I. La monogenitorialità femminile nella storia. Modelli, leggi, rappresentazioni collettive ed esperienze individuali INTRODUZIONE
Ricercando documentazione storica sul fenomeno della monogenitorialità femminile, mi hanno particolarmente colpita due fatti: la scoperta che la storia dell’Occidente pullula di figli di madri sole (si tratta di un numero di personaggi talmente impressionante che va ben al di là di alcuni “casi esemplari”), e l’assenza di una storia sistematica ed esaustiva della monogenitorialità femminile, che tenga conto delle numerose ricerche storiche da cui si possono trarre informazioni e dati attinti da fonti primarie. Per quello che riguarda il primo fatto, l’alto numero di personaggi storici figli di madri sole (principalmente vedove, ma anche separate e madri nubili), basta prendere in mano un’enciclopedia e leggere le biografie degli uomini e delle donne che a diverso titolo vi hanno meritato un posto per il loro ruolo nella politica, nell’arte, nella letteratura – appartenenti peraltro a diverse classi sociali – per scoprire quanti di loro sono stati allevati da una madre, e non da una coppia, avendo perso il padre nella prima infanzia o non avendolo mai avuto1. Possiamo cominciare dai politici Tiberio e Caio Gracco, allevati dalla madre Cornelia, vedova che rifiutò di risposarsi, per arrivare al presidente degli Stati Uniti Obama, passando per l’imperatore Costantino, artisti come Caravaggio, Gaugin, Hundertwasser, poeti della levatura di Foscolo e Lord Byron, scrittori quali Dumas (sia il padre che il figlio), Zola, Saint-Exupéry, i geniali registi Chaplin e Welles... La lista è interminabile. Nell’ultimo scorcio del secolo passato e nel primo decennio di questo capi di stato figli di madri singole (vedove o divorziate) hanno governato i paesi più potenti del pianeta: Clinton, Schroeder, Sarkozy e, last but not least, appunto Obama...
In uno dei pochi libri aventi per tema la storia delle madri sole: Holding Her Head High: 12 Single Mothers Who Championed Their Children and Changed History (Tenendo alta la loro testa: 12 madri sole che spinsero in alto i loro figli e cambiarono la storia), pubblicato nel 2008, l’autrice, l’americana Janine Turner, esprime un’analogo stupore: «Quando l’idea di questo libro mi è venuta per la prima volta, mi preoccupavo di non riuscire a trovare un numero sufficiente di madri sole nella storia o abbastanza documentazione per produrre un libro di valore. Ebbene, mi sbagliavo! Rimasi sorpresa dal numero di madri sole attraverso i secoli. Si pensa che la maternità singola sia un fenomeno moderno, ma non lo è»2 (p. XVIII).
La Turner riporta le biografie di dodici madri sole di diverse epoche storiche, condizione sociale e cultura: tra loro Elena Augusta, madre dell’imperatore Costantino, concubina e santa; Bianca di Castiglia, regina di Francia; la scrittrice italo-francese Christine de Pizan; le eroine della storia americana al momento della fondazione della nazione nel XVIII secolo, come Rachel Lavein Fawcett, madre di Alexander Hamilton, primo ministro del Tesoro americano, Isabella Graham, fondatrice a New York delle Relief Societies per sostenere le madri sole, Elizabeth Timothy, prima editrice americana, e Abigail Adams, moglie del presidente John Quincey Adams, che gestì la famiglia per decenni; fino alla schiava Harriet Jacobs e le pioniere dell’Ovest, Elinore Pruitt Stewart, Aunt Clara Brown e Belva Lockwood. Il libro non ha ambizioni scientifiche. Janine Turner non è una studiosa… è un’attrice; in politica è repubblicana (ha fatto campagna per Sarah Palin), è una fervida credente (di confessione battista) ed è madre sola di una figlia che adora, Juliette. Nell’introduzione, Janine Turner dichiara che la sua decisione di scrivere un libro sulle single mothers della storia è stata motivata dalla volontà di dare coraggio alle donne che allevano i figli da sole, allontanando le preoccupazioni relative alla loro condizione: «Ho scritto questo libro per ispirare queste donne. L’ho scritto perché le single mothers di oggi non si sentano sole, preoccupate, oppresse da un peso insopportabile o dalla vergogna, o depresse»3 (p. XVII).
