La grafica è un'opinione
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Informazioni sul libro

Questa raccolta di testi (quasi un diario) è materiale di lavoro parallelo a quel "mestiere di grafico" che l'autore esercita da tempo.È un viaggio nel progetto grafico tra libri, copertine, marchi, fotografie, macchine e software, tecnologie analogiche e digitali, mp3 e vecchi giradischi, cinema e molto altro ancora, dove lo scrivere diventa contrappunto, spazio di libertà e memoria collettiva. Il libro racconta di una generazione di fatto consapevole, i "grafici di mezzo", alla quale l'autore appartiene, che in questi anni ha vissuto una profonda transizione: manualità e artigianato, appresi lentamente "a bottega", sono stati travolti dal "nuovo" che ha trasformato tutto: soggetto e oggetto, mercato, stili, tempi e modi della produzione.

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Informazioni

Editore
Ledizioni
Anno
2013
ISBN
9788867050765
Argomento
Design
Nel 2006 decido di organizzare un libro. Sarà che la mia scrittura non regge l’impianto: non ne faccio nulla. Quindi questo non è un manuale ma ne è solo l’introduzione.
MANUALE DI SOPRAVVIVENZA PER GIOVANI GRAFICI
Questo libro è dedicato ai miei studenti di grafica. Con (e grazie a) loro ho potuto in questi anni ragionare sullo stato di questo mestiere in cambiamento. Lavorando con loro (in laboratori di grafica editoriale, soprattutto) ho visto nascere, aggrovigliarsi e poi capito e messo a nudo alcuni nodi pratici e teorici legati al fare grafico. Contemporaneamente altre persone, con attitudini e metodologie diverse, hanno discusso e scritto dei mutamenti tecnologici dell’oggi. Più o meno in sintonia con questi, ho pensato che fosse venuto il momento di scrivere qualcosa anch’io, come osservatore sì, ma molto dall’interno.
Questo libro è un manuale di sopravvivenza dedicato ai giovani grafici che si affacciano alla professione. Non è esauriente ma di tendenza, nel senso che non è “tecnico” ma chiede di far proprio un punto di vista, questo: non sono affatto sicuro che quella che oggi è considerata la condizione “di fatto” del nostro lavoro di grafici, cioè l’essere inchiodati a una sedia di fronte a un monitor per molte ore, chiusi in se stessi e con una labile connessione alla realtà, sia l’unica condizione possibile. Anzi. Di questo discuto, e fornisco anche prove e qui e là piccoli consigli per sopravvivere. Non penso però: “Prima era meglio” (senza computer). Sono convinto invece che non si possa tornare indietro (nella realtà non esiste un “Ctrl+z”) ma auspico il superamento di questa condizione.
Questo libro è stato scritto anche per me; una specie di autoanalisi: vuole smontare quell’accettazione passiva, una rinuncia quasi, a mettere in discussione “le cose come stanno”. È questa una visione acritica molto comune, pericolosamente incline a pensare “il nuovo che arriva” come un procedere “naturale” delle cose, verso chissà quali orizzonti. Sono stupito anch’io di esser diventato, volente o nolente, e in pochi anni, un così vorace consumatore di computer, periferiche, supporti e programmi costosi; insomma, più che “professionista” essermi adattato a essere “utente”. Ecco perché sento il dovere di parlarne.
Faccio un esempio. Non molti anni fa avevo una gran collezione di musica su vinile; poi vidi l’arrivo del cd. Dicevano fosse fragile e troppo perfetto e freddo; che non avrebbe avuto un suo futuro. Oggi ho una gran collezione di cd, proprio mentre il supporto sta invece sparendo. E la musica, volatile, viaggia ancora nelle nostre orecchie. Con buona pace di chi pensa che tutto ciò si possa fermare. Anche il progetto grafico va avanti, si moltiplicano i soggetti anche se la sua cultura stenta a diffondersi. Queste tecnologie dell’oggi devono lasciare il passo a nuovi strumenti, più vicini all’uomo, ai suoi desideri e alla sua voglia di inventare. Solo così anche la grafica, come la musica, potrà volare.
