Un eroe borghese
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Un eroe borghese

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L'Italia degli anni settanta è l'Italia della loggia P2, della strategia della tensione, del terrorismo rosso e nero, l'Italia in cui la nascente società civile scopre che la democrazia non è un bene acquisito una volta per sempre. Giorgio Ambrosoli è un avvocato milanese, conservatore, cattolico, in gioventù monarchico. Muore nella notte di una Milano deserta, ucciso da un sicario venuto dall'America, l'11 luglio 1979.Nel settembre 1974 la Banca d'Italia aveva nominato Ambrosoli commissario liquidatore dello scricchiolante impero bancario di Michele Sindona. Uomo d'affari romanzesco, spregiudicato equilibrista della finanza internazionale, amico di ministri della Repubblica, mafiosi siciliani e narcotrafficanti italoamericani, bene inserito negli ambienti vaticani, massonici, imprenditoriali, Sindona era per Giulio Andreotti «il salvatore della lira». Basta poco ad Ambrosoli per scoprire, allibito, il castello di trucchi contabili, operazioni speculative, autofinanziamenti truffaldini su cui si è retto l'inganno della sindoniana Banca Privata Italiana. Sfatando le previsioni di chi lo vorrebbe influenzabile, sensibile agli equilibri politici, il «moderato» Ambrosoli si rivela invece un osso durissimo, fedele alla propria integrità morale nonostante le pressioni dall'alto, i tentativi di corruzione che sfociano in minacce, la solitudine in cui gradualmente sprofonda. Fino all'omicidio, ordinato da Sindona. «Se l'andava cercando» commenterà nel 2010 Giulio Andreotti, all'epoca dei fatti presidente del Consiglio.La storia di Giorgio Ambrosoli – che Corrado Stajano ricostruisce in un'inchiesta incalzante, fulminea nelle sue giustapposizioni impreviste di fatti e scene, sempre attenta alla verità del particolare – è un frammento illuminante, tragicamente emblematico, della storia politica italiana. In terra di illegalità sistemica, di poteri criminali che si saldano al potere istituzionale, di compromissioni a buon mercato e tentazioni consociative, nell'Italia corrotta di ieri come in quella di oggi, l'onestà è la più imperdonabile delle virtù. E un servitore dello Stato finisce per diventare un ribelle solitario, un lottatore coraggioso: Un eroe borghese, suo malgrado.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788865765265
Argomento
History

