Il tempo dei giovani
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Il tempo dei giovani

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Il tempo dei giovani, ristampa della ricerca promossa dallo IARD, é una ricerca sui giovani, ma é una ricerca, per un aspetto importante, diversa dalle tante che sono state svolte su questo oggetto. Essa assume infatti il modo di porsi di fronte al tempo come ottica privilegiata per esplorare la condizione giovanile. L'idea di condurre una ricerca adottando questa ottica e nata da una certa sensazione di riduttività che le ricerche sui giovani prodotte negli ultimi anni tendono a suscitare. Si sanno molte cose sui rapporto tra giovani e lavoro, sugli atteggiamenti dei giovani nei confronti della politica, sui loro rapporti con la famiglia e con la scuola, sui modi con cui usano il tempo libero, sui loro consumi. Ma la sensazione di riduttività nasce dal fatto che la condizione giovanile e comunque qualcosa di più della somma dei suoi singoli aspetti e che trascurando questo elemento aggiuntivo e unificante si perde qualcosa di sostanziale. Si avverte che il nocciolo della questione giovanile consiste nel fatto di presentarsi nei termini di una sindrome globale che non si lascia ridurre ai singoli aspetti del rapporto tra giovani e società considerati uno alla volta. Si presume, cioè, l' esistenza di un momento unificante che sembra attraversare trasversalmente i vari aspetti e conferire ad essi una fisionomia particolare.

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Informazioni

Editore
Ledizioni
Anno
2010
ISBN
9788895994246
Categoria
Sociology

PARTE TERZA

Il tempo della quotidianità
di Carmen Leccardi

CAPITOLO PRIMO

La temporalità nella dimensione quotidiana

Il viaggio all’interno dell’universo temporale giovanile, iniziato con l’analisi del tempo della storia e proseguito attraverso la riflessione sul tempo di vita, si avvia, con questa parte dedicata alla dimensione quotidiana della temporalità, a conclusione. L’esame delle modalità di utilizzo del tempo della giornata completa e insieme dà maggiore concretezza e trasparenza al disegno dei percorsi — nuovi e meno nuovi — lungo i quali si snoda l’esperienza del tempo delle giovani generazioni.
Poiché del tempo biografico la quotidianità costituisce una sorta di strumento, senza zona d’ombra vi emergono l’ampiezza o i limiti dell’orizzonte progettuale. Che ci si appresti a costruire le fondamenta dell’edificio futuro o si voglia piuttosto approntare soltanto un rifugio temporaneo; che si opti per la strada maestra oppure si rivendichi la libertà di non scegliere alcun tracciato già definito, l’uso del tempo quotidiano si offre come una chiave di lettura del rapporto che ciascuno instaura con il tempo. Al suo interno prende corpo la mappa frastagliata dei rapporti tra tempo individuale e tempo sociale — conflitto, ricerca di mediazioni, subordinazione o completa autonomia del primo nei confronti del secondo — si stagliano in modo nitido i sentimenti — la speranza, l’allegria, la noia, l’insicurezza, l’angoscia — che il confronto/scontro con il tempo sollecita. Il tempo quotidiano lascia affiorare, in una parola, il quadro variegato, «plurale», delle condizioni giovanili, la differenziazione dei progetti, delle culture, degli stili di vita, delle rappresentazioni del tempo.