Pur non essendo una studiosa, Janine Turner si premura di rispondere alle possibili obiezioni “scientifiche” degli storici, per esempio sulla congruenza tra la categoria odierna di madre sola e le figure descritte nel libro, vissute in epoche molto diverse e separate l’una dell’altra per via della classe di appartenenza e dello status sociale. Janine Turner risponde che, grazie all’approccio biografico e all’analisi del contesto dell’epoca, emerge la complessità e la diversità delle situazioni del passato, ma che la complessità e la diversità, per età, posizione sociale, rapporto con i padri, caratterizzano anche la situazione d’oggi: cosa hanno in comune l’adolescente di colore del Bronx, che alleva il figlio grazie al sussidio, e Jodie Foster o Gianna Nannini, che hanno consapevolmente scelto di avere figli da sole? Gli esempi del passato, nella varietà delle situazioni e delle classi, dimostra, semmai, che la condizione di famiglia monogenitoriale – di per sé – non ha mai impedito la realizzazione di vite ricche, degne e nobili né alle madri né ai figli. Spesso sono stati proprio i figli a testimoniare della forza del messaggio trasmesso dalle madri sole che li hanno allevati, anche in condizioni economiche difficili (non tutte le madri sole descritte da Janine Turner appartengono a classi sociali elevate).
Il secondo fatto – l’assenza di una storia sistematica della famiglia monogenitoriale e della condizione di madre singola nelle diverse epoche – non è sorprendente: le donne, in generale, sono state ignorate dalla storiografia ufficiale; solamente negli ultimi anni, grazie alla storiografia femminista, artiste, scienziate, cortigiane, scrittrici, artigiane e contadine sono uscite, a poco a poco, dalle nebbie del passato. Gli studi biografici consacrati a diverse figure femminili raramente hanno preso in considerazione la condizione di monogenitorialità in quanto elemento se non centrale, per lo meno cruciale nella vita di scrittrici, artiste, intellettuali, come Christine de Pizan, George Sand, Maria Montessori – sebbene esse stesse abbiano, a più riprese, fatto riferimento ai figli che hanno allevato da sole nei loro scritti. La stessa considerazione vale per le biografie di cortigiane e concubine, molte delle quali furono madri sole, come, per esempio, la veneziana Veronica Franco, apprezzata poetessa. Gli storici e persino le storiche – anche quelle facenti riferimento al femminismo – hanno di solito focalizzato le relazioni di genere e l’interazione con gli uomini; fidanzati, amanti o mariti. Questo è, per esempio, il taglio della ricerca di Jan N. Bremmer e Lourens Van Den Bosch (1995) sulla storia delle vedovanze e di Marilyn Yalom (2001) incentrata sulla figura della moglie. In altri studi, l’interesse si concentra piuttosto sul ruolo sociale, come per esempio, negli studi sulle donne nubili raccolti da Judith M. Bennett e Amy M. Froide (1998). Perfino le storiche della maternità hanno consacrato poche pagine alla monogenitorialità. Yvonne Knibielher e Catherine Fouquet, nella loro ricerca pioniera, Histoire des Mères (1977), insistono soprattutto sulle caratteristiche della maternità nel mondo contadino (che, non dimentichiamolo, comprendeva otto persone su dieci in Europa fino alla fine del XVIII secolo), dove lavoro produttivo e riproduttivo s’intrecciavano, e sulla sua riconfigurazione nel corso del XIX secolo, in seguito alla rivoluzione industriale, all’urbanizzazione e alla formazione degli stati nazionali, quando il lavoro produttivo venne separato dalla maternità. In L’amour en plus Elizabeth Badinter (1980) approfondisce la diversa percezione della maternità e del ruolo della madre a seconda della classe sociale, sostenendo la tesi che l’istinto materno sia una costruzione sociale.
L’assenza di studi esaustivi sulla monogenitorialità femminile può essere giustificata da diversi fattori, il primo dei quali riguarda la complessità della storia stessa della famiglia, che non si snoda in uno sviluppo lineare, ma in «percorsi e tipologie dissimili che possono variare molto a seconda delle aree geografiche studiate; non solo: durante una stessa epoca e all’interno della stessa area geografica convivono a volte forme diverse di aggregati domestici» (Pesenti, 1998: 115). Al di là della fondamentale questione di classe la monogenitorialità non assume infatti la stessa valenza sociale in un contesto di famiglia estesa o di famiglia nucleare. Il secondo fattore riguarda la definizione stessa di madre sola. Fino a un’epoca recente, le madri sole non potevano essere comprese in un’unica categoria, che includesse figure femminili che erano rigorosamente divise nello status giuridico, nella rappresentazione e nella condizione sociali: la vedova e la madre nubile (o ragazza-madre). «Da sempre i bambini sono stati allevati da un solo genitore, ma era inconcepibile raggruppare in una stessa categoria delle situazioni che si trovavano agli estremi della gerarchia sociale: la vedova di guerra alla sommità della scala e la ragazza-madre in basso» (Drieskens, 2000). Quanto alla madre divorziata, presente nella Roma antica, in Occidente non ricomparve, almeno ufficialmente, che a partire dal XIX secolo. È importante sottolineare ufficialmente, perché recenti studi mostrano come, durante tutta la storia dell’Europa, «sia incalcolabile il numero di mariti e mogli, soprattutto appartenenti a ceti popolari, che optarono per una separazione informale, sancita con una fuga, un abbandono oppure con un accordo» (La Rocca, 2009)4. L’interessante lavoro di Chiara la Rocca sul fenomeno della separazione coniugale nella Livorno settecentesca apre uno squarcio su una realtà che, nel passato, era diffusa, «mentre resta tuttora dominante l’opinione secondo cui la separazione coniugale deve considerarsi un epifenomeno della modernità»5. L’autrice sottolinea anche come, in questi casi, non si faccia, generalmente, menzione dei figli6, nella cultura dell’epoca essendo la relazione tra i coniugi (e la questione dei beni, data la problematica della dote portata dalla moglie), predominante rispetto a quella della genitorialità.
