Economia. Istruzioni per l'uso
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Individui egoisti e perfettamente razionali, mercati che si regolano da soli, sacrifici necessari: l'economia è davvero «la scienza triste»? Certo sembrerebbe meno triste, se gli economisti parlassero in modo più chiaro, muovendo dalla realtà quotidiana delle persone in carne e ossa anziché da modelli astratti e intricati, severi nella loro ineluttabilità. Ma il punto è che l'economia non è una scienza come la chimica o la fisica, nelle quali tutte le domande hanno una sola risposta. L'economia è una questione politica, in cui non esistono verità oggettive e ogni teoria implica giudizi morali diversi, privilegia gli interessi di gruppi diversi e prescrive scelte politiche diverse. Dopo il best seller internazionale 23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo, Ha-Joon Chang propone un manuale economico arguto e irriverente, pensato per essere compreso da tutti eppure mai superficiale. L'obiettivo non è spiegare al lettore che cosa pensare, ma in che modo pensare riguardo all'economia. Mai come oggi, immersi in una recessione epocale che tocca da vicino le nostre vite, i grandi temi dell'economia possono essere compresi soltanto in una prospettiva aperta e plurale: la storia del capitalismo, con le sue crisi e le sue età dell'oro; i concetti di crescita e sviluppo, scambio, reddito, consumo, povertà e disuguaglianza; i meccanismi della produzione e l'impronta della tecnologia; la centralità del lavoro e le cause della disoccupazione; il funzionamento del sistema bancario e il predominio della finanza speculativa; il ruolo dello stato – «minimo» o interventista? – e i comportamenti – non sempre razionali – degli individui. Chang rispolvera i più preziosi strumenti teorici di ciascuna scuola economica, sepolti nei meandri del conformismo neoliberista: dai classici agli istituzionalisti, da Marx a Schumpeter, dagli austriaci a Keynes, passando per le tradizioni comportamentale e sviluppista, ogni corrente di pensiero offre spunti illuminanti. Economia. Istruzioni per l'uso, però, è anche e soprattutto una guida pratica, che offre un'ampia mole di informazioni e dati reali tanto sui paesi più ricchi quanto su quelli in via di sviluppo; un ricchissimo repertorio di strumenti per orientarsi nelle sconcertanti trasformazioni del nostro tempo, senza deleghe a «tecnici», politicanti e apprendisti stregoni.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788865764619
Argomento
Business

PARTE SECONDA

Usare l’economia

6. Quanto volete che faccia?

Output, reddito e felicità
QUANDO: Anni trenta, un giorno qualunque
DOVE: Ufficio del Gosplan, l’autorità di pianificazione centrale dell’Urss
CHE COSA: Colloquio per la posizione di responsabile statistico
Durante il colloquio, al primo candidato viene chiesto: «Quanto fa due più due, compagno?». E lui risponde: «Cinque».
Il presidente della commissione di valutazione sorride con indulgenza e dice: «Compagno, apprezziamo il tuo entusiasmo rivoluzionario, ma questo lavoro richiede qualcuno che sappia far di conto». Il candidato è gentilmente invitato a uscire.
La risposta del secondo candidato è: «Tre». Il membro più giovane della commissione di valutazione si alza di scatto e ordina: «Arrestate quest’uomo! Non possiamo tollerare questa propaganda controrivoluzionaria che sottostima i nostri risultati!». Le guardie trascinano il secondo candidato fuori dalla stanza senza troppi riguardi.
Alla stessa domanda, il terzo candidato risponde: «Ovviamente, quattro». Il membro della commissione dall’aria più accademica si lancia in una severa reprimenda sui limiti della scienza borghese, ancorata com’è alla logica formale. Il candidato china la testa pieno di vergogna ed esce dalla stanza.
Il quarto candidato viene assunto.
Qual è stata la sua risposta?
«Quanto volete che faccia?»