Di questa moltitudine di temporalità1 che quotidianamente affrontano e vengono a patti con il tempo delle istituzioni sociali — il tempo sociale dominante2 — l’analisi del tempo della giornata offre uno spaccato assai significativo. Essa ci conduce al cuore del problema: al legame, cioè, tra esperienze sociali e tempo vissuto. In effetti, poiché il nesso tra modi di concepire e modi di usare il tempo è, come avremo modo di vedere, particolarmente stretto, senza sforzo è possibile risalire dall’uso del tempo quotidiano alle specifiche modalità di rapporto con la temporalità, definendo contemporaneamente con sufficiente precisione le forme con cui si sostanziano oggi, per i giovani, le relazioni tra tempo soggettivo/interno e tempo sociale/esterno. Considerando queste relazioni come indicatore del grado di integrazione dell’individuo nei processi sociali, abbiamo voluto cogliere, attraverso la riflessione sui vissuti soggettivi del tempo, le tendenze ad una loro progressiva modificazione o, per altro verso, al loro mantenimento, inteso come riproduzione dei modelli culturali e sociali dominanti3. La scelta di questa prospettiva di analisi ci ha indotto, potremmo dire quasi forzatamente, ad abbandonare l’ipotesi, inizialmente considerata, di fare uso delle tecniche dei bilancitempo4.
Nonostante questo tipo di studi sia molto utile per comprendere come concretamente gli individui utilizzano la loro giornata, quanto tempo assegnano alle diverse attività, quale è la loro sequenza e la loro geometria, esso non ci avrebbe consentito di cogliere pienamente la qualità del tempo vissuto, il rapporto profondo, non di rado contraddittorio e tormentato, tra i giovani e il tempo5. Non è stata tuttavia la semplice curiosità di indagare sui significati attribuiti ai differenti tempi vissuti — il tempo dedicato allo studio e/oppure al lavoro, il tempo domenicale o quello genericamente definito «libero», il tempo trascorso con gli amici, con il partner o con la famiglia — a spingerci a lasciare la strada già nota e sperimentata dei timebudgets6 per addentrarci, non senza rischi, sul cammino più accidentato delle rappresentazioni soggettive del tempo.
Un secondo elemento, di eguale se non maggiore importanza, ha inciso su questa scelta. Riferimento centrale per le ricerche dei bilanci tempo è il tempo matematico, il tempo astratto e quantitativo degli orologi, intorno al quale si coordina e si sincronizza la vita sociale delle società occidentali. Il nostro lavoro, d’altro canto, si è posto l’obiettivo di verificare se e in quale misura esista oggi la tendenza, da parte di una consistente minoranza di giovani, ad abbandonare ogni persistente criterio di allocazione del tempo quotidiano e se tale tendenza possa essere interpretata come una progressiva estraneazione dalla logica temporale dominante. In altri termini, se il tempo, da questi giovani, non sia più considerato alla stregua di una semplice sequenza di segmenti interscambiabili, neutri in rapporto al soggetto che li vive, se non sia più ritenuto un bene scarso, equiparabile al denaro.
Sulla base di questi rapidi accenni, non è difficile immaginare le difficoltà cui andrebbe incontro il ricercatore che intendesse comprendere questo fenomeno nuovo facendo ricorso a strumenti quali la distribuzione temporale delle attività, il tempo che ciascuna di esse occupa nella giornata, la loro frequenza, elementi che presuppongono tutti, implicitamente, l’accettazione di una visione quantitativa del tempo. Per indagare questi aspetti inconsueti della concezione temporale di una parte almeno delle nuove generazioni è parso dunque necessario allargare la prospettiva prevalentemente descrittiva dei bilancitempo, sforzandosi di individuare correlazioni significative tra uso e concezione del tempo. Questo non ha significato, evidentemente, non procedere a una analisi puntuale della successione delle attività nella giornata, della loro durata, della loro eventuale pianificazione: semplicemente, questo itinerario di ricerca è stato sostenuto dallo sforzo costante di penetrare all’interno della percezione soggettiva del tempo, di cogliere, fin dove era possibile, il rapporto tra orizzonte temporale e allocazione del tempo.
