1842, La terza estate a Nohant
Per Chopin, l’avvenimento più importante del 1842 è senza dubbio un altro grande concerto alla Salle Pleyel, il 21 febbraio. Vi partecipano anche Auguste Franchomme con un intermezzo di violoncello e Pauline Viardot, accompagnata al pianoforte da Chopin, con un brano di Händel. Come per il concerto dell’anno precedente, si è data appuntamento tutta la Parigi elegante e colta. Chopin suona la Ballata in La bemolle op. 47, il Preludio in Re bemolle maggiore op. 28, l’Andante spianato dalla Grande Polacca op. 22, tre notturni, tre studi, tre mazurche, e un improvviso. A chiudere una lunga catena di capolavori, c’è un fuori programma di Pauline Viardot con una propria composizione che ha preventivamente superato il severo giudizio del maestro: Le Chêne et le roseau. Ancora una volta il successo è strepitoso.
Il resoconto della France musicale si sofferma esclusivamente sul carattere mondano dell’evento: «Chopin ha dato una serata incantevole, una festa piena di sorrisi adorabili, visini teneri e rossi, piccole mani bianche e graziose, una festa magnificata in cui la semplicità era unita alla grazia e all’eleganza, il buon gusto serviva di piedestallo alla ricchezza. I nastri dorati, i veli celesti, le collane di perle tremanti, le rose e i garofani di campo più freschi, infine le più gaie e leggiadre mescolanze di colori si riunivano e incrociavano in mille modi sulle teste profumate e sulle spalle argentee delle donne più incantevoli che i salotti principeschi si disputano». Sulle qualità musicali del concerto, incredibilmente, il nulla. Cortot, che ci fornisce il resoconto nel suo libro dedicato a Chopin, così commenta: «Il tono inverosimile di questo “eco alla moda” preso in prestito dallo stile in voga nel Giornale delle Signore e delle Signorine ci fa apprezzare il mutismo prudente del suo ignoto autore su ciò che sembra sia stato per lui soltanto un pretesto accidentale per un tale entusiasmo, vale a dire l’esecuzione di Chopin e l’accoglienza fatta alle sue opere. [Chopin] avrebbe preferito trovare in questa occasione […] qualche commento meno circoscritto ai soli meriti delle modiste e delle sarte. Questa nuova esperienza fece sorgere in lui il sentimento, che egli conosceva così bene, dell’inutilità di tali manifestazioni».
Per nostra fortuna abbiamo ben altre recensioni al concerto del 21 febbraio. Con titolo «Concert de M. Chopin» sulla France musicale, Léon Escudier, che della rivista era il fondatore, scrive: «Chopin ha suonato otto pezzi. Le composizioni di questo artista hanno tutte una somiglianza perfetta di forme; solo il pensiero che le anima varia, e questa non è certo una delle loro qualità meno brillanti. Poeta e, prima di tutto, poeta tenero, Chopin si adopera affinché sia la poesia a predominare. Egli crea prodigiose difficoltà di esecuzione, ma mai a detrimento della melodia, che è sempre semplice e originale. Seguite le mani del pianista e osservate con quale meravigliosa facilità esegue i passaggi più graziosi, copre le distanze della tastiera, passa dal piano al forte e poi dal forte al piano! I magnifici strumenti del signor Pleyel si prestano meravigliosamente a questi diversi procedimenti. Ascoltando tutti questi suoni, queste sfumature che si susseguono, si intrecciano, si separano, si riuniscono per arrivare a uno stesso obiettivo, la melodia, non vi sembra di udire delle vocine di fate che sospirano sotto campane d’argento, o una pioggia di perle che cadono su un piano di cristallo? Le dita del pianista sembrano moltiplicarsi all’infinito; non pare possibile che da sole due mani possano produrre effetti di rapidità così precisi e così naturali. Non chiedete a Chopin di simulare sul pianoforte i grandi effetti orchestrali. Questo genere di esecuzione non si adatta né alla sua costituzione né alle sue idee. Egli vuole stupirvi con la sua rapidità leggera, con le sue mazurche dalle forme nuove, non farvi venire un attacco di nervi o una sincope. La sua ispirazione è tutta poesia tenera e innocente; non chiedetegli grandi percussioni né variazioni diaboliche; lui vuol parlare al cuore e non agli occhi; vuole amarvi e non divorarvi. Ecco, il pubblico è caduto in estasi; l’entusiasmo è al suo apice. Chopin ha raggiunto il suo scopo».
Anche Hector Berlioz il 13 di aprile commenta nel Journal des débats: «Chopin si tiene sempre in disparte, non lo si vede né al teatro, né ai concerti. Si direbbe che abbia paura della musica e dei musicisti. Una volta all’anno esce dalla sua nuvola, e si fa sentire per qualche istante alla Salle Pleyel [in realtà il prossimo e ultimo concerto di Chopin alla Salle Pleyel sarà dopo sei anni, nel 1848]. Solo allora il pubblico e gli artisti sono ammessi ad ammirare il suo magnifico talento. Per tutto il resto dell’anno, a meno di essere un principe, o un ministro, o un ambasciatore, ci fa solo pensare al piacere di ascoltarlo. Quanti altri suonerebbero sulla pubblica piazza se glielo permettessimo! È timidezza da parte di Chopin, oppure lo fa per fare pensare ai suoi ammiratori alla favola dell’usignolo e i passeri? Il successo del suo ultimo concerto è stato tale che un artista deve essere ben filosofo per non soccombere alla tentazione di ottenerlo più spesso, quando non dipende che da lui. Il suo modo di suonare è sempre quello che esprime una grazia capricciosa, finezza e originalità, e le sue nuove composizioni non cedono di fronte a quelle del passato, per arditezza armonica e per la soavità delle melodie».