La produzione

Il Prodotto interno lordo o Pil

Persino nei paesi socialisti è raro che i dati sulla produzione (o output) nazionale siano palesemente «costruiti», salvo che in situazioni politiche estreme, come i primi anni del governo Stalin o durante il «Grande balzo in avanti» della Cina di Mao Zedong. In ogni caso, sarebbe un errore pensare di poter misurare la produzione, o qualsiasi altro numero dell’economia, come si fa nelle scienze naturali, per esempio nella fisica o nella chimica.
La misura della produzione preferita dagli economisti è il Prodotto interno lordo o Pil che, a grandi linee, è il valore monetario totale di ciò che è stato prodotto all’interno di un paese in un dato periodo: di solito un anno, ma anche un trimestre o addirittura un mese.
Non è un caso che abbia scritto «a grandi linee», perché «ciò che è stato prodotto» ha bisogno di una definizione. Nel calcolo del Pil misuriamo la produzione – o prodotto – in base al valore aggiunto, ossia il valore dei beni e servizi finali meno il valore dei prodotti intermedi. Supponiamo che un panificio guadagni 150000 euro l’anno vendendo pane e pasticcini: se ha pagato 100000 euro per acquistare i vari prodotti intermedi – le materie prime (farina, burro, uova, zucchero), il gas, l’energia elettrica e altro – ha aggiunto solo 50000 euro al valore di quei prodotti.
Se non sottraessimo il valore dei prodotti intermedi e semplicemente sommassimo i beni e i servizi di ogni produttore, conteremmo due, tre o più volte alcuni elementi, gonfiando la produzione effettiva. Il panettiere ha comprato la farina da un’azienda di macinatura, quindi, sommando tra loro la produzione del panettiere e del mugnaio, conteremmo due volte la farina acquistata dal primo.
Il mugnaio ha comprato il grano da un contadino, quindi, se aggiungessimo semplicemente la produzione del contadino a quella del mugnaio e del panettiere, conteremmo tre volte la parte di prodotto ceduta al mugnaio e poi rivenduta, sotto forma di farina, al panettiere. Solo calcolando il valore «aggiunto» si può misurare l’entità reale della produzione.1
E che cosa significa il termine «lordo» della sigla Pil? Significa che non abbiamo ancora sottratto qualcosa che invece potremmo togliere dal quadro d’insieme, esattamente come nell’indicazione del peso lordo e del peso netto sulle scatolette di tonno (cioè il peso del pesce sgocciolato, senza l’olio o la salamoia). Nel caso del Pil, il «qualcosa» da togliere è relativo alla parte deteriorata dei beni capitali: in sostanza i macchinari, come i forni della panetteria, le impastatrici e le affettatrici. I beni capitali, cioè i macchinari, non vengono «consumati» e inseriti nella produzione come avviene per la farina nel caso del pane, ma sono soggetti a una riduzione di valore economico che deriva dall’uso, e che è nota come ammortamento. Se dal Pil togliamo il deterioramento e l’usura dei macchinari, otteniamo il Prodotto interno netto, o Pin.

Il Prodotto interno netto o Pin

Il Pin tiene conto di tutto ciò che è entrato nel processo di produzione – prodotti intermedi e beni capitali – e perciò, rispetto al Pil, offre una rappresentazione più accurata di ciò che l’economia ha generato. Eppure si tende a utilizzare il Pil anziché il Pin, in sostanza perché non esiste un’unica formula condivisa per stimare l’ammortamento dei capitali (qui è sufficiente accennare che esistono metodologie molto diverse), e questo rende piuttosto insidiosa la definizione della lettera «n» della sigla Pin.
Che cosa vuol dire invece la lettera «i» di Pil? «Interno» significa compreso nei confini di uno stato. Non tutti i produttori sono cittadini o aziende registrati nel paese in cui operano. Da un altro punto di vista si potrebbe dire che non tutti i produttori svolgono la loro attività nella nazione di appartenenza: le aziende hanno impianti di produzione all’estero e le persone lavorano in paesi stranieri.
Si chiama Prodotto nazionale lordo o Pnl il numero che esprime la produzione di tutti i cittadini (e le aziende) di un certo paese, anziché i beni e i servizi prodotti entro i suoi confini territoriali.

Il Prodotto nazionale lordo o Pnl

Negli Stati Uniti o in Norvegia, Pil e Pnl sono grosso modo identici. In Canada, Brasile e India, dove operano molte aziende straniere, ma poche aziende nazionali producono all’estero, il Pil può superare il Pnl anche del 10 per cento. In Svezia e Svizzera, dove il numero di imprese nazionali attive all’estero è maggiore rispetto a quello delle aziende straniere che operano sul territorio nazionale, il Pnl è più alto del Pil, nel 2010 rispettivamente del 2,5 per cento e del 5 per cento circa.
Il Pil è usato più spesso del Pnl perché nel breve termine si rivela un indicatore più preciso del livello delle attività produttive svolte all’interno di un paese. D’altro canto, però, il Pnl misura meglio la forza di un’economia nel lungo termine.
Un paese può avere un Pil (Pnl) superiore a un altro, ma questo può dipendere da una popolazione più numerosa. Perciò, se vogliamo sapere quanto è produttiva un’economia, dobbiamo necessariamente guardare al Pil o al Pnl pro capite (a testa, o a persona se preferite). In realtà la questione è più complessa, ma per il momento non ne terremo conto; se volete approfondire, rimando alla nota.2

