Postcapitalismo
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L'agonia del capitalismo è irreversibile. Il prezzo della sua sopravvivenza è un futuro di caos, oligarchia e nuovi conflitti.La crisi economica scoppiata nel 2008 si è trasformata in una crisi sociale e infine in un autentico sconvolgimento dell'ordine mondiale: oggi, questo capitalismo malato e segnato dal predominio della finanza scarica i costi della recessione sui più deboli; si dimostra incapace di far fronte alle minacce del riscaldamento globale, dell'invecchiamento della popolazione e dell'incontrollato boom demografico nel Sud del mondo; e mette a rischio la democrazia e la pace. Ma superare il capitalismo è possibile. E mentre fra la popolazione serpeggia un senso di paura e rassegnazione, dalle tecnologie informatiche emerge la possibilità di una svolta radicale. La nuova economia di rete, fondata sulla conoscenza, mina infatti i presupposti stessi del capitalismo – riducendo la necessità del lavoro e abbassando sempre più i costi di produzione –, e i beni d'informazione erodono la capacità del mercato di formare correttamente i prezzi, perché se il mercato si basa sulla scarsità, l'informazione è inveceabbondante. Nel frattempo, si sta affermando un nuovo modo di produzione collaborativo, che non risponde ai dettami del profitto e della gerarchia manageriale, ma ai principi della condivisione, della responsabilità reciproca e della gratuità.In questo libro subito protagonista del dibattito internazionale, Paul Mason ripercorre la storia del capitalismo e dei suoi critici – da Marx in avanti – e traccia una mappa delle sue attuali contraddizioni, in particolare fra l'abbondanza di informazioni gratuite e un sistema di monopoli, banche e governi che cerca di mantenere ogni bene scarso e commercializzabile. La sua analisi mostra come dalle ceneri del fallimento economico dell'Occidente sia nata la possibilità di costruire una società più umana, equa e sostenibile. Ma il capitalismo non può essere abbattuto dall'alto, a tappe forzate. Spetta a noi farci agente collettivo del cambiamento storico; abbiamo gli strumenti per riappropriarci del futuro: il postcapitalismo non è un'utopia.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788865765067
Argomento
Business

PARTE SECONDA

Siamo impegnati in un grandioso progetto per accrescere, amplificare, potenziare ed estendere i rapporti e le comunicazioni fra tutti gli esseri viventi e tutti gli oggetti.
KEVIN KELLY1

5. I profeti del postcapitalismo

Il motore a reazione è stato una delle tecnologie chiave dell’onda lunga postbellica. In particolare, la turboventola, inventata durante la Seconda guerra mondiale, è una tecnologia matura, che non dovrebbe riservare sorprese. Eppure ne produce.
La turboventola funziona risucchiando aria compressa nella parte anteriore, infiammandola per farla espandere: l’aria espansa aziona una serie di ventole nella parte posteriore, che trasformano il calore in energia. Il problema è che questi motori sono altamente inefficienti: i primi motori a reazione convertivano solo il 20 per cento del calore in energia motrice. Nel 2001 avevano raggiunto un’efficienza del 35 per cento, mentre un veterano del settore stimava prudentemente un’efficienza del 55 per cento «durante il secondo quarto del XXI secolo».1
Perché ci interessa questo argomento? Perché nel 2030 i produttori prevedono che il numero di aerei in attività sarà raddoppiato. Questo significa 60000 nuovi motori a reazione,2 che porteranno il contributo del trasporto aereo al riscaldamento globale dal 3,5 per cento del 2005 al 5 per cento circa di metà secolo.3 Insomma, l’efficienza del motore a reazione non è un tema per fanatici della tecnologia: è una questione di sopravvivenza globale.
Nei suoi primi cinquant’anni, i progettisti erano riusciti a migliorare l’efficienza della turboventola di uno 0,5 per cento annuo. Oggi, invece, stanno facendo passi da gigante: è ormai a portata di mano un livello di efficienza del 65 per cento, e stanno per essere lanciati sul mercato modelli di motore radicalmente nuovi. Gli elementi trainanti di questa trasformazione sono in parte la normativa sulle emissioni di anidride carbonica e in parte il prezzo del carburante. Ciò che la sta rendendo possibile è la tecnologia centrale della quinta onda lunga: l’informatica.
Chi le fabbrica ricorda che le pale del motore venivano modellate con lavorazione a freddo. A partire dagli anni sessanta si cominciò a usare il metallo fuso. Ma il metallo fuso contiene impurità, e le pale si guastavano facilmente.
A quel punto entrò in gioco una delle soluzioni ingegneristiche più incredibili di cui probabilmente avrete mai sentito parlare. Nel 1980, gli ingegneri della statunitense Pratt & Whitney ricavarono una pala d’elica da un monocristallo metallico modellato sottovuoto.4 Il risultato fu un metallo dalla struttura atomica mai esistita prima. Una pala monocristallina unica è in grado di reggere velocità maggiori. Con le superleghe, la pala può sopportare temperature dell’aria superiori al suo punto di fusione. Ora la roadmap ufficiale5 dei motori per aereo prevede l’aggiunta delle marce nel 2015, un sistema a elica aperta, dalla forma bizzarra, nel 2020, e dopo il 2035 un motore in grado di autoraffreddarsi, che dovrebbe portare l’efficienza termica quasi al 100 per cento.
L’informatica gioca un ruolo chiave in ogni aspetto di questa evoluzione. I moderni motori a reazione sono controllati da un computer in grado di analizzare il rendimento, prevedere i problemi e gestire la manutenzione. I motori più avanzati trasmettono i propri dati in tempo reale dall’aeroplano in volo alla sede centrale della società produttrice.
Vediamo ora come le tecnologie informatiche hanno trasformato il processo di progettazione. Ci sono ancora in circolazione aerei progettati su carta, sottoposti alle prove di carico usando il regolo calcolatore, costruiti partendo da modelli a grandezza naturale disegnati su seta. I nuovi aeromobili sono progettati e sperimentati virtualmente, su un supercomputer. «Quando abbiamo progettato la deriva di coda del caccia Tornado, abbiamo effettuato dodici prove di carico» mi ha detto un vecchio ingegnere. «Con il suo sostituto, il Typhoon, ne abbiamo fatte 186 milioni.»
I computer hanno rivoluzionato anche il processo di costruzione. Oggi gli ingegneri costruiscono ogni elemento dell’aereo «virtualmente», usando modelli digitali tridimensionali su supercomputer. In questi modelli, ogni vite d’ottone ha le caratteristiche fisiche di una vite d’ottone, ogni lastra in fibra di carbonio si piega e si flette come se fosse reale. Ogni fase del processo di fabbricazione viene modellizzata prima ancora che sia stato costruito un solo oggetto fisico.
Il mercato mondiale dei motori a reazione vale 21 miliardi di dollari l’anno, perciò quella che segue è una domanda da 21 miliardi di dollari: in che misura il valore di un motore a reazione risiede nelle componenti fisiche usate per produrlo, in che misura nella manodopera e in che misura nelle informazioni che incorpora?
Non sperate di trovare una risposta nei bilanci: nei moderni standard di contabilità, la proprietà intellettuale viene valutata a spanne. Secondo uno studio del Sas Institute del 2013, che cercava criteri per assegnare un valore ai dati, non è possibile calcolare in modo adeguato né quanto costa raccogliere i dati né il loro valore di mercato, e neppure il reddito futuro che potrebbero generare. Solo attraverso una forma di contabilità che includa benefici e rischi di natura non economica, le aziende hanno qualche speranza di riuscire a spiegare concretamente agli azionisti quale sia il valore effettivo dei loro dati.6
Il rapporto mostra che mentre le «attività immateriali» nei bilanci delle aziende statunitensi e britanniche crescono a un ritmo quasi triplo rispetto alle attività materiali, il peso effettivo del settore digitale sul Pil resta costante. Vuol dire che c’è qualcosa che non va, nella logica che usiamo per valutare l’aspetto più importante dell’economia moderna.
In ogni caso è evidente, secondo tutti i parametri, che la composizione dei fattori di produzione è stata alterata. Un aereo di linea sembra una tecnologia vecchia. Ma, dalla struttura atomica delle pale del motore al ciclo di progettazione condensato, fino al flusso di dati che invia alla sede centrale della flotta cui appartiene, trabocca di informatica.
Questo fenomeno, che fonde mondo virtuale e mondo reale, è visibile in molti settori: motori di automobili il cui rendimento fisico è dettato da un chip di silicio, pianoforti digitali in grado di scegliere il suono più adatto fra migliaia di campioni di pianoforti reali in base alla forza con cui si premono i tasti. Oggi guardiamo film fatti di pixel invece che di granelli di celluloide, e che contengono intere scene in cui nulla di reale viene inquadrato da una telecamera. Nelle catene di montaggio delle automobili, ogni componente ha un suo codice a barre: quello che fanno gli esseri umani, fra i sibili e i ronzii dei robot, è ordinato e verificato dall’algoritmo di un computer. Il rapporto fra lavoro fisico e informazione è cambiato.
Il grande progresso tecnologico di inizio XXI secolo non consiste in nuovi oggetti, ma nell’aver reso intelligenti quelli vecchi. La conoscenza contenuta nei prodotti sta diventando più preziosa degli elementi fisici usati per produrli.
Negli anni novanta, quando si cominciò a comprendere l’impatto delle tecnologie informatiche, studiosi di numerose discipline ebbero contemporaneamente la stessa intuizione: il capitalismo stava diventando qualcosa di qualitativamente differente.
Diventarono di moda espressioni come economia della conoscenza, società dell’informazione, capitalismo cognitivo. L’assunto di partenza era che l’infocapitalismo e il modello liberista lavoravano di concerto, riproducendosi e rafforzandosi a vicenda. Secondo alcuni, si trattava di un cambiamento epocale, importante quanto il passaggio dal capitalismo mercantile al capitalismo industriale nel XVIII secolo. Ma non appena gli economisti hanno provato a spiegare come funziona questo «terzo tipo di capitalismo», sono incappati in un problema: non funziona.
Ci sono sempre più prove che le tecnologie informatiche, invece di creare una forma di capitalismo nuova e stabile, stanno dissolvendo il capitalismo: corrodono i meccanismi di mercato, erodono i diritti di proprietà e distruggono la vecchia relazione fra salari, lavoro e profitto. In un primo momento l’intuizione è venuta da una strana accozzaglia di filosofi, esperti di management e avvocati.
In questo capitolo, passerò in rassegna le loro principali teorie. Poi proporrò qualcosa di ancora più radicale: le tecnologie informatiche ci stanno portando verso un’economia postcapitalista.