Un eroe borghese

alla Giovanna

Le facciate sono state dipinte a nuovo, i tetti sono stati rifatti, gli ottoni sono stati lucidati, la città è un gran cantiere ingombro di gru, di scale, di ponteggi. Le palizzate e i velari coprono blocchi di fabbricati, coi cartelli che avvertono: «Non sostate sotto le impalcature. Pericolo!».
Gli stilisti hanno comprato antichi palazzi, le case di ringhiera sono diventate show-room, le aree di fabbriche dai nomi famosi sono state abbandonate, terra desolata, in attesa di diventare negozi, uffici, supermercati, loft.
È stato ristrutturato il corpo di una città, di un intero Paese, anzi. La grande trasformazione periodica. Ma, se nell’apparenza tutto è mutato, nulla, sotto, è stato sanato e succede così che tra i luccichii delle feste e i mucchi di farina d’oro donati in nome dei santi protettori, si possano intravedere «Per tutto cenci e, più ributtanti de’ cenci, fasce marciose, strame ammorbato, o lenzoli buttati dalle finestre; talvolta corpi, o di persone morte all’improvviso, nella strada, e lasciati lì fin che passasse un carro da portarli via, o cascati da’ carri medesimi, o buttati anch’essi dalle finestre: tanto l’insistere e l’imperversar del disastro aveva insalvatichito gli animi, e fatto dimenticare ogni cura di pietà, ogni riguardo sociale!».
Di nuovo la peste. Di nuovo i monatti e gli untori, questa volta untori veri, ben reali, che con ontioni parte bianche e parte gialle hanno imbrattato e incrinato le fondamenta della città. E nessuno, o quasi, s’è accorto del magma putrido che è rimasto dietro le pareti tinteggiate di fresco, sotto i tetti rimessi a posto, a infettare, a lacerare, a insanguinare, a distruggere.
Che cosa è successo negli anni passati, molti se lo sono dimenticato, molti l’hanno coscientemente cancellato dalla memoria. Anche perché la ribellione, il desiderio di rifare davvero quelle marce fondamenta sono stati frustrati e i governanti seguitano a essere gli stessi che in quegli anni di orrore furono complici e sancirono le connessioni tra affari, mafia, politica e azioni criminali proliferate negli anni successivi, e oggi ancora di più, causando sempre nuovo dolore e spargendo altro sangue innocente.
Sono cambiati, da allora, i ceti, le classi sociali, i modi di vita, le professioni, il lavoro. Sono cambiate, moltiplicate, le ricchezze e, anche, le povertà.
Le bandiere non sventolano, il popolo non scende in piazza, forse il popolo non c’è neppure più o, se c’è, sta rintanato coi suoi rancori nei casoni delle periferie.
E i giovani appassionati di una volta non sono soltanto ingrigiti. Presi dal tarlo del disincanto hanno annullato nei ritmi quotidiani le loro speranze impossibili.
Sono cambiate tante cose da quando Sindona era un re di Milano, ossequiato, riverito, e sono passati più di dieci anni da quando un avvocato di Milano, incaricato dal governo di liquidare la banca sindoniana mandata in rovina, fu assassinato da un killer arrivato dall’America.
Questo libro racconta la storia di Giorgio Ambrosoli, uomo libero e solo, eroe borghese che avrebbe potuto vivere tranquillo con le sue serene abitudini e invece, per la passione dell’onestà, si batté contro un «genio del male», sorretto da forze potenti, palesi e occulte, e fu sconfitto.
Ma questo libro – e questo caso – è anche un giallo e un piccolo manuale che racconta la politica mafiosa, la politica nera, la politica sotterranea che i cittadini subiscono e il più delle volte non sanno.

