Outsider. Dicembre 2013
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Outsider. Dicembre 2013

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OUTSIDER è un mensile divertente ma colto, bello da vedersi e da leggersi.Più di 60 pagine tradotte dalle migliori riviste internazionali, articoli e belle interviste, non necessariamente tutte dell'ultima ora. Il resto riguarda la musica di casa nostra, commentata e selezionata dalla redazione italiana. Un rivista di contro-cultura, ben scritta, con articoli lunghi, per collezionisti: musica dei giorni nostri, ma anche musica senza tempo. Un bel giornale di approfondimento musicale diverso da tutte le riviste attuali e dalla massa informe di notizie e pillole che popola il web. Una rivista per chi ha voglia di leggere, bene, di cose che gli piacciono, isolarsi e sognare attraverso la musica. Quasi un libro in fascicoli mensili: storie di musica (e ce ne sono da raccontare!) esposte con passione.

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Sì, puoi accedere a Outsider. Dicembre 2013 di Max Stefani diretto da in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Mezzi di comunicazione e arti performative e Storia e critica della musica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

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FEDERICO FIUMANI
SPIGOLATURE.7
Ieri Elisabetta mi ha detto che ho una buona “intelligenza emotiva”: dev’essere qualcosa che riguarda il non saper fare un cazzo e lo stare sempre zitti.
Per chiunque faccia rock di un certo tipo, Lou Reed rappresenta una lezione imprescindibile. A suo modo un maestro di vita.
Entrare in una polemica fra giornalisti è come entrare in un ring con dei pugili professionisti.
Sabato al Covo di Bologna sarò al seguito dei Neon. Non so che mansione avrò, forse al banchetto dei dischi o semplice roadie…
Fausto Rossi dice che io sono un mediocre mestierante che pensa solo alla pensione... può darsi, in questo campo non esistono verità assolute per cui ognuno può dire quello che vuole. Tre anni fa andai a vederlo all’Ex Alfa a Firenze, rimasi stupito e anche un po’ dispiaciuto per lui del fatto che non lo ascoltasse nessuno, tutti parlavano ad alta voce di fatti loro. Ecco, preferiscoessere un mediocre mestierante se il prezzo da pagare per essere veri artisti è quello lì.
Leggo su Fb: “Visti i Diaframma 2 volte quest’estate, sono stati i concerti più noiosi e brutti della mia vita...”. Minchia, ma non te ne è bastato uno?
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Da oggi conosco un giornale che si chiama “For men”.. Il mio ufficio stampa mi ha informato che non sono interessati a recensire il mio nuovo disco. Mi perdo qualcosa?
Posso segnalare l’estrema gentilezza del personale dell’albergo Letizià di Borello di Cesena? A un certo punto ho pensato: adesso mi sbottonano i pantaloni e mi fanno anche un pompino.
Sto pensando di affrontare la burocrazia con lo stesso spirito con cui Piero Ciampi affrontava le scale di casa sua (abitava in un seminterrato) quando tornava completamente ubriaco: si buttava a caso, tanto sarebbe caduto comunque.
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ARTE
– di Diego Sileo –
ANDY WARHOL
A Milano, Palazzo Reale, un’interessante mostra sulla pop-art di Andy Warhol (1928-1987)
Non facciamoci ingannare dall’aggettivo popular: la Pop Art non è espressione della creatività del popolo, ma della non-creatività della massa. Se è pur vero che essa manifesta soprattutto il disagio dell’individuo nell’uniformità della società dei consumi, e talvolta anche le sue inutili velleità di rivolta, è altrettanto veritiero che senza un orientamento ideologico il malessere e le ribellioni segrete dei singoli non minacciano il sistema. L’opera d’arte, nella Pop Art, diventa la traccia dell’esistenza dell’individuo che si abbandona senza reagire al flusso torbido dell’esistenza, alla casualità degli incontri, alla banalità degli eventi. È una sorta di esperienza inconscia, ma che nulla ha in comune con l’inconscio represso e latente di memoria surrealista; si tratta del nostro inconscio quotidiano, nevrotico e indebolito dal tempo, da un esistenza vissuta senza la volontà né la coscienza di viverla. Poiché si vive per lo più in una realtà urbana e la città è un tripudio di immagini, anche queste finiscono per rimanere intrappolate nell’opera d’arte, sempre legate alla materia viscida di cui sembrano intrise e che dà loro un senso ambiguo, per cui non si sa se siano cose, oggetti o ricordi effimeri. La Pop Art, insomma, segna il punto d’arrivo del processo di degradazione e dissoluzione dell’oggetto d’arte e la sua conseguente regressione a cosa semplice e comune. Era inevitabile che l’arte, come attività produttrice di oggetti/opere di valore, finisse nel momento stesso in cui la società cessava di identificare il valore con oggetti destinati a costituire un patrimonio da conservare e tramandare nel corso del tempo.