Come già sottolineato, la categoria di madre utilizzata oggi è dunque il prodotto dell’idea moderna che pone al centro della famiglia proprio la genitorialità. Altro principio moderno che fonda la categoria della madre sola è il principio di uguaglianza tra i figli che – fino a poco tempo fa – erano invece divisi in “legittimi” e “illegittimi” o “naturali”. Finché questa separazione si è mantenuta, la vedova, soprattutto se vedova di guerra, era esaltata come figura eroica, mentre la madre nubile (o la ragazza-madre) era disprezzata7: le due figure avevano uno status sociale completamente diverso. La famiglia con a capo una vedova era dunque perfettamente accettata nella società, essendo anzi parte della “norma”, come pure il nucleo familiare ricomposto: la stessa vita – con l’imprevedibilità della morte – rappresentava una sfida all’idea della durata implicita del matrimonio e della famiglia – messa come ipotesi al momento del contratto o del sacramento nella sua tensione verso la continuità generazionale. Scrive Marilyn Yalom, riferendosi all’America dei Puritani:
Lo schema premoderno della morte precoce di una moglie, come pure la morte di alcuni dei suoi figli nell’infanzia ... era comune. Ed era certamente comune per mariti e mogli vedove risposarsi, formando delle nuove famiglie composte dai figli dei matrimoni precedenti. Quando pensiamo alle famiglie “ricomposte” di oggi per via del divorzio, esse impallidiscono in comparazione con il numero di famiglie ricomposte, occasionate dalla morte agli albori dell’America8.
La storia della monogenitorialità femminile è pertanto stata scritta principalmente dalle vedove. Sulle divorziate – che pure sono esistite, come abbiamo visto – sappiamo pochissimo; quanto alla vicenda delle madri nubili, essa varia profondamente a seconda delle epoche e delle classi sociali, essendo peraltro intrecciata con quella del concubinato, pratica diffusissima in tutta la storia dell’Occidente e legittimata presso i ceti elevati9. Soltanto alla fine del Rinascimento, in diversi paesi europei, la questione della maternità nubile nelle classi inferiori appare come un problema sociale per le istituzioni statali o religiose che, per gestirlo, fondano i vari Ospedali per trovatelli. Secondo Shorter, che ha come riferimento principale l’Inghilterra, è nel Settecento che, soprattutto tra i giovani dei ceti sociali inferiori, aumenta il numero delle relazioni prematrimoniali, mentre cresce vertiginosamente il numero delle nascite illegittime. I dati di altri paesi europei, come la Francia, tendono a confermare la tesi di Shorter. Emergenza di un problema sociale non significa necessariamente stigmatizzazione degli attori: in quella che fu la piccola rivoluzione sessuale del XVIII secolo, l’atteggiamento verso le madri nubili fu – probabilmente, ma mancano ancora studi approfonditi – più benigno che nel corso del XIX secolo, quando la famiglia assume una valenza sociale, diventando garante dell’ordine dello stato. La pressione sulle ragazze-madri si accentuò per quello che riguarda la dimensione istituzionale e politica, pressione legittimata da una nuova letteratura medica, psichiatrica e psicologica. In compenso, una nuova visione delle relazioni di genere – basata sui diritti individuali e la libertà di scelta – portata avanti da liberali, socialisti, anarchici e dal nascente movimento femminista si oppose alla stigmatizzazione. L’analisi della rappresentazione sociale di una condizione genitoriale specifica nell’ambito delle opinioni e ideologie dominanti è una chiave di lettura imprescindibile.
Al momento di sistematizzare il materiale raccolto ho dunque optato per un approccio che confronti i presupposti ideologici, le rappresentazioni sociali e le strutture giuridiche del matrimonio e della famiglia con alcune esperienze individuali selezionate: ho preso infatti spunto dall’idea che la collettività non si riduce alla somma degli individui che la compongono, e che le esperienze individuali hanno rappresentato – in quest’ambito – momenti di rottura rispetto alle norme del tempo. Avendo privilegiato quest’approccio, ho, volutamente, trascurato le funzioni economiche della famiglia nella loro diversificazione in classi e nell’articolazione tra mondo urbano e mondo rurale (che ha costituito la maggioranza della popolazione europea fino al XX secolo, ma che ha lasciato poche testimonianze in materia di monogenitorialità).