SULL’ELOGIO DELLA MITEZZA
Dalla mitezza alla nonviolenza. Storia dell’Elogio della mitezza
di Pietro Polito
Premessa
Argomento del presente articolo è la storia del bobbiano «Elogio della mitezza», a partire dal suo ritrovamento, nella forma di un dattiloscritto con varie cancellature e integrazioni manoscritte, tra le carte di Norberto Bobbio.
L’esposizione avrà un andamento storico e anche memorialistico, avendo chi scrive “scoperto” il testo e contribuito in varia misura alle sue successive edizioni in saggio autonomo o in volume (parr. 1, 2, 3).
Alla storia dell’«Elogio» segue la rassegna delle principali riprese della mitezza bobbiana che hanno in comune, sia pure con accenti diversi, la tendenza a scorgere un intento politico nel discorso di Bobbio sulla mitezza (parr. 4, 5, 6).
Chi scrive, al contrario, ritiene che quello di Bobbio sia un discorso prevalentemente morale e che la forza della mitezza stia non nella sua natura politica ma nel suo essere «la più impolitica delle virtù» (par. 8).
La mitezza come una conquista personale viene esaminata attraverso un confronto con l’idea di mitezza di Carlo Mazzantini (par. 7).
In conclusione si prefigura un percorso dalla mitezza alla nonviolenza, a cui Bobbio allude, da cui si sente attratto, ma che non porterà mai alle sue ultime conseguenze (par. 9).
1. La scoperta della mitezza
Posso riferire con esattezza quando e dove tra le carte del filosofo ho scoperto il manoscritto dell’«Elogio della mitezza». In mio soccorso, oltre che alla memoria, posso ricorrere a un diario di lavoro tenuto negli anni della mia collaborazione con il professor Norberto Bobbio dalla seconda metà del 1992 alla fine del 2003. Questo diario, pensato e scritto per «fissare un po’ i miei sentimenti e i miei pensieri» e per conservare traccia di un’esperienza straordinaria, è stato allora per me (per noi) un utile strumento di lavoro e si rivela oggi una fonte che mi consente di datare con precisione i vari momenti di una storia editoriale, archivistica, culturale, di rapporti umani.
Dal diario ricavo la notizia che la scoperta dell’«Elogio» è avvenuta martedì 2 febbraio 1993: «Buona mattina» scrivevo «conclusa bene: grazie al caso ho scoperto l’elogio bobbiano della mitezza. Ne sarà felice. D’accordo, Bobbio, la mitezza è, forse, la massima delle virtù, ma un animo mite e non rassegnato è una conquista».
Una folgorazione! In un brano del 15 febbraio 1993 ritrovo la chiara determinazione di far conoscere l’elogio agli amici e al maggior numero possibile di lettori e il mio entusiasmo per la tesi centrale (per me) sostenuta in quello scritto: «Il mite è […] colui che lascia essere l’altro quello che è anche se l’altro è l’arrogante, il protervo, il prepotente. Non entra nel rapporto con gli altri con il proposito di gareggiare, di confliggere e alla fine di vincere. È completamente al di fuori dello spirito della gara, della concorrenza, della rivalità, e quindi anche della vittoria».
L’adesione di Bobbio al progetto di pubblicare lo scritto con Linea d’ombra, la rivista storica di Goffredo Fofi, risulta da un appunto da me redatto il 25 maggio 1993: Bobbio «ha approvato (lietamente) il progetto sulla mitezza».