I limiti di Pil e Pnl

Gli indicatori del Pil e del Pnl presentano un limite fondamentale: misurano la produzione secondo i prezzi di mercato. Dato che molte attività economiche si svolgono fuori dal mercato, il valore della loro produzione deve in qualche modo essere calcolato (l’espressione tecnica è «imputato»). Per esempio, molti contadini dei paesi in via di sviluppo si dedicano all’agricoltura di sussistenza e consumano gran parte del cibo che producono. Perciò è necessario stimarne la quantità e imputare dei valori di mercato a ciò che questi contadini hanno prodotto ma non venduto sul mercato (e consumato in prima persona). O ancora, quando le persone vivono in abitazioni di proprietà, si imputa il valore dei relativi «servizi abitativi», come se i proprietari corrispondessero a se stessi un affitto a prezzi di mercato. Diversamente dai prodotti scambiati attraverso il mercato, l’imputazione di valori di mercato a prodotti non commercializzati comporta approssimazioni che compromettono l’accuratezza dei numeri.
Fatto ancora più grave, esiste una particolare classe di prodotti non commercializzati sul mercato il cui valore non è nemmeno imputato. Il lavoro domestico, che comprende attività come cucinare, pulire, prendersi cura dei bambini o dei familiari anziani e altro, non entra a far parte del Pil o del Pnl. Secondo una battuta che gira tra gli economisti, se sposi la tua governante o la tua domestica riduci la produzione nazionale. Di solito ci si giustifica sostenendo che è difficile imputare un valore ai lavori domestici, ma si tratta di una difesa molto debole. Dopotutto, imputiamo un valore a qualsiasi altro tipo di attività economica non commercializzata, compreso il vivere in una casa di proprietà. Ed essendo la maggior parte del lavoro domestico svolto dalle donne, questa pratica ha come conseguenza una pesante sottovalutazione del lavoro femminile. Molte stime attribuiscono al lavoro domestico un valore che si aggira intorno al 30 per cento del Pil.
LE CIFRE REALI

Perché è necessario conoscere le «cifre reali»?

Nonostante l’economia dia l’impressione di essere una scienza fatta di «cifre», in realtà, per come è insegnata oggi, si tratta di una materia piuttosto carente di numeri. Capita spesso che un laureato in economia ignori alcuni dati economici «ovvi», come il Pil o le ore di lavoro medie nel proprio paese.
Nessuno, alla fine, riesce a ricordarne più di una manciata, e nell’era di Internet non è neppure necessario, perché si possono consultare facilmente. Ma credo sia importante che i lettori familiarizzino con alcune di queste «cifre reali», anche solo per sapere quali sono quelle che contano. E, ancora più importante, è necessario sviluppare il senso di come si presenta il nostro mondo economico nella realtà: quando ci riferiamo al Pil della Cina, parliamo di centinaia o migliaia di miliardi di dollari? Quando affermiamo che il Sudafrica ha uno dei livelli di disoccupazione più alti del mondo, stiamo parlando del 15 o del 30 per cento? Quando sosteniamo che un’alta percentuale della popolazione indiana vive in povertà, intendiamo il 20 o il 40 per cento? Ecco perché in questo e nei prossimi capitoli fornirò una selezione delle cifre economiche reali più importanti.

La maggior parte dei beni e servizi mondiali è prodotta da un numero limitato di paesi

Secondo i dati della Banca mondiale, nel 2010 il Pil mondiale ammontava a circa 63400 miliardi di dollari. Le principali economie, in base al Pil, erano gli Stati Uniti (22,7 per cento dell’economia mondiale), la Cina (9,4), il Giappone (8,7), la Germania (5,2) e la Francia (4).3 Questi cinque paesi concentravano la metà della produzione mondiale.
Nel 2010, i cosiddetti «paesi ad alto reddito» nella classifica della Banca mondiale (con un reddito pro capite superiore a 12276 dollari) registravano un Pil complessivo di 44900 miliardi di dollari4 e rappresentavano il 70,8 per cento dell’economia mondiale. Il resto del mondo, o mondo in via di sviluppo, aveva un Pil complessivo di 18500 miliardi di dollari, equivalente al 29,2 per cento del Pil mondiale. Ma due terzi (66,6 per cento) di questi 18500 miliardi di dollari erano prodotti dalle cinque maggiori economie in via di sviluppo: Cina, Brasile, India, Russia e Messico.5 Il resto del mondo in via di sviluppo, con un Pil totale di 6300 miliardi di dollari, rappresentava poco meno del 10 per cento dell’economia ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Prologo. Perché preoccuparsi?
  3. Primo interludio. Come leggere questo libro
  4. PARTE PRIMA. Familiarizzare con l’economia
  5. Secondo interludio. Andiamo avanti…
  6. PARTE SECONDA. Usare l’economia
  7. Epilogo. E adesso?
  8. Note
  9. Ringraziamenti
  10. Sommario