I

Sembra una qualsiasi sera d’estate in una città semivuota. Fa un caldo piatto e umido, a Milano, l’11 luglio 1979, quando sei uomini soli decidono di andare a mangiare in una trattoria di via Terraggio, Ai 3 Fratelli, tra il bar Magenta, il cinema Orchidea e la basilica di Sant’Ambrogio. È un ristorante toscano, coi lampadari di ferro battuto, le travi di legno allo scoperto, un archetto di cotto sopra le porte a ripetere un improbabile rustico. E appese alle pareti, collane di salsicce, pentole, campanacci.
L’appuntamento risulta dall’agendina tascabile dell’avvocato Giorgio Ambrosoli: 8.25 Zileri; 8.30 Rosica. Come ragazzi passano sotto casa a chiamarsi l’un l’altro. Sono amici dai primi anni settanta, i tempi dei Decreti delegati. I figli frequentavano l’asilo e la scuola elementare di via Ruffini, i genitori si conobbero durante le discussioni serali nella palestra. Vicini di casa, dello stesso ceto sociale, professionisti, industriali, dirigenti di azienda, le idee consonanti della Milano moderata, cominciarono a vedersi anche fuori della scuola.
La moglie di Ambrosoli è a Monte Marcello con i bambini, la famiglia Rosica è in Irlanda, gli Zileri sono a Forte dei Marmi. Sarebbe davvero una cena senza storia, quella di Giorgio Ambrosoli, Francesco Rosica, Stefano Gavazzi, Franco Mugnai, Paolo Zileri, Giampaolo Lazzati.
Ambrosoli è stanco, ma allegro, cordiale, sembra sollevato da un peso, un esame temuto che ha avuto buon esito. Per tre giorni è stato interrogato come testimone, al Palazzo di Giustizia, dal giudice istruttore Giovanni Galati e dai giudici e dagli avvocati arrivati dagli Stati Uniti per una rogatoria ordinata dalla Corte federale di New York, che ha per argomento la bancarotta della Franklin National Bank di Michele Sindona. Le risposte di Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della sindoniana Banca Privata Italiana di Milano hanno grande importanza per l’istruzione del processo della banca americana.
Ambrosoli non parla mai, non ha parlato mai della ragnatela in cui è calato dal 27 settembre di cinque anni prima, quando il governatore della Banca d’Italia Guido Carli lo nominò commissario liquidatore della banca. Solo qualche volta, se le notizie diventano pubbliche, si sgela un po’ e incrina la sua riservata natura. Ma gli amici non sospettano in quale mondo oscuro viva e sia vissuto in quegli anni.
Quella sera accenna alla rogatoria, ai giudici e agli avvocati americani, ma solo per dire che tutto è filato liscio. Si era preparato con cura e i difensori di Sindona, che contavano molto sulla rogatoria milanese per alleggerire la posizione processuale del loro cliente sperando nella smagliatura delle risposte dell’avvocato, tornano a casa incattiviti.
L’ultima udienza è finita nel primo pomeriggio, William E. Jackson, Special Master del Distretto Sud di New York, è già partito per gli Stati Uniti; giudici, avvocati e testimone devono tornare in tribunale la mattina dopo, ma solo per rileggere il verbale di testimonianza e per firmarlo.
Al tavolo dei 3 Fratelli, gli amici chiacchierano. L’estate, il terrorismo che seguita a mostrarsi truculento, la politica, le difficoltà di formare il governo dopo le elezioni anticipate del 3 giugno. Andreotti ha rinunciato all’incarico pochi giorni prima per il veto dei socialisti e il presidente Pertini ha appena convocato Craxi al Quirinale. Ce la farà? Sul Corriere della Sera di quell’11 luglio, spicca in Terza pagina un lungo articolo di Walter Tobagi dedicato a Craxi: «Non sono un padre padrone».
Alle dieci e mezzo i sei hanno finito di cenare. Due di loro, Gavazzi e Zileri, sono appassionati di boxe e gli piacerebbe vedere alla tv qualche ripresa dell’incontro tra Lorenzo Zanon e Alfio Righetti: in palio, al Palasport di Rimini, c’è il titolo europeo dei pesi massimi. La casa più vicina è quella di Ambrosoli. Comincia il conto alla rovescia, con le dodici riprese dell’incontro di boxe che scandiscono l’ora e mezzo o poco più che manca a chiudere anche la vita di Giorgio Ambrosoli.
Una casa rassicurante, quella dell’avvocato, in via Morozzo della Rocca numero 1. Un corridoio divide le camere da letto, i bagni, il guardaroba e la cucina dal soggiorno ampio e lungo che sembra lo scafo di una nave, con un divano color rosa antico, un altro divano beige, un trumeau, una piccola scrivania, quadri, stampe, oggetti amorosamente raccolti, poltrone vecchiotte. È arduo pensare che la mafia e la criminalità politica sono arrivate fin qui a sconvolgere l’ordine di una casa che sembra così al riparo. In un angolo c’è un tavolo rotondo Impero, dove l’avvocato Giorgio Ambrosoli lavora la notte fino alle tre, alle quattro.
Si sfilaccia senza pietà anche l’ultimo brandello della vita di Giorgio Ambrosoli. Mentre Gavazzi e Zileri guardano la tv e gli altri fanno da controcanto al telecronista, Ambrosoli parla con Rosica, avvocato anche lui. Ha deciso, è la prima volta dopo anni, di fare una vera vacanza e di passare l’agosto tra il mare e la campagna di Ortona, la città abruzzese dell’amico. Sul divano color rosa antico Ambrosoli firma l’assegno per la caparra. La firma gli viene un po’ storta.
Che cosa fa l’assassino mentre Ambrosoli pensa alle vacanze, mentre Zanon e Righetti si caricano di pugni e le grida del Palasport di Rimini rimbombano nella scatola della tv? Ha trovato rifugio in un bar, è immobile nella 127 rossa davanti alla casa, sta cercando la sua vittima nei posti frequentati dall’avvocato che conosce bene dopo i pedinamenti fatti in quei giorni, gira senza stancarsi per le strade deserte del quartiere in cui Ambrosoli ha abitato quasi tutta la vita?
Un quartiere della borghesia tradizionale mescolata ai ceti che vivono sui beni della proprietà ecclesiastica, i conventi, le confraternite, gli ospedali, gli istituti religiosi, le chiese. Da quella meraviglia dell’arte e della cultura che è Santa Maria delle Grazie e dagli orti dove lavorava Leonardo, al Pio Istituto del Buon Pastore, all’ospedale San Giuseppe, alla residenza dell’Università Cattolica, alle case delle suore e dei preti rimesse a nuovo di continuo col giallo ocra di Maria Teresa imperatrice d’Austria.
Se si osserva il rettangolo del quartiere che ha per lati via Carducci e il viale di Porta Vercellina, via San Vittore e corso Magenta, e si entra nell’intrico di strade spesso private, chiuse da muraglie, sbarre e cancelli vigilati da occhi elettronici, via Giovannino de’ Grassi, via San Giovanni di Dio, via De Togni, ci si rende subito conto di come è consolidata la ricchezza di chi ci vive e di come resiste la forma delle cose, nonostante l’urto del tempo. Lo si vede nei vecchi giardini con qualche putto di cemento rattristato, ravvivati d’autunno dai roghi delle foglie rosse, nelle case illuminate la notte come in un miraggio, coperte d’edera e di glicini, con le portinerie simili a palazzetti vigilati da portinai inavvicinabili.
All’undicesima ripresa, Zanon è investito da una gragnola di pugni. Resiste, contrattacca. L’incontro finisce alla pari, il titolo europeo resta a Zanon.
Poco dopo mezzanotte in casa Ambrosoli telefona qualcuno. L’assassino che vuol sapere se l’avvocato è in casa?
Giorgio Ambrosoli scende in strada a salutare gli amici. La sua Alfetta blu è parcheggiata sul marciapiede e questo gli fa venire in mente di portare a casa in macchina chi abita più lontano. La compagnia si scioglie, Gavazzi e Zileri vanno a piedi, Ambrosoli accompagna Rosica e Mugnai e, ultimo, Lazzati, in via De Togni 7, vicinissimo.
L’assassino arrivato dall’America ha seguito Ambrosoli nella notte di Milano? Sta aspettando nella via dove sa che abita un amico dell’avvocato?

Deposizione di Charles E. Rose, sostituto procuratore degli Stati Uniti per il Distretto Est di New York: «In data 11 luglio 1979 William Arico noleggiò una Fiat rossa, con la quale si recò in vari posti che sapeva frequentati da Ambrosoli, avendolo pedinato in precedenza. Trovò infine Ambrosoli in uno di quei posti, ma non fu in grado di dirmi il nome della persona che abitava in quella casa o il suo indirizzo. Mi disse solo che a quanto pareva era un amico di Ambrosoli e che lo aveva visto là altre volte. Vide che il signor Ambrosoli stava andandosene, entrando nella sua auto. Il signor Arico ritenne che stesse tornando a casa e, facendo una strada diversa, partì rapidamente in macchina diretto all’abitazione di Ambrosoli, dove giunse quasi contemporaneamente a lui. Il signor Ambrosoli stava per scendere dalla macchina quando il signor Arico, sceso dalla sua Fiat rossa, si diresse verso di lui e gli chiese in italiano: “Il signor Ambrosoli?”. Al che il signor Ambrosoli rispose “Sì”, e allora Arico gli disse esattamente: “Mi scusi, signor Ambrosoli”, e con la sua 357 Magnum gli sparò al petto tre colpi. Dopodiché Arico tornò alla sua Fiat rossa per fuggire… Arrivato vicino alla sua macchina, si voltò indietro, e vide che Ambrosoli era caduto a terra e che intorno a lui si erano raccolte tre persone… disse che queste persone non avevano niente a che vedere con l’omicidio, che aveva commesso da solo… Il giorno seguente Arico tornò negli Stati Uniti».1
L’avvocato Giorgio Ambrosoli è stato assassinato sul passo carraio della sua casa. Esattamente quattro piani sotto l’angolo del soggiorno dove lavorava fino a notte alta, sul tavolo Impero, a cercare di districare le carte dei neri misteri di Michele Sindona.

II

Un avvocato di Milano. Né oscuro né famoso. Rigido, intransigente, moralista, incapace di sfumature e di ambiguità, con una durezza corretta soltanto dall’ironia. È un uomo serio, brusco, sicuro delle sue scelte, anche se questo non esclude il dubbio. Non torna sulle sue decisioni, se le ritiene giuste. I suoi giudizi, spesso taglienti, gli procurano antipatie, ostilità, inimicizie. Non gli viene perdonato il carattere, il «brutto carattere», e la sua incapacità di compromissione è scambiata per schematismo e altezzosità intellettuale. Attento, difeso, forse timido, pieno di pudori, al primo approccio spesso respinge. Ha bisogno di soppesare gli altri, di studiarli a lungo prima di concedere la sua fiducia. Ma con chi gli è amico svela tutta la sua affettività e delicatezza d’animo.
Alto, magro, un po’ stempiato, i baffetti, fa pensare a un attore americano degli anni trenta. È nato a Milano il 17 ottobre 1933, in via Paolo Giovio, tra corso Vercelli e piazzale Aquileia, dove c’è la chiesa del Fopponino. Il padre, avvocato, non esercita la libera professione, lavora in banca, alla Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde. Una famiglia della borghesia benestante molto conservatrice, la sua. Un antenato, Filippo, fu regio procuratore e firmò un Codice penale commentato; un trisavolo, Francesco, pubblicò dal 1847 al 1851 una storia d’Italia «narrata per uso dei giovanetti che fu accolta con grandissimo plauso».
Giorgio è il primogenito di tre figli, fa le scuole elementari in via Crocefisso, il ginnasio e il liceo classico al Manzoni dove, siamo nel dopoguerra, si dà da fare in un gruppo di studenti monarchici. Resterà fedele per tutta la vita a questa sua scelta e affezione anacronistica, che per lui è soprattutto un segno di rispetto ai principi. Il giorno del compleanno di Umberto II manda ogni volta gli auguri al re esule e a Capodanno un telegramma. E quando, nel 1964, in occasione di un viaggio a Nizza organizzato dall’Unione monarchica conosce il re e parla con lui per qualche minuto, prova una profonda emozione.
Considera Giovanni XXIII un antipapa, un usurpatore. In nome della tradizione che per lui è ancoraggio di ogni umano agire ha invece una sorta di venerato rispetto per Pio XII. Ogni volta che va a Roma, se fa in tempo, visita la sua tomba. Il papa autoritario, il papa dell’iconografia bizantina, ma anche il papa della sua infanzia.
Ambrosoli non è così reazionario come può apparire. Conservatore, anticomunista per educazione, cultura, storia famigliare, è sostanzialmente un liberale vecchia maniera, un uomo della Destra storica. Negli ultimi anni della vita arriverà ad apprezzare i programmi e i comportamenti del Partito repubblicano.
La politica, per lui, è ancora peggio dell’arte del possibile, è solo l’arte dell’intrigo, dell’imbroglio, della sopraffazione. La politica è la maledetta politica, i partiti sono i responsabili della degradazione nazionale, nemici dell’interesse collettivo, sempre dalla parte dell’interesse particolare, anche se inverecondo, anche se contrario a ogni codice naturale, morale, penale. Uomo dello Stato, proverà su di sé che cosa significa avere nemiche le istituzioni e alleati solo uomini anomali e senza potere.
La sua esperienza di commissario liquidatore è un crudo test delle pratiche sociali e civili di un Paese. La sua agenda è anche un collage utile alla scienza politica. Il 4 aprile 1977, per esempio, Ambrosoli ha necessità di un intervento in Parlamento. Michele Sindona, colpito da mandato di cattura, latitante, sta tentando, con le sue protezioni politiche, di comprare, anzi...

Indice dei contenuti

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Prefazione
  5. Un eroe borghese
  6. Note