Il tempo quotidiano — un tempo presente per eccellenza— non solo, infatti, porta l’impronta ma è, per così dire, «modellato» dall’atteggiamento verso il passato da un lato, verso il futuro dall’altro7. Chi nutra, ad esempio, positive aspettative nei confronti dell’avvenire, essendo in grado di accettare la necessità di differire nel tempo le gratificazioni,riuscirà anche a vivere il quotidiano più gravoso, meno libero dalle costrizioni temporali istituzionali, senza sperimentare alcun onere psicologico. Il tempo della giornata gli apparirà come un territorio non sottratto ma sottoposto al suo controllo poiché in ciascun momento, qualsiasi sia l’attività intrapresa e la sua cornice temporale, avrà comunque la sensazione di poterlo sostanziare di contenuti, di essere soggetto e non oggetto del proprio tempo. Se tuttavia sono l’incertezza e l’inquietudine, quando non l’angoscia vera e propria, a caratterizzare il pensiero del futuro, allora anche il quotidiano mostrerà un volto assai meno fraterno, perderà di senso e di valore. Il suo tempo smetterà di apparire una risorsa preziosa, che vale la pena evitare di perdere e sulla cui allocazione occorre ponderare attentamente. Estraneo a ogni dimensione razionale — in nessun modo può essere considerato un mezzo che consente di raggiungere obiettivi futuri — esso può arrivare a smarrire anche ogni significato intrinseco, apparire alla coscienza come straordinariamente lungo8, uniforme e senza qualità. Tempo matematico e tempo vissuto possono in questo caso confondersi, l’opposizione tra tempo interno e tempo astratto risolversi nell’appiattimento del primo sul secondo. Questi due rapidi esempi di rapporto tra orizzonte temporale e vissuto del tempo quotidiano non rappresentano, evidentemente, che le posizioni estreme lungo quell’asse ideale di strutturazionede/strutturazione temporale che la nostra ricerca ha inteso indagare. Le posizioni intermedie, come avremo modo di vedere, sono assai varie e rimandano direttamente alla pluralità di significati che i giovani assegnano al tempo. Ciò che ci preme qui tuttavia sottolineare è che tanto l’impiego del tempo quotidiano, quanto il suo vissuto soggettivo sono, per i giovani in particolare, ampiamente condizionati dalla capacità di proiettarsi nel futuro, sulla base della percezione della continuità tra ciò che è stato vissuto, ciò che oggi si vive e ciò che, in prospettiva, appare possibile vivere9. Senza questa capacità, vale a dire con un orizzonte temporale ristretto, viene meno non solo la capacità di azione a medio e lungo termine, ma la stessa possibilità di definire uno stabile e soddisfacente senso di identità.
La consapevolezza della centralità dell’orizzonte temporale nella definizione delle specifiche modalità di rapporto con il tempo quotidiano ha accompagnato e, in un certo senso, guidato la nostra riflessione sulla quotidianità, inducendoci a prestare una particolare attenzione al nesso tra uso concreto del tempo, valore assegnato al tempo e percorsi di definizione dell’identità. Avremo modo di ritornare su questo punto in maniera più particolareggiata a conclusione di queste note. Per il momento ci sembra opportuno soffermarci brevemente sui problemi più specificamente attinenti la temporalità quotidiana, attraversando velocemente il territorio della sociologia della vita quotidiana.