Lo sviluppo tecnologico industriale ha portato a sostituire all’oggetto selezionato, fatto dall’uomo per l’uomo, il prodotto anonimo, standardizzato, ripetuto in serie illimitate. Ad una società, come quella contemporanea, che non connette più l’idea del valore alla realtà dell’opera non servono oggetti che siano modelli di valore; il lavoro collettivo dell’industria non può prendere a modello il lavoro individuale dell’artista. Nonostante Warhol sia da molti considerato l’artista della cultura di massa, egli non ne fu mai, in realtà, un grande sostenitore. La sua poetica, troppo spesso sottovalutata dalla critica e fraintesa dal pubblico, è quella del deterioramento, il processo di assorbimento e dissolvimento dell’opera nella psicologia di massa, con conseguente analisi degli effetti devastanti della ripetizione, che ci porta a riconoscere l’opera senza osservarla. Warhol studia come quelle immagini ripetute vengano assorbite nell’inconscio, schematizzate, trasformate in slogan visivi. Presentando immagini consumate, presenta un’immagine residua, che è più facilmente deteriorabile e quindi si sedimenta inerte, con infinite altre, nell’inconscio collettivo.
L’arte di Andy Warhol unisce e separa immagini di vita quotidiana, situazioni di sordido erotismo, di pose sessualizzate, di totale e masturbatorio autoerotismo, di narcisismo collettivo, alterna il bianco e nero e i colori tenui delle polaroid con i sofisticati e psichedelici effetti di luce colorata delle sue celebri serigrafie, il tutto in una vasta gamma di geometrie allucinate. L’effetto è di un’immagine continuamente composta e scomposta. La vivacità dei suoi quadri - a volte sommessi e a volte urlati – si contrappone al sottile fascino del silenzio totale delle sue produzioni cinematografiche. La sua opera, coinvolta negli orrori che caratterizzan o la frenetica grazia e la gelida isteria degli anni Sessanta, si sviluppa in un disinibito percorso di suoni e di immagini in cui convivono le più disparate sensazioni, le emozioni, il disagio, la repulsione, la sgradevolezza, e persino il rifiuto.
Andy Warhol impegna lo spettatore più di quanto si possa pensare, lo impegna in uno strano modo, giocando quasi al limite della noia, ma – allo stesso tempo – con una totale negazione della convenzionalità, e il risultato che ne deriva è una sorta di esercizio della percezione che non ha eguali nella storia dell’arte del XX secolo. (In mostra a Milano, Palazzo Reale, fino al 9 marzo 2014).
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BOOKS
– di Giancarlo Trombetti –
ROCK ‘N’ GOAL
Un libriccino da avere. Partendo dall’assunto apparentemente illogico che musica e calcio vanno a braccetto, il libro dimostra la tesi con agilità, snocciola tonnellate di curiosità, elenca notizie e informazioni che mai ci saremmo sognati di trovare così spiritosamente e intelligentemente assemblate. Perché Antonio Bacciocchi e Alberto Galletti hanno messo insieme uno scritto davvero ben impostato e piacevole. Fonte di notizie musicali essenziali folte e talvolta sorprendenti tutte con logiche connessioni con il mondo del calcio: dal calciatore che si mette a cantare al cantante che si compra una squadra al cantautore che inserisce messaggi subliminali o meno alla squadra del cuore, a excursus storici sulle tifoserie italiane e inglesi. Un libro che mette d’accordo gli appassionati dei due mondi, musicale e sportivo
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LIVE
JOSEPH ARTHUR
TEATRO CONCORDIA, SAN BENEDETTO DEL TRONTO
- di Pierluigi Lucadei –
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È stato scoperto e lanciato da Peter Gabriel e dalla sua etichetta Real World. Ha un progetto collaterale, i Fistful Of Mercy, con Ben Harper e Dhani Harrison, figlio del grande George. Colleziona ammiratori illustri come Chris Martin, Michael Stipe e Peter Buck. Proprio un asino non dev’essere. Parliamo di Joseph Arthur, quarantaduenne di Akron (Ohio), da tempo trapiantato a NYC, dove suona, canta, scrive e dipinge. Quest’anno è tornato con un disco, The Ballad Of Boogie Christ, che raccoglie alcune tra le più belle canzoni del suo repertorio, ma la vera prova del nove per giudicare un artista è, si sa, il live. Al Teatro Concordia di San Benedetto, per una delle quattro tappe italiane del suo tour europeo, Joseph Arthur toglie qualsiasi dubbio. Con voce calda e affumicata e con movenze da consumato performer regala due ore di grande rock. L’inizio è subito coinvolgente, Still Life Honey Rose, Saint Of Impossible Causes, Black Flowers sono canzoncine sbilenche à la Beck che hanno il merito, nel riarrangiamento live, di mostrare la loro matrice blues. L’(ab)uso di assoli di stratocaster e di wa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. The Beatles
  3. Overture
  4. Sommario N. 7
  5. Sweet Little Sixteen
  6. Well Respected Man
  7. The Belfast Cowboy Along for the Ride
  8. Sia Fatta La Luce
  9. Lost in the Ozone
  10. Trouble Man
  11. Outsider
  12. Ai Confini Della Realtà
  13. La Strana Coppia
  14. Mixed Up
  15. Punti Vendita Outsider