riferimento al caso di Girolamo Savonarola, frate ribelle; fu nemico dei Medici, nemico della corruzione che era dilagata a Firenze, nemico del lusso in ogni sua forma, esibito dalle classi ricche e dal clero. Fu difensore del cittadino medio, né troppo ricco né troppo povero, osteggiò i “grandi” ma diffidò anche della plebe. Instaurò la repubblica, fece distruggere oggetti di lusso e purtroppo anche opere d’arte con soggetto pagano. Nel momento della restaurazione della Signoria fu processato dal clero che della Signoria era alleato: e impiccato e arso sul rogo.
La parola “corruzione”, accompagnata dall’accumulo di grandi ricchezze, parrebbe riportarci all’Italia d’oggi. Ma qualche differenza c’è: nel regime delle Signorie si valorizzavano l’architettura, la forma urbana, l’arte che vediamo nelle città storiche. Perfino i rapporti fra uomo e natura: e di ciò troviamo ancora tracce in quanto resta del paesaggio italiano intorno a quelle città.
Separatezza, magnificenza e rigore
Duplice natura, dicevamo. E mutevoli giudizi di valore. Infatti, nel passaggio dal passato comunale all’età delle signorie, la magnificenza rappresentava per vari aspetti una sorta di dovere: un impegno delle corti, dei signori, dei nuovi ceti elevati.
Superato il moralismo dei Comuni, ora nel popolo, nel cittadino medio come nella plebe, quella magnificenza sembrava provocare ammirazione. Forse addirittura “rassicurazione”.
La separatezza dei ceti permetteva che, diversamente da quanto sarebbe avvenuto in tempi da noi meno lontani, non serpeggiassero ancora sentimenti d’invidia. Solo ad alto livello si manifestavano tentazioni competitive, accompagnate talvolta da trame e anche delitti.
Ben presto però, la separatezza dei ceti elevati sarebbe divenuta meno protetta, mentre il competere al loro interno avrebbe suscitato il timore che tutto quel fasto traboccasse in dispendiosi eccessi. Ed ecco allora presentarsi un’altra ambiguità, quella riguardante le leggi suntuarie: a Venezia e a Genova, a Firenze e a Milano.
Abbiamo visto che le pratiche del lusso e della sua pubblica visibilità erano considerate u...