1. IL QUOTIDIANO E I SUOI TEMPI
«La nostra esperienza di società è prima di tutto un’esperienza di altre persone nella vita quotidiana. Si intende con questo termine semplicemente il tessuto di abitudini familiari all’interno del quale noi agiamo e al quale noi pensiamo per la maggior parte del nostro tempo. Questo settore dell’esperienza è per noi il più reale: è il nostro habitat usuale e ordinario»10. Le affermazioni di P.L. Berger e B. Berger — caratteristiche dell’approccio fenomenologico alla realtà quotidiana11 — ci rimandano un’immagine familiare e insieme qualitativamente rilevante della vita di ogni giorno. Luogo della routine ma insieme della certezza12, essa si delinea come il solo mondo in cui il dubbio viene sospeso e l’individuo può agire in modo non problematico, facendo affidamento sulla conoscenza di senso comune. A tale lettura fondamentalmente positiva del mondo vitale quotidiano (che per altro i medesimi autori porranno in discussione in un’opera di qualche anno successiva13) si affianca, o per meglio dire si contrappone, la visione marxiana della quotidianità. Secondo questa chiave di lettura, il mondo della vita quotidiana è sì familiare ma la sua familiarità è intimamente alienata, e il frutto della separazione del quotidiano — «notte della disattenzione, della meccanicità e dell’istintività», delle azioni banali e ripetitive — dalla storia intesa come «deragliamento, come distruzione del sentiero della quotidianità, come eccezione e stranezza»14. In questo spazio di alienazione è tuttavia contenuta, in nuce, la possibilità di una radicale trasformazione, di una dissoluzione dell’inautentico attraverso il recupero, reso possibile dalla prassi, del possibile al quotidiano: nelle parole di H. Lefebvre, «è nel seno del quotidiano che il progetto diventa opera»15. Area per eccellenza della riproduzione del singolo e, per questo tramite, della vita sociale, la vita quotidiana è dunque anche, come scrive A. Heller, «la base del processo storico universale», il luogo in cui «viene in essere l’uomo intero»16.
Le immagini del tempo quotidiano che possiamo estrapolare da questo apparato concettuale, qui necessariamente solo accennato, sono dunque assai eterogenee, quando non apertamente contraddittorie. Il tempo quotidiano ci appare contemporaneamente ripetitivo e senza storia17, familiare e straordinario, un tempo insieme ciclico — pensiamo ai ritmi biologici e fisiologici che lo caratterizzano, ma anche a talune modalità specifiche della routine quotidiana, ad esempio il monotono rincorrersi dell’alternanza lavoro/tempo «libero» — e lineare, espressione diretta del tempo astratto che informa le istituzioni sociali. Tempo privato e pubblico, disomogeneo e omogeneo, «qualitativo» in talune aree, «quantitativo» sempre e per necessità: l’elenco potrebbe continuare a lungo ma non si rivelerebbe, ai nostri fini, di grande utilità.
Tenuto conto del particolare taglio analitico che caratterizza l’indagine — la messa a fuoco del nesso tra vissuto del tempo quotidiano e percorsi di definizione dell’identità — seguire le molte piste che il bagaglio teorico della sociologia della vita quotidiana lascia intravedere, finirebbe probabilmente per condurci a sfiorare in modo solo tangenziale gli aspetti del problema che ci interessano più da vicino. Scegliamo perciò un differente percorso di riflessione, concentrando l’attenzione sulla compresenza, all’interno del quotidiano, di tre tipi di «tempi» diversi: il personale, l’intersoggettivo, il sociale. A questo fine, dei molti stimoli che ci vengono offerti dagli studi sulla vita quotidiana, raccoglieremo soprattutto quelli di scuola fenomenologica, attinenti la dimensione intersoggettiva del mondo quotidiano.
Nella quotidianità, tempo personale, tempo intersoggettivo e tempo sociale sono in continuo rapporto dialettico e, come si vedrà nella parte sostantiva della trattazione, l’analisi del tempo quotidiano offre continue e tangibili dimostrazioni di tale tensione.
La dialettica incessante che si sviluppa nella vita quotidiana tra queste dimensioni temporali rimanda direttamente alla particolarità dell’esistenza dell’individuo socializzato che Simmel ha posto magistralmente in luce. Secondo la sua analisi, infatti, l’individuo è al tempo stesso dentro e fuori la società, la sua esistenza è insieme totalmente sociale e totalmente individuale18. La realtà sociale plasma e produce quest’esistenza ma, contemporaneamente, non esisterebbe realtà sociale se non esistesse una moltitudine di individui che costantemente interagiscono. Per Simmel, a differenza di Durkheim, i fenomeni sociali non sussumono quelli individuali, c’è invece tra loro un rapporto tanto dialettico quanto conflittuale poiché, come egli scrive, «l’apriori della vita sociale e empirica è il fatto che la vita non è interamente sociale19. Questa medesima dimensione si estende necessariamente al rapporto tra tempo individuale e tempo sociale: indissolubilmente connessi l’uno all’altro, essi si presuppongono vicendevolmente ma, non di meno, il loro legame costituisce un potenziale campo di conflitto.