Il contesto
Il primo tema è il contesto complessivo nel quale il progettista grafico si trova a lavorare. Credo che questo sia un tema realmente generalizzabile che va oltre i confini del luogo nel quale il progettista grafico si trova a lavorare. Insomma globale.
Da un paio di decenni la produzione di artefatti grafici, dalla pubblicità alla produzione editoriale, vive una profonda rivoluzione. Non esiste campo né fase della produzione grafica che non si avvalga di piattaforme tecnologiche evolute, con programmi che riescono a essere molto efficaci e operativi, sia per i grafici che per coloro che ne utilizzano i prodotti. L’introduzione e l’affermarsi delle tecnologie hanno generato un nuovo modo di fare grafica: questo è un dato di fatto, forse più chiaramente percepibile a coloro che – come chi scrive – hanno vissuto in prima persona il “prima” e il “dopo”.
Di questo profondo mutamento la cultura anglosassone – storicamente la più forte e capillare in ambito teorico e critico, e che può contare su una vasta produzione editoriale – non fa gran cenno. Tradizionalmente il suo approccio è filosofico ed estetico, nonostante si tratti di una cultura di matrice pragmatica; la critica del design, e in particolare del design grafico, non si occupa del modo di produzione.
Il caso italiano
Diverso è per il caso italiano. Noi abbiamo una cultura grafica e un’attitudine generale a leggere le tematiche dell’industria culturale a tutto tondo. Non è solo il giudizio estetico a contare ma anche la storia della grafica e al suo interno non è importante solo ciò che viene fatto, ma come. Credo sia giunto il momento di fare il punto su quanto è successo negli ultimi anni e di farlo soprattutto a vantaggio delle giovani generazioni, quelle che da poco si sono affacciate alla professione o stanno per farlo. Ritengo che siano loro ad averne particolarmente bisogno, principalmente per due ragioni.
La prima è che questo passaggio, o meglio questa rottura a opera delle nuove tecnologie, i giovani non l’hanno avvertito. Poiché non hanno vissuto il “prima”, vivono questa nuova condizione come un dato di fatto, una condizione “automatica”. Vorrei provare, per così dire, a “dis-automatizzarla”, rendendo i suoi utenti consapevoli dei propri comportamenti e mostrando che i loro strumenti di lavoro per eccellenza, le nuove tecnologie, non sono di per sé né “buone” né scontate: come tutti gli strumenti hanno vantaggi e svantaggi, possono aprire delle strade o infilarci in vicoli ciechi. Le nuove generazioni si appropriano delle tecnologie con grande facilità, ma vi si accostano con una fiducia ingenua: non si chiedono cosa sono, o perché sono così e non altrimenti; non si domandano se loro sono veramente in grado di conoscerle e padroneggiarle – in una parola, di controllarle.
La seconda ragione è strettamente legata alla prima, e riguarda il presente e il futuro professionale dei grafici, in particolare italiani. Un presente che sconta, accanto alla rottura nel modo di produzione, la rottura nella memoria storica, il mancato passaggio di testimone tra le vecchie generazioni e le nuove.
I grafici che oggi hanno tra i sessanta e i settant’anni interagiscono con grande difficoltà con le nuove tecnologie: o continuano a lavorare con i metodi tradizionali, o cedono le armi e fanno eseguire. Su questo piano, molto elementare, tra la loro generazione e quelle più giovani c’è un muro di incomunicabilità.
C’è un fatto ancora più importante, che emerge particolarmente dalla realtà professionale italiana: perché nessuno, magari ritiratosi dalla professione, ha lasciato in eredità a un gruppo di giovani colleghi il patrimonio dello studio, garantendosi e garantendo loro una continuità indipendente dalla propria presenza e dal proprio nome? L’ha fatto Pentagram per esempio. Perché in Italia questo non accade?
La ragione risiederà forse nelle piccole dimensioni degli studi grafici italiani, ma più sostanzialmente sta nel modo in cui quegli studi sono stati gestiti. Il personalismo, la capitalizzazione individuale del lavoro e degli utili, l’autocompiacimento per la raggiunta fama ma anche la gelosia nel gestire il rapporto con i clienti hanno prevalso sulla consapevolezza del fatto – perché è un fatto – che il lavoro del grafico è un lavoro collettivo, non individuale.
Per tradizione, se di tradizione in questo caso si può parlare, la grafica italiana è sempre stata legata a individui, e sono rarissimi i casi di studi in cui si pratica il ricambio generazionale. Si esauriscono con le loro figure dominanti, come se il nome, l’idea dell’“autore” – quella che possiamo definire “autorialità” – siano più importanti della storia e del lavoro che uno studio ha saputo compiere e sviluppare. Gli autori esistono certo; ma sono soggetti collettivi.
Postmodern
Dopo la sbornia degli ultimi quindici-vent’anni anni legata alla cultura postmoderna, soprattutto alle esperienze anglosassoni e in particolare americane – David Carson, la Cranbrook University, le esperienze di “Emigre”, per citare solo i casi più clamorosi – il trend prevalente è oggi un altro: pulizia, ritorno alla tradizione, a matrici che poggiano le loro fondamenta, per esempio, nella cultura grafica degli anni Sessanta. Conoscere e studiare quella cultura è determinante per affrontare oggi le scelte che si stanno facendo. Se dovessimo scegliere una parola per sintetizzarne il principio informatore potremmo parlare di “ricombinazione”; nella grafica la parola “postmoderno” è stata applicata così: più che un sistema, il postmoderno è stata una parola passepartout che ha contrassegnato un momento di passaggio.
Quel momento di passaggio ha coinciso – guarda caso – con l’introduzione delle nuove tecnologie e con la conseguente possibilità di adottare e usare liberamente e agevolmente stili differenti. Prima di tutto nel lettering: la macchina non solo rende disponibile un’infinità di caratteri tipografici, ma permette anche di produrne di nuovi, ed è in questi anni che vediamo nascere nuove tipologie ibride, caratteri anche molto importanti, come quelli disegnati dai tedeschi.
Nuove tecnologie significa anche grande disponibilità di materiali iconografici, ed ecco che cresce una nuova generazione di grafici che lavora prevalentemente sulla sovrapposizione delle immagini, sul pattern e sul collage. Sono gli stessi programmi a permetterlo e si costruiscono nuove immagini (di cui fanno parte anche i testi) che determinano a loro volta un nuovo modello di lettura: non più tradizionale ma “a mappa”, in cui l’occhio non ha più un punto al quale agganciarsi – quello che tradizionalmente, nella scrittura ordinaria, si trova in alto a sinistra. La visione risultante è quella di una sorta di carta geografica, sulla quale compaiono delle emergenze visive: parole ingrandite in corpi più grandi, o coaguli formati da immagini o testi.
Il libro più noto di David Carson si intitola The End of the Print, la fine della stampa: insieme a quella della carta, si racconta la morte della leggibilità. Quella messa in opera dalla generazione dei grafici postmoderni non è stata certo un’operazione democratica; il valore che oggi possiamo attribuirle è quello della provocazione giocosa che si autoalimentava nel desiderio di mettere in discussione l’eredità del moderno e nella voglia di unicità. Non a caso sono state esperienze molto intense, ad esempio di auto-pubblicazione, come nel caso della rivista “Emigre”; Carson stesso ha realizzato riviste a propria immagine e somiglianza. Grafica autoreferenziale, fortemente compiaciuta di se stessa. Negli anni ‘90 in tutto il mondo i grafici provarono finalmente la soddisfazione della propria visibilità, guardando se stessi, e gli altri come loro, specchiarsi in queste pubblicazioni.
A conti fatti e a esperienza chiusa, oggi sappiamo che furono altri i prodotti veramente significativi di quella generazione. La stampa e la carta – come vedremo più avanti – non sono ancora scomparse, e siamo tornati a pensare che un testo è un testo, e un’immagine è un’immagine, anche se i relativi statuti si sono fatti incerti. Ma come hanno inciso e continuano a incidere quelle esperienze nella nostra pratica attuale? In modo mediato, lo fanno anche attraverso le nuove tecnologie.
Quando si lavora con la carta, foss’anche la carta da lucido, la sovrapposizione in trasparenza è una delle operazioni di più difficile gestione. I programmi di trattamento delle immagini permettono invece di sovrapporre infiniti strati, i quali possono essere facilmente elaborati, mantenuti distinti e agevolmente spostati; alla fine del processo, il tutto viene assemblato in un solo livello. Ecco l’elemento ricombinatorio del postmoderno applicato alla grafica: un gioco di superfici sovrapponibili in cui tutti gli strati hanno lo stesso valore e nessuno ne ha uno proprio, un universo fatto a fette in cui non vige nessuna gerarchia, né cognitiva, né pratica, né etica.
Ed ecco di nuovo l’idea della mappa, priva di punti di partenza e di arrivo. Alla base di quest’idea c’è il concetto di ipertesto; il suo risultato più estremo è stato il cd-rom, oggi dall’incerto destino. Negli anni del boom informatico si disse che i cd-rom avrebbero soppiantato i prodotti cartacei, e sul mercato vennero lanciati un’infinità di prodotti educational – enciclopedie, intere biblioteche, ma anche prodotti ibridi – in una prospettiva globale di miniaturizzazione del sapere. Fu un fallimento, e da qualche tempo a questa parte le edicole propongono di nuovo e con successo intere collane di volumi rilegati ed enciclopedie a fascicoli.
Evidentemente, al di là dei vantaggi dell’informatizzazione del sapere, le persone continuano a sentire l’esigenza di circondarsi di oggetti. Gli oggetti sono dei punti di riferimento: ci parlano, dicono dove ci troviamo e quando. La mappa, sul cui modello sono realizzati i cd-rom, non ce lo dice, e in quella mappa abbiamo paura di perderci: per questo stiamo tornando a modelli di lettura più lineari e rassicuranti.
Ritorniamo così alla parola d’ordine di oggi, quella che nella grafica ispira il ritorno agli stilemi degli anni ‘60: “semplificazione”. Perché se ne avverte un bisogno così urgente? Proprio perché, grazie alle nuove tecnologie, abbiamo l’impressione di poter disporre di qualsiasi cosa, di poter trovare tutto (basti pensare a Internet: “Vado su Internet e trovo tutto”), ma di far fatica a cercare le cose. È proprio l’infinita disponibilità di materiali a rendere più difficile l’orientamento, e se non abbiamo chiaro a priori un progetto che ingabbia, costringe il nostro percorso, rischiamo continuamente di perderci. Se mancano i punti di riferimento – nel caso degli studenti, per esempio, figure autorevoli – tutta questa grande disponibilità finisce per inibire la conoscenza, non per favorirla.
Nel caso dei giovani grafici, lo scollamento, il vuoto lasciato dai grandi maestri ha provocato disorientamento e un procedere a casaccio. Particolarmente rischiosa, se fraintesa, è proprio la strada aperta dal postmoderno: una strada praticabile solo da chi è in grado di lavorare con una sua cifra stilistica non perché ha tutto disponibile, ma perché nel “tutto disponibile” sa già cosa cercare. Il postmoderno è stata un’onda concettuale e filosofica che presupponeva in realtà un rigore estremo: il rigore di una generazione che aveva vissuto l’esperienza del razionalismo in architettura e del funzionalismo nel design, e che è stata in grado di sferrare a quell’esperienza un colpo di spalla di risonanza straordinaria e i cui frutti sono ben più che effimere provocazioni.
Se oggi seguire le impronte del postmoderno risulterebbe quantomeno inattuale, di certo non è possibile neppure ritornare al concetto moderno del progetto. Nella grafica le parole d’ordine sono tornate a essere ordine e pulizia, la finalità è di nuovo un’idea di servizio, di mestiere inteso come riformulazione e ridisegno; ma questo compito appare più arduo rispetto a vent’anni fa, perché è cambiato il contesto; e a questo cambiamento hanno preso parte anche le nuove tecnologie.
Carta
Pensiamo alla carta, il supporto materico per eccellenza: a dispetto di quanto sbandierato una ventina di anni fa, quando gli entusiasti delle nuove tecnologie ne profetizzavano la scomparsa, oggi come mai è massicciamente e capillarmente diffusa, addirittura regalata, e quindi sprecata. Quando si acquista un quotidiano in edicola, in realtà si acquista un mazzo di carta di provenienze, caratteristiche, finalità diverse; nei condomini vengono installate apposite cassette per i materiali pubblicitari. Che sia di buona o di pessima qualità, tutto ciò che viene stampato su quella carta è realizzato da grafici; ma proprio perché gran parte del loro lavoro è sprecato, diventa sempre più difficile attribuirgli valore.
Sprecata e infinitamente disponibile, anche la carta con la sua concretezza prende la volatilità e l’aleatorietà dei supporti tecnologici. Il più rappresentativo in questo senso è il web: l’idea che i dati e le informazioni fluttuino non si sa dove, in un luogo che non c’è, in uno spazio che non ha un centro li svaluta a loro volta, assegnandoli a una realtà priva di gerarchie dove tutto è importante, vero o interessante (oppure scadente, brutto, falso) allo stesso modo. Un’informazione – testo o immagine che sia – può essere dovunque e in nessun luogo; cercarla diventa problematico, e se riusciamo a trovarla, o meglio, se troviamo il suo nome, non sappiamo se sotto quel nome c’è veramente la cosa che cerchiamo o un’informazione a bassa risoluzione, cioè a bassa qualità di informazione. I blog e i social network, che sembrano incarnare la massima libertà e capillarità dell’informazione, si moltiplicano a vista d’occhio. Ma come possiamo essere sicuri della qualità delle informazioni che trasmettono? Certamente essi offrono una possibilità in più, quella di pensarsi come emittenti, produttori di informazione. Nel mondo della grafica l...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Copyright
  3. Frontespizio
  4. Dedica
  5. Indice
  6. Prefazione
  7. Introduzione
  8. Astrologia
  9. Biglietto da visita
  10. Bob Noorda
  11. Canyon
  12. Cento cinesi
  13. Cinque minuti cinque
  14. Don’t judge a book by its cover
  15. Dove guarda Baudrillard
  16. Effetti speciali: il tempo, l’informatica, la lettura
  17. Effetti speciali: artigianato e alta tecnologia nell’immagine cinematografica
  18. Ei fu
  19. Emigre e McSweeneey’s: due riviste tra graphic design e letteratura
  20. L’etica al lavoro
  21. Gianni Sassi
  22. Graffiti digitali: dal videogame alla computer grafica
  23. Il 3D ci renderà strabici
  24. Il decoro dell’anima
  25. Il mestiere dell’illustratore
  26. Il progetto e il virus
  27. L’eterno ritorno
  28. La grafica di Domus nel 1985
  29. La grafica è un’opinione
  30. La triste fine del popolo dei grafici
  31. Macchine per scrivere
  32. Mainstream
  33. Manifesti
  34. Manuale di sopravvivenza per giovani grafici
  35. Moving Graphics
  36. Non mi piace
  37. Obiettivi sensibili
  38. Occhiomagico
  39. Per la XX Triennale
  40. Pratica dell’immagine
  41. Rete
  42. Ricordo
  43. Sequenza e narrazione
  44. Shot
  45. Sono stato…
  46. Souvenir
  47. Trasparenza
  48. Un catalogo
  49. Videogame
  50. W. la gazzetta del potere
  51. Postfazione