Drucker: l’importanza di porre le domande giuste

Nel 1993, Peter Drucker, figura leggendaria del management, scriveva: «Questa conoscenza è diventata la risorsa, invece che una risorsa, è l’elemento che rende la nostra società “postcapitalista”. Trasforma, e in modo fondamentale, la struttura della società. Crea nuove dinamiche sociali. Crea nuove dinamiche economiche. Crea una nuova politica».7 All’età di novant’anni, l’ultimo allievo di Joseph Schumpeter ancora in vita aveva anticipato un po’ troppo i tempi, ma la sua intuizione era corretta.
La tesi di Drucker poggia sull’asserzione che i vecchi fattori di produzione – terra, lavoro e capitale – sono diventati secondari rispetto all’informazione. Nel suo libro La società post-capitalistica, lo studioso austriaco sosteneva che qualcosa di nuovo stesse rimpiazzando certe norme essenziali del capitalismo. Drucker scriveva in un anno in cui nessuno aveva ancora mai visto un browser, osservava il capitalismo informatizzato degli anni ottanta e immaginava a grandi linee l’economia di rete che sarebbe emersa nei vent’anni successivi.
È a questo che servono i visionari. Mentre molti intorno a lui vedevano nell’accoppiata «informatica più neoliberismo» una versione perfezionata del capitalismo, Drucker si spingeva più in là, immaginando l’infocapitalismo come una transizione verso qualcos’altro. Constatava come, nonostante tutti i discorsi che si sentivano fare sull’informatica, non esistesse alcuna teoria su come si comporta realmente l’informatica in termini economici. In assenza di una teoria di questo tipo, poneva una serie di domande su che cosa potrebbe comportare un’economia postcapitalista.
La prima era: come fare per rendere più produttivo il sapere? Se le precedenti fasi del capitalismo si erano basate sull’incremento della produttività di macchine e lavoro, la nuova era doveva basarsi sull’accresciuta produttività della conoscenza. Drucker ipotizzava la soluzione di stabilire connessioni creative fra le diverse discipline della conoscenza: «La capacità di collegare può essere innata e far parte di quel mistero che chiamiamo “genio”. Ma in grande misura si può imparare a collegare e così aumentare la resa della conoscenza esistente – per un individuo, per un gruppo o per tutta l’organizzazione».8
La sfida era insegnare ai lavoratori della conoscenza a realizzare quel tipo di collegamenti che il cervello di un Einstein realizzava spontaneamente. La soluzione di Drucker sembrava uscita da un manuale di management: stabilire una metodologia, elaborare un piano di progetto, migliorare la formazione.
Le discipline umanistiche si sono inventate una soluzione migliore: la rete. Non il prodotto di un piano centralizzato o di un gruppo di manager, ma l’interazione spontanea di persone che usano percorsi e forme di organizzazione che fino a venticinque anni fa non esistevano. L’enfasi di Drucker sui «collegamenti» e l’uso modulare dell’informazione come elemento chiave per la produttività resta comunque un’intuizione brillante.
La seconda domanda di Drucker era altrettanto profonda: chi rappresenta l’archetipo sociale del postcapitalismo? Se schematizzando la realtà storica la società feudale era incarnata dal cavaliere medievale, e il capitalismo dal borghese, chi è l’alfiere delle relazioni sociali del postcapitalismo? È la stessa domanda che angustiava Karl Marx, ma la risposta di Drucker avrebbe costernato la sinistra più tradizionale, convinta che si trattasse del proletario. Sarà, ipotizzava Drucker, «la Persona colta universale».
Lo studioso austriaco immaginava che questo nuovo genere di persona sarebbe emerso dalla fusione fra le classi manageriali e intellettuali della società occidentale, combinando la capacità del manager di applicare la conoscenza a quella dell’intellettuale di padroneggiare concetti puri. Questo individuo sarebbe stato l’opposto dell’intellettuale poliedrico, quella rara tipologia di persone esperte di cinese mandarino e al tempo stesso di fisica nucleare. La Persona colta universale, al contrario, sarebbe stata capace di prendere i risultati di ricerche avanzate in campi ristretti e applicarli a livello generale: applicare la teoria del caos all’economia, la genetica all’archeologia ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Introduzione
  4. PARTE PRIMA
  5. PARTE SECONDA
  6. PARTE TERZA
  7. Ringraziamenti
  8. Note