Se non v’è dubbio che è solo dentro al tempo sociale, a meno di vivere in un isolamento totale, che il tempo personale può trovare espressione e l’individuo riconoscersi, è egualmente vero che egli può sperimentare questo rapporto nei termini di un’esperienza negativa e frustrante, avere la sensazione che la propria libertà risulti compromessa: l’ambivalenza armonia/costrizione che caratterizza la relazione tra tempo individuale e tempo sociale può essere interpretata come lo specchio fedele della tensione irriducibile presente nel rapporto tra individuo e realtà sociale.
Un’ulteriore contraddizione, che acuisce tale ambivalenza, emerge, del resto, dentro al tempo quotidiano. Da un lato, infatti, possiamo affermare che è l’essere umano, nella sua doppia qualità di individuo e di membro di una collettività, a produrre i propri tempi — il personale, attraverso il quale egli esprime la propria individualità psichica e biologica e il sociale, che corrisponde alla collettività in cui è inserito20 — ma, dall’altro, dobbiamo constatare che egli non e libero di scegliersi il tempo in cui vivere. Nascendo, si troverà inserito nel flusso di un particolare tempo sociale, storicamente determinato, al cui interno, volente o nolente, scorrerà la sua vita, prenderà forma la sua quotidianità.
«La struttura temporale della vita quotidiana si pone di fronte a me con una fattualità con la quale devo fare i conti, con la quale devo cioè tentare di sincronizzare i miei progetti... non solo impone sequenze predisposte sull’”agenda” di ogni singolo giorno, ma si impone anche sulla mia biografia complessiva»21. Questa struttura temporale, ci ricordano P.L. Berger e T. Luckmann, è per sua natura coercitiva, impone al tempo individuale un ordine e dei ritmi a cui non è dato sottrarsi, pena l’estraneazione dalla vita sociale e, insieme, la perdita di quell’«accento di realtà» specifico della vita quotidiana. Poiché gli individui non vivono nell’indipendenza temporale, essi dovranno forzatamente, nella loro vita di ogni giorno, definire e ridefinire costantemente i termini del loro rapporto con l’ordine sociotemporale dominante22. In eguale misura, essi saranno costretti a conciliare il proprio tempo con gli ordini sociotemporali che governano la vita sociale dei gruppi professionali, delle organizzazioni complesse, della famiglia e così via.
Il tempo sociale dominante, lo accennavamo in precedenza, prende forma dall’intreccio e dalla sincronizzazione di questi differenti ordini sociotemporali. Ciò non implica tuttavia che, per racchiusi entro questo medesimo involucro che hanno direttamente contribuito a creare, essi perdano la loro relativa autonomia, diventino qualitativamente uniformi: basti pensare, per fare un solo esempio, alla distanza che separa il «tempo» specifico dell’organizzazione familiare da quello di una moderna organizzazione burocratica23. Anche con questi eterogenei tempi collettivi e non solo con il tempo socialmente dominante, il tempo individuale si troverà, nella vita di ogni giorno, a dovere scendere a patti. La capacità di armonizzare il proprio tempo a questa pluralità di temporalità sociali, di ridurre lo scarto — la «distanza» temporale — che inevitabilmente si produce nel confronto tra differenti modi di attività nel tempo e, dunque, tra diversi vissuti temporali, dipenderà dalla possibilità, per l’individuo, di riconoscere contemporaneamente la diversità ma anche la sostanziale unità tra il proprio e l’altrui tempo.
Ogni uomo, sostengono gli antropologi Kluckhohn e Murray, è al tempo stesso simile a ogni altro, simile ad alcuni altri, differente da tutti gli altri uomini24. «La prima caratteristica deriva dal condividere alcune condizioni comuