Il sistema di accoglienza in Italia. Esperienze, resistenze, segregazione
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Il sistema di accoglienza in Italia. Esperienze, resistenze, segregazione

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Il sistema di accoglienza in Italia. Esperienze, resistenze, segregazione

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Migrazioni e accoglienza sono state trasformate in un affare economico e politico. Trafficanti, mondo delle imprese, politici, e addirittura una parte dei gestori dei centri di accoglienza, alimentano i propri affari sulla pelle delle persone migranti, le quali, trattate come fossero merce di scambio (tanto economico quanto ideologico), scompaiono in questo gioco al massacro di cui sono solo oggetto. E, insieme, scompaiono dall'attenzione i rapporti di potere nei quali esse si muovono.Questo libro rompe questa costruzione coloniale, che riduce le persone migranti al silenzio, e lo fa attraverso una presa di parola collettiva, eretica e meticcia. A scrivere, spiegare e far comprendere cosa accade sono, insieme, persone che hanno vissuto nel sistema di accoglienza, mediatori e mediatrici linguistico-culturali, attiviste ed attivisti, lavoratori e lavoratrici del settore, avvocati, ricercatori.Dunque, finalmente un libro sul sistema di accoglienza delle persone richiedenti asilo e rifugiate, scritto dall'interno del sistema, con l'obiettivo di metterne in evidenza limiti, forme di segregazione e resistenze in movimento. Sapendo che bisogna superare questo sistema, nel nome della giustizia sociale e della partecipazione, contro le politiche razziste e xenofobe che si stanno imponendo in Italia e nel resto d'Europa.Contributi di: Yasmine Accardo, Ex-Opg Je So' pazzo, Rocco Agostino, Vanna D'Ambrosio, Karima Sahbani, Adelina Galdo, Salvatore Casale, ASD Atletico Brigante, Daouda Niang, Pierre Dimitri Meka, Alagie Jinkang, Gennaro Avallone

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Informazioni

Editore
Orthotes
Anno
2019
ISBN
9788893141840
Parte prima
Accoglienza, malaccoglienza, diritti, vita quotidiana
Yasmine Accardo
La malaccoglienza come sistema
1.La memoria è importante: L’ENA ed il monitoraggio indipendente di Garibaldi 101 e del movimento dei profughi dalla Libia
Il 9 Gennaio 2018, una maxi inchiesta sulla ’ndrangheta (STIGE)1 porta a molti arresti; tra questi anche alcuni personaggi legati ai Centri di accoglienza. Spunta il nome di Aniello Esposito, gestore di uno dei Centri per minori che nei nostri monitoraggi “visitammo” a Cirò Marina e che si trovava all’interno di un’ex discoteca, luogo che stavamo controllando, perché da lì alcune minori scomparivano per finire nelle strade della tratta, a poche ore dall’arrivo. Centro di cui accennammo brevemente nel rapporto del 2016 «Accogliere: la vera emergenza» di LasciateCIEntrare. Fu una visita a sorpresa, di notte, non autorizzata, da cui non potevamo far uscire foto ed informazioni delicate.
Non si può parlare di malaccoglienza se non si comincia a riconoscere che il tessuto in cui le persone in arrivo si trovano a dover vivere è fortemente malato. Il sistema di accoglienza è soltanto una lente di ingrandimento rispetto a dinamiche più complesse che attanagliano questo paese. Chi arriva passa da un sistema di accoglienza che, nella migliore delle ipotesi, offre almeno la scuola d’italiano e, nella peggiore, ti mette direttamente in mano agli sfruttatori. Quando si esce dall’accoglienza si entra, poi, in quello che il nostro sistema pubblico offre ormai a milioni di persone da troppo tempo: mancanza di possibilità di lavoro; precariato; sfruttamento lavorativo; disservizi sanitari; mancanza di politiche abitative, in un contesto caratterizzato dall’incremento delle aggressioni ai soggetti più deboli e dalla deriva fascista del tessuto sociale.
Così, chi, nelle precedenti varie emergenze che si sono accavallate nel tempo, era riuscito ad avere un permesso di soggiorno e partiva felice verso una vita libera e piena di sogni rinnovati, si ritrova ad asciugare vetri alle macchine e a vivere in una delle tante case sovraffollate e prive di servizi base di Casal di Principe o, peggio, in una casa abbandonata nella piana del Sele o in tenda nei pressi di una discarica o nei ghetti più noti di Rosarno e della provincia di Foggia.
Sam era uno dei leader di quel movimento di migranti che attraversò la città di Napoli nel biennio 2011-2013, giunti in Italia in seguito al disastro libico; quella che tutti conoscono come Emergenza Nord Africa:
oggi va così, riesco a fare 20 euro. Ma va bene. Quando vuoi ci riorganizziamo, noi siamo pronti alla lotta. Divisi più di prima, ma pronti a riprovarci.
Sono queste le parole che Sam pronuncia con gli occhi lontani e lo straccio ed il sapone per pulire i vetri in mano. Sta mentendo. Lo so io e lo sa lui. La verità è però che a tutto questo potenziale non abbiamo dato una vera possibilità di riscatto, quello che Ette Akamba Nyong chiama empowerment, ossia riconoscere il proprio valore e condividerlo con la comunità di arrivo perché si trasformi in opportunità di miglioramento per tutti. Ed oggi la situazione diventa via via più difficile.
2.Ma facciamo un passo indietro
Era Piazza Garibaldi. Era da poco stato chiuso il CIE di Santa Maria Capua Vetere2 che aveva visto protagoniste le rivolte dei migranti detenuti e le lotte dell’allora movimento antirazzista napoletano. L’ex Caserma Andolfato era stata inizialmente allestita come Cai (Centro di Accoglienza ed Identificazione): in teoria un Centro per accogliere i cittadini tunisini che erano arrivati in Italia in seguito alla primavera araba ma che, in pratica, in poche ore, venne dichiarato Cie, del tutto illegittimamente. Vistisi imprigionati, i tunisini sollevarono proteste e ci furono scontri violenti, durante i quali diversi uomini si ferirono e scoppiò un incendio a causa (o grazie) al quale il Cie venne chiuso e posto sotto sequestro. I tunisini vennero in parte trasferiti in Centri di accoglienza (i Cara della legge Puglia) e molti scapparono verso la Francia. Dopo avere dichiarato lo stato di emergenza nel territorio nazionale, con un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 12 febbraio 2011, prorogato poi fino al 31 Dicembre 2012 con il successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 ottobre 2011, il Governo allora in carica decise di concedere ai cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa affluiti nel territorio nazionale dal 1 gennaio 2011 alla mezzanotte del 5 aprile 2011 un permesso di soggiorno per motivi umanitari della durata di 6 mesi, prorogati, poi, per ulteriori sei mesi.
È importante ricordare questa data: 5 Aprile 2011, che rappresentò di fatto un confine del tutto arbitrario. Migliaia di tunisini furono infatti respinti alla frontiera, mentre agli altri migranti, provenienti prevalentemente dalla Libia, sebbene con cittadinanza diversa da quella libica, fu fatta presentare, in modo pressoché automatico, domanda di protezione internazionale, facendoli entrare in quello che verrà chiamato il Piano ENA (Emergenza Nord Africa). Per fronteggiare l’emergenza vennero date disposizioni urgenti normate dall’O.P.C.M. del 13 aprile 2011, n. 3933, con uno stanziamento pari ad un miliardo e 300 milioni di euro fino al 31.12.2011, e con proroghe fino al febbraio del 2013, quando un ulteriore decreto ne sancì la fine disponendo il permesso umanitario per tutti ed una buonuscita di 500 euro, fatta eccezione per la permanenza in accoglienza dei soggetti vulnerabili. Con l’O.P.C.M. del 13 aprile 2011, n. 3933 veniva deciso che il Capo del Dipartimento della protezione civile-Presidenza del Consiglio dei Ministri fosse nominato Commissario delegato per la realizzazione di tutti gli interventi necessari a gestire l’emergenza. Veniva costituito un Comitato di coordinamento, composto dal Direttore della Direzione centrale per l’immigrazione del Dipartimento della pubblica sicurezza, dal Capo Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione nonché da un rappresentante, rispettivamente, della Regione coordinatrice della Commissione speciale protezione civile della Conferenza delle regioni e delle provincie autonome, dell’Anci e dell’Upi. Nell’ambito di questo Comitato, il Commissario delegato definiva il fabbisogno di soluzioni alloggiative con le relative caratteristiche progettuali, nonché le tipologie di servizi occorrenti: «il Commissario delegato, avvalendosi senza nuovi o maggiori oneri di un soggetto attuatore, designato per ciascuna Regione dal rispettivo Presidente, [...] individuava, adeguava, allestiva o realizzava, con procedure d’urgenza, le strutture per il ricovero e l’accoglienza, avviandole alla gestione anche per il tramite dei Prefetti all’uopo nominati soggetti attuatori». Fu coinvolta anche la Croce Rossa Italiana che guadagnò cifre astronomiche (euro 649.920).3
Di fatto, il capo Dipartimento della Protezione Civile insieme al referente regionale divennero pluripotenti e fuori qualsiasi tipo di controllo. La gestione venne interamente affidata alla Federalbergatori, ben contenta di incassare 43 euro al giorno a persona, firmando un appalto che non avrebbero mai rispettato. Non ci fu alcun bando, venne usata la via dell’emergenza che garantiva l’agire in totale mancanza di trasparenza e controllo. Questa fase emergenziale sarebbe dovuta essere superata in pochi mesi per passare alla seconda fase con il coinvolgimento degli enti locali. L’Ena non vide mai una seconda fase, restò fino alla fine nelle mani degli albergatori4.
Il deus ex machina a Napoli era un ingegnere della protezione civile, tale Vincenzo Cincini, che controllava l’andamento della situazione e connetteva i vari albergatori5. Fiorirono abusi e lucro inimmaginabili che denunciammo fin da subito in un esposto. Fummo, come Associazione Garibaldi 101, promotrici di un esposto insieme all’Associazione rifugiati di Napoli, Less onlus ed Inca, che portò i suoi frutti solo molto tempo dopo. Le istituzioni tacevano. La Regione, del resto, vi era dentro mani e piedi ed il Sindaco non era interessato alla questione e non prese mai parola contro l’enorme giro di affari che si generò in quel periodo, né, tanto meno, per fare luce su chi gestiva queste strutture. A fine febbraio 2013, quando l’Ena finì, venne arrestato Carmine D’Ario, un narcotrafficante internazionale6, proprietario dell’hotel Tourist in cui erano accolti circa 120 richiedenti asilo7: vi erano stati per due anni e nessuno si era mai preoccupato di controllare che il gestore fosse implicato all’interno di un’inchiesta così gigante. Per gli attivisti che, invece, denunciano abusi nei Centri sono subito pronte le diffide delle cooperative o le minacce. A Piazza Garibaldi giravano gruppi di gestori a braccetto con i responsabili della protezione civile e della prefettura in visita di “controllo”. Gli albergatori insieme alla Protezione civile e a responsabili della regione Campania stavano guadagnando migliaia di euro al giorno e, certo, erano contenti di chiudere più di un occhio. Il nostro esposto nell’ottobre del 2011 fu solo l’inizio di un’inchiesta che portò alla luce abusi inimmaginabili. Non era solo la cattiva accoglienza il problema, ma chi gestiva.
La macchina dell’accoglienza da allora ha macerato e continua a macerare migranti per produrre soldi, imperturbata.
2.1.Le persone accolte?
Le domande di asilo presentate vennero in grandissima percentuale respinte dalle Commissioni territoriali, con formule di rigetto che apparivano preformulate in quanto prive di motivazioni che considerassero in modo adeguato le circostanze connesse alla fuga da un paese in guerra. La marea di ricorsi che ne venne fuori ribaltò nell’80% dei casi le decisioni delle Commissioni.
Della situazione di queste persone, nulla o poco emerse nei provvedimenti delle Commissioni territoriali che rigettarono le domande, i quali si limitarono a evidenziare l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria senza considerare la possibilità di raccomandare al Questore, ai sensi dell’art. 32 d.lgs. 25/08, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari pur in presenza di gravi motivi umanitari e di rilevanti obblighi internazionali e costituzionali (il diritto d’asilo, il divieto di estradizione per motivi politici, il divieto di disporre allontanamenti che comportino trattamenti inumani o degradanti o la violazione nei confronti dello straniero di altri diritti fondamentali tutelati dalle norme internazionali, incluso il suo diritto di proprietà in Libia).
Arrivati per necessità in Italia, sostanzialmente incanalati in un percorso (quello della domanda di protezione internazionale) spesso senza informazione alcuna su esiti e procedure, ospitati in strutture non adeguate, molti dei richiedenti asilo si trovarono in una strada senza uscita.
Eppure sarebbe stato opportuno disporre, così come per i tunisini, un permesso umanitario per tutti, invece di ricorrere al canale della protezione internazionale, con le conseguenze ed i rischi sopra evidenziati. Disposizione, tra l’altro, prevista sulla base del combinato disposto dell’articolo 5, commi 6 e 9, e dell’articolo 19, comma 1, del d.lgs. 286/98 (fatto salvo il diritto individuale di chiedere la protezione internazionale), superando l’approccio sbrigativo ed errato che spesso ha fatto inquadrare i cittadini di paesi terzi quali “normali” lavoratori provenienti dalla Libia, non aventi alcuna esigenza di protezione, giungendo conseguentemente all’attuazione piena della normativa nazionale in materia di protezione umanitaria a cui è stata riconosciuta consistenza di diritto soggettivo. Il permesso umanitario venne concesso alla fine, ma dopo due anni che segnarono per molti una storia piena di abusi e malaffare, che ha fatto da base per l’attuale disastro.
3.Piazza Garibaldi 2011/2013
AMaggio 2011 Suleymane e Nama vennero a trovarci perché cercavano corsi di italiano.
Noi attivisti insegnanti da anni in piazza Garibaldi eravamo abituati a girare per le strade della piazza rappresentando una sorta di sportello itinerante che ascoltava e cercava di dare risposte a quello che accadeva negli innumerevoli cunicoli dei dintorni della stazione e rispondemmo alla loro richiesta, grazie anche alla disponibilità che diede la Cgil di spazi per la scuola. Non avremmo mai potuto immaginare il pasticcio in cui la nostra piccolissima associazione Garibaldi 101 (in onore alla scuola che ci aveva messo insieme) sarebbe stata coinvolta.
Suleymane e Nama venivano dalla Libia: era cominciata l’Ena, l’Emergenza nord Africa. Solo a Piazza Garibaldi dalla sera alla mattina erano arrivati 1200 richiedenti asilo nel mese di Maggio, alloggiati in alcuni hotel della piazza: Hotel Tourist, Hotel Diamond, Hotel Virginius, Hotel Milton, Hotel Prati (venne chiuso e gli ospiti trasferiti a Villa Ranieri), Hotel Cavour, Hotel Rebecchino, Hotel Crystal, Hotel San Pietro, Hotel Giglio, Hotel Sant’Angelo, Hotel Mara. A santa Teresa degli Scalzi c’era Villa Ranieri e l’hotel Carlo III a piazza Carlo terzo. Questo solo a Napoli città.8
Di quanto previsto nell’appalto, che prevedeva persino un barbiere personale, nulla venne rispettato, a stento vennero forniti vitto ed alloggio. Si determinò un affare colossale, da cui la maggior parte degli albergatori e soggetti coinvolti ricavarono guadagni stellari, lasciando nella totale mancanza di assistenza e di diritti i profughi provenienti dalla Libia. Albergatori in via di fallimento, “salvati” dall’arrivo di migliaia di profughi.
Da insegnanti e oper...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio Collana
  3. Title
  4. Copyright
  5. Dedication
  6. Indice
  7. Presentazione
  8. Parte prima Accoglienza, Malaccoglienza, diritti, vita quotidiana
  9. Parte Seconda Le Migrazioni Tra Assoggettamento E Autonomia
  10. Parte terza Discussione Collettiva
  11. Backcover