Orgogliosa del suo «Chopinetto», Aurore assiste alle ovazioni entusiastiche del pubblico, che pure non è rimasto indifferente al suo ingresso in sala accompagnata da Solange e dalla cugina Augustine Brault.
Qualche giorno dopo Chopin viene raggiunto dalla notizia, proveniente da Varsavia, della morte del suo vecchio maestro di pianoforte, avvenuta il giorno stesso del concerto: Wojciech (Adalbert) Żywny, grande amico di suo padre. Il piccolo Chopin, iniziato al pianoforte dalla madre all’età di sei anni, aveva proseguito gli studi con questo professore, che lui adorava. Żywny capisce subito il talento geniale del suo allievo e preferisce iniziarlo alla grande musica con Bach, Haydn, Mozart piuttosto che impegnarlo in esercizi di tecnica che il bambino supera d’istinto. La notizia desta alla mente di Chopin un insieme di ricordi che accendono il desiderio di ritrovare la sua famiglia: la nostalgia ritorna profonda e investe le sue composizioni. Vorrebbe raggiungere la Polonia, ma la sua salute gli impedisce d’intraprendere un viaggio così faticoso. Il padre, Nicolas Chopin, scrive complimentandosi per il concerto e si augura che il figlio possa passare alcuni mesi di riposo nella campagna di Nohant: di più, si spinge fino a invitare George Sand in Polonia, anche se in modo vago. Il ghiaccio sembra rompersi.
Il 20 di aprile arriva per Chopin un secondo grave lutto: muore di tubercolosi, dopo lunga agonia, Jan Matuszyński, medico, amico di infanzia, condiscepolo di pianoforte, suo ammiratore presente a tanti concerti per intimi, l’unico coetaneo polacco che gli resta a Parigi. Chopin lo assiste fino alla fine partecipando come più non si potrebbe alla sua sofferenza: scrive la Sand che Frédéric si è dimostrato «forte, coraggioso e devoto più di quanto ci si possa attendere da un essere così fragile. Ma dopo era spezzato».
Il 7 maggio, in anticipo rispetto agli altri anni, Chopin torna a Nohant, in buone condizioni di salute. «Il tempo è bello, sono quasi sempre fuori»: così scrive a Camille Pleyel, ringraziandolo per l’invio del nuovo pianoforte. «Lo strumento è arrivato, accordato come per un concerto.»
Eugène Delacroix, «L’educazione della Vergine», olio su tela, 1842 (Musée Eugène Delacroix, Parigi).
Il 4 giugno finalmente arriva Eugène Delacroix, tanto atteso da tutti. Qualche giorno dopo, il 22, scrive a Jean-Baptiste Pierret: «Aspettiamo la visita di Balzac, che non è venuto, e io non sono affatto dispiaciuto. È un chiacchierone che romperebbe questo accordo di tranquillità un po’ indolente dal quale mi lascio cullare con sommo piacere. Ogni tanto un po’ di pittura, ecco tutto quello che occorre per riempire le giornate. E non c’è neppure la distrazione dei vicini o degli amici dei dintorni: in questi posti ciascuno se ne sta per i fatti suoi e si occupa dei buoi o della terra. In poco tempo potremmo diventare dei fossili. Io ho dei colloqui a tu per tu con Chopin, a tutto campo: è un uomo che amo molto, di una rara distinzione. È l’artista più autentico che ho incontrato. È uno dei pochi che si possono solo ammirare e stimare». Durante il soggiorno, che dura fino al 2 luglio, Delacroix dà lezioni di pittura a Maurice nell’atelier di quest’ultimo, ma disegna anche alcune vedute del giardino e della campagna circostante – al Louvre possiamo ammirare un acquarello con ortensie e anemoni del giardino che George gli fa scoprire – e dipinge un quadro per la piccola chiesa romanica di Sant’Anna, L’educazione della Vergine – oggi conservato a Parigi, al museo Eugène Delacroix, mentre nella chiesetta è esposta la copia realizzata da Maurice. Dipinto su tela forte, quella che dovrebbe servire per i corsetti di Aurore (che protesta), il quadro potrebbe avere un soggetto profano, come invita a pensare lo stesso Delacroix in una lettera alla Sand: «Ho appena visto, rientrando nel parco, il soggetto di un bellissimo quadro: una scena che mi ha commosso. Era la vostra contadina con la sua piccola figlia. Io le ho potute guardare senza problemi, da dietro un cespuglio che mi nascondeva alla loro vista. Erano sedute su un tronco d’albero; l’adulta aveva una mano appoggiata sulla spalla della bambina che con attenzione seguiva la lettura di un libro».
George Sand intanto coinvolge i due artisti nella lettura del manoscritto di Consuelo. Delacroix e Chopin ascoltano e approvano: lei chiede il loro appr...