Originariamente l’«Elogio della mitezza» era stato presentato da Bobbio, su invito dell’amico Ernesto Treccani, in un ciclo di conferenze promosso dal gruppo milanese di Corrente l’8 marzo 1983. Quella di Bobbio è una delle undici conferenze, tenutesi tra l’ottobre 1982 e il maggio 1983: la pazienza (Alberto Lattuada), l’autocoscienza (Riccardo Malipiero), l’indifferenza (Lalla Romano), la pazienza (Roberto Rebora), la dissimulazione onesta (Beniamino Placido), il silenzio (Massimo Cacciari), il sapere errare (Rodolfo Banfi), la costanza (Cesare Luporini), la mitezza (Norberto Bobbio), la realtà (Alfredo Todisco), le virtù civiche (monsignor Attilio Nicora). Secondo gli organizzatori le dieci virtù elencate avrebbero dovuto costituire le voci di un “piccolo dizionario”, una sorta di piccola guida morale per muoversi più agevolmente “nella valle del nostro tempo”, un tempo segnato dal trionfo dell’effimero, del discontinuo, dello spettacolare, dell’occasionale. Quando “ogni alba diviene uguale all’altra”, questa l’intenzione di Treccani e del coordinatore del ciclo Fulvio Papi, bisogna rimettere in onore il discorso sulle virtù.
A distanza di dieci anni questa è la molla che spinge Bobbio – la sua appare un’intenzione più morale che politica – a sottrarre all’oblio quel lontano e dimenticato discorso, di cui allora aveva scelto di occuparsi «senza esitazione».1
Come edizione speciale fuori commercio, allegato al n. 88 di Linea d’ombra, l’«Elogio della mitezza» esce nel dicembre 1993, a cura mia e di Santina Mobiglia, con alcune correzioni formali, una premessa leggermente ampliata di Bobbio e una breve nota dei due curatori. Inoltre il testo, che reca in copertina la riproduzione a colori di un quadro di Picasso, scelto da Cesare Pianciola, Bambina con la colomba (1901), è illustrato con altre immagini di quadri famosi selezionate dall’iconografa Enrica Melossi: La temperanza, Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova; San Giacomo con l’agnello (frammento), Jusepe de Ribera, National Gallery, Londra; Canzone pastorale, Ludwig Richter, Museo di Lipsia; Giuseppe venduto dai fratelli, Tarsia su disegni di Lorenzo Lotto, coro di Santa Maria Maggiore, Bergamo. Se l’illustrazione per la copertina fu suggerita da Cesare Pianciola, La Temperanza fu scelta da Bobbio: Giotto simboleggia la temperanza con una figura femminile che tiene in mano una spada strettamente legata da nodi. Lo studioso Pietro Selvatico Estense negli Scritti d’arte (1836) osserva che la spada annodata sembra quasi indicare come «la temperanza non si vale mai d’armi per amicarsi i cuori, né spinge mai al bene operare con la forza».
Come emergerà meglio alla fine, le ragioni per cui Bobbio accetta di riprendere uno scritto di cui non serbava più memoria sono di natura più personale che pubblica e possono essere connesse alla sua costante attenzione al tema della nonviolenza.2 Quanto alle intenzioni dei due curatori, esse si trovano esposte sinteticamente nella premessa e, a dire il vero, sono in sintonia con quelle degli organizzatori del ciclo sulle virtù di dieci anni precedente. La ripresa della mitezza si inserisce in un discorso più generale sulla ripresa del tema della virtù come reazione alla lunga stagione dell’effimero e del consumo che aveva caratterizzato gli anni ottanta e che sembrava destinata (come è stato) a prolungarsi e a segnare in una forma ancora più estrema, direi senza pudore, pure gli anni novanta.
Essendo questo l’intento, la sede naturale per far conoscere l’«Elogio della mitezza» non poteva non essere Linea d’ombra, da sempre impegnata su questi temi, richiamandosi all’insegnamento di Aldo Capitini, di cui, tra l’altro, la rivista pubblicò nel 1989 una raccolta di «Lettere agli amici» (1947-1968). Come è noto, Bobbio è uno degli amici più vicini a Capitini e con lui ha avuto un confronto e uno scambio intellettuale durato anni.
Sinteticamente, la ragione fondamentale che ha spinto gli amici di Linea d’ombra a pubblicare l’«Elogio» si trova espressa nel ringraziamento al professore con cui si conclude la premessa dei curatori, per «averci dato occasione di riproporre questi temi attraverso l’elogio, di erasmiana memoria, di una virtù paradossale che contribuisce a rendere “più abitabile questa aiuola” in cui ci troviamo a vivere».3
2. La prima edizione
La fortuna larga e immediata del testo bobbiano può essere vista come il segno dell’attenzione da parte di alcune minoranze intellettuali radicali, ma non solo, verso il discorso sulla mitezza in Italia e all’estero.
