È bene definire il Bene?
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È bene definire il Bene?

  1. 52 pagine
  2. Italian
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È bene definire il Bene?

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Il punto di partenza assunto nel saggio è la definibilità del bene, una volta che ci si occupi di esso non in quanto assoluto e irraggiungibile, ma piuttosto vedendolo come bene umano, praticabile e realizzabile. Come tale, esso è l'oggetto delle aspirazioni umane e concretamente indicato nei diritti fondamentali, nelle varie libertà e nei diritti politici, che documenti ufficiali hanno ormai sancito. Da Aristotele fino alla sua ripresa da parte di Martha Nussbaum, la felicità, per quanto fragile, si sostanzia proprio di questi beni, che possono essere presentati come vere e proprie "capacità". Completa il testo un intervento di Berti sull'Etica nicomachea di Aristotele, da cui emerge il carattere pratico di una filosofia che punti a definire che cos'è il bene, ossia aristotelicamente la felicità, per l'uomo.

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Informazioni

Editore
Orthotes
Anno
2015
ISBN
9788893140065
Vorrei anzitutto premettere che in questo volumetto intendo parlare del bene «umano», cioè non del bene inteso in senso metafisico come l’Idea del bene di Platone, o il motore immobile di Aristotele, o l’Uno di Plotino, o il Dio delle religioni monoteistiche, o l’Assoluto dei filosofi moderni. Per «bene umano» intendo il bene praticabile dall’uomo, ciò a cui l’uomo aspira e che l’uomo può realizzare con le sue azioni. Non intendo parlare del bene inteso in senso religioso, cioè come Dio, o come opera di Dio, non perché io non sia credente. Non ho difficoltà infatti ad ammettere, anche in pubblico, che sono credente – benché forse non sia un buon cristiano – nel senso che, come direbbe Vattimo, «credo di credere». Ma ho un certo pudore a riferirmi alla mia fede religiosa quando parlo di filosofia, special-mente in pubblico, perché la fede non è un argomento filosofico e perché essa non può costituire una base comune da cui partire, in quanto non è condivisa da tutti, forse nemmeno dalla maggioranza. La fede – diceva Hans Jonas – non si può ottenere su ordinazione, mentre la ragione è posseduta da tutti, quindi per parlare con tutti conviene attenersi a quest’ultima. Per questo motivo non parlerò del problema del male, che assume un significato drammatico soprattutto in una visione religiosa, cioè creazionistica, del mondo, e non parlerò di Gesù, della redenzione, dell’amore, del bene inteso nel senso cristiano.
Il problema che affrontiamo è: si può definire il bene? cioè si può dire in che consiste il bene umano, un bene che sia tale per tutti gli uomini? Questo è diventato un problema soprattutto da quando John Rawls, nel suo libro Una teoria della giustizia (1971), ha sostenuto che più importante del «bene» è il «giusto», cioè una società giusta, che garantisca a tutti gli esseri umani le stesse possibilità. Nel suo libro Rawls ha cercato di spiegare in che cosa consiste il giusto, immaginando che gli uomini possano progettare insieme un tipo di società tale da soddisfare tutti, senza che ciascuno sappia prima quale posto andrà ad occupare in essa, quindi una società fondamentalmente ugualitaria, che garantisca a ciascuno il reddito necessario per sopravvivere e poi lasci ciascuno libero di progettare il tipo di vita che più gli piace, di costruirsi cioè il proprio plan of life. Il bene rientra in questo plan of life e può essere per qualcuno la gloria, per qualcun altro il successo, o l’avventura, o l’arte, o la ricerca scientifica, ecc. Non esiste quindi un unico bene uguale per tutti, perciò non è possibile definire il bene.
Ovviamente Rawls non è stato il primo a pensare in questo modo. Egli si inserisce nella tradizione del pensiero politico liberale, per il quale il valore supremo è la libertà, tradizione che risale allo Spinoza del Tractatus theologico-politicus, a Montesquieu, a Kant, e che nel Novecento è stata ripresa da Hayek, von Mises, e in Italia da pensatori come Nicola Matteucci e Lucio Colletti. A proposito di quest’ultimo – di cui ero molto amico, come del resto del primo – ricordo che egli, dopo essere stato marxista intransigente, si convertì al liberalismo, e criticò nel «Corriere della sera» l’enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II perché parlava del «bene comune», concetto che ad avviso di Colletti era da ritenersi superato, in quanto lesivo della libertà di ciascuno di progettare il proprio bene a proprio piacimento.
Alla posizione di Rawls sono state mosse varie obiezioni. Per esempio i cosiddetti «comunitaristi» (communitarians), Michael Sandel e Alasdair McIntyre, hanno osservato che, se Rawls apprezza e propone di realizzare il «giusto», ciò significa che egli lo considera un «bene», quindi il concetto di bene è presupposto dallo stesso concetto di «giusto». L’obiezione è certamente valida, ma è un tipico argomento da filosofi, quelli che consistono nel cogliere in contraddizione il proprio interlocutore, e che hanno senza dubbio un valore logico, ma in pratica lasciano il tempo che trovano. Più convincenti trovo altre obiezioni, che non derivano dalla corrente dei «comunitaristi», ma da u...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Book Name
  3. About the Author
  4. Title
  5. Copyright
  6. Indice
  7. È bene definire il Bene?
  8. L’Etica Nicomachea di Aristotele
  9. Profilo dell’autore
  10. Bibliografia di approfondimento
  11. Backcover