L’«Elogio della mitezza» viene tradotto parzialmente in inglese da Teresa Chataway nel 1995, per la rivista Convivium. Journal of Ideas in Italian Studies. L’anno successivo viene pubblicato integralmente, a cura di Pierre-Emmanuel Danzat, con il titolo «Eloge de la mitezza», nell’edizione francese della rivista Diogène. Con il titolo «In praise of la mitezza», lo stesso anno viene pubblicato nell’edizione inglese della stessa rivista. In seguito, come saggio, l’«Elogio della mitezza» è stato ripubblicato da me e da Goffredo Fofi nella rivista Lo straniero, in occasione della morte del professore nel gennaio 2004, e da Marco Revelli nel «Meridiano» dedicato a Bobbio, Etica e politica, che raccoglie i suoi scritti di impegno civile.4
Fin dal suo primo apparire il discorso di Bobbio sulla mitezza suscitò anche reazioni molto polemiche. Mi riferisco in particolare al saggio di Giuliano Pontara, «Il mite e il nonviolento. Su un saggio di Norberto Bobbio».5 L’autore critica la definizione bobbiana della mitezza come virtù impolitica e l’identificazione che alla fine del suo discorso Bobbio suggerisce tra mitezza e nonviolenza. Pontara, ma a mio giudizio non era questa l’intenzione di Bobbio, ne ricava la conseguente destituzione di valore politico della nonviolenza. Per lui (Pontara, ma come potrebbe Bobbio non essere d’accordo?) invece la nonviolenza – s’intende la nonviolenza attiva distinta da quella passiva – «è dentro la politica, e c’è dentro efficacemente, come dentro la politica in modo efficace fu Gandhi. Ma c’è dentro in modo del tutto speciale, e qui è la grande novità e attualità del messaggio gandhiano. […] Il nonviolento rifiuta la violenza senza per questo doversi ritirare dalla politica; smentisce, con il suo agire, la definizione della politica come il regno esclusivo della volpe e del leone».6
Il dibattito tra Bobbio e Pontara costituisce la prima parte del “libretto” Elogio della mitezza e altri scritti morali, anch’esso a cura mia e di Mobiglia e anch’esso pubblicato da Linea d’ombra nel 1994 e accolto da Fofi nella collana da lui stesso diretta, «Aperture», in cui presenta libri su «i dilemmi del nostro tempo e del nostro futuro» e intende proporre al lettore «il pensiero che può aiutarci a comprenderli e ad agire, le polemiche più necessarie. Le aperture del Novecento al secolo incipiente».
Dai miei taccuini ricavo alcune notizie interessanti circa la preparazione del libro, a partire dal titolo che, come si legge in un mio appunto del 6 ottobre 1994, secondo una proposta di Linea d’ombra avrebbe potuto e dovuto essere Per un’etica laica. Questo titolo non piace a Bobbio, che lo considera «troppo ambizioso». Di un suggerimento successivo, Verità e libertà. Scritti morali, egli accoglie il sottotitolo, ma come titolo il 26 ottobre indica: Elogio della mitezza.
Il lavoro di preparazione del libro dura complessivamente circa un anno, dal 7 gennaio, quando comincia a maturare l’idea di una raccolta dei suoi scritti morali, al 1° dicembre, quando gli viene consegnata la prima copia del libro, di cui il 7 dicembre La Stampa pubblica un’anticipazione dal saggio conclusivo intitolato «Gli dèi che hanno fallito. Alcune domande sul problema del male».
La storia del libro si intreccia con quella del seminario «Etica e Politica» fondato da Bobbio nel 1980 e da lui diretto presso il Centro studi Piero Gobetti fino al 1996. Infatti, il saggio sul male origina da una relazione presentata al seminario l’8 giugno 1994 in un confronto con Enrico Peyretti e con Pier Cesare Bori su «Il potere del male, la resistenza del bene». Ricordo il procedere tormentato e tormentoso della scrittura di Bobbio sia nel preparare la relazione per il seminario sia nel trasformarlo in saggio per il volume. Scrivevo il 19 aprile 1994: «Abbiamo anche parlato della discussione sul male che proveremo ad organizzare già in giugno. Bobbio vuole occuparsi del male passivo più che del male attivo, della sofferenza più che della malvagità. Come si può giustificare il male gratuito?». E il 7 giugno, il giorno precedente l’incontro, trovo riportata una sua frase: «Domani mattina riordino un blocco di fogli fitto di appunti, ma so già quale è il mio tema: voglio riprendere la distinzione tra male attivo e male passivo e sostenere che sono problemi diversi che non si possono spiegare l’uno con l’altro».
Il taccuino di lavoro a cui sto facendo riferimento documenta inoltre le incertezze circa la struttura e la composizione del volume, che muta nel corso dell’anno. Il primo schema risalente al 29 maggio prevede la disposizione, dopo l’«Elogio della mitezza», di otto saggi distribuiti in ordine cronologico dal 1979 al 1993. Questo schema si arricchisce il 16 giugno con l’inserimento nella raccolta del saggio del 1960 «Verità e libertà». La struttura che poi verrà adottata nella pubblicazione del volume si trova anticipata in un appunto del taccuino che reca la data del 26 ottobre. Come si può vedere prendendo in mano l’edizione di Linea d’ombra, divenuta ora una rarità, il libro è articolato in tre parti: 1) «Verità e libertà», «Etica e politica», «Ragion di stato e democrazia»; 2) «La natura del pregiudizio», «Razzismo oggi», «Uguali e diversi»; 3) «Pro e contro un’etica laica», «Morale e religione», «Gli dèi che hanno fallito. Alcune domande sul problema del male». Come si è già detto, le tre parti sono precedute dall’«Elogio della mitezza» e dalla polemica con Pontara.
La struttura triadica del volume, in cui ciascuna parte si suddivide a sua volta in tre capitoli – con una voluta simmetria lodata da Bobbio nella prefazione –, se pur discussa con l’autore è opera dei due curatori. Rovistando tra la sue carte, l’intento era quello di verificare se nella logica congerie di scritti bobbiani fosse possibile riconoscere un consistente e significativo gruppo di testi di teoria o filosofia morale accanto a quelli più noti di filosofia del diritto e della politica, nonché di storia del pensiero politico. Pur accolta da Bobbio, la selezione degli scritti e la loro disposizione nel libro in realtà riflette un interesse e dei curatori e dell’editore, il gruppo di Linea d’ombra. Il tema del rapporto tra etica e politica, «tema vecchio e sempre nuovo» (Bobbio), centrale nella prima parte, era l’argomento principe delle nostre discussioni al Centro Gobetti con Bobbio, mentre i temi del pregiudizio e del razzismo sono tra i più ricorrenti nella rivista di Fofi. Come si è già detto, il saggio sul male nasce da un incontro del seminario «Etica e politica», un seminario che è stato luogo significativo di confronto nella cultura torinese tra visione laica e visione religiosa della società, della politica e della storia: ancora nella prefazione Bobbio scrive di avere considerato questi temi «dal punto di vista di chi, pur essendo rimasto entro la soglia che l’uso della ragione non consente di valicare, è convinto […] sia necessario non lasciare cadere il dialogo tra pensiero laico e pensiero religioso».7
Anche se nella premessa al libro Bobbio definisce l’«Elogio» «uno scritto estravagante» e il libro stesso «una raccoltina di “scritti morali”», il modo dimesso e modesto con cui lo presenta, tuttavia, si accompagna al riconoscimento che il «libretto» riguarda i «grandi problemi», di fronte ai quali egli si è sempre posto con l’atteggiamento di «un uomo del dubbio e del dialogo. Del dubbio, perché ogni mio ragionamento su una delle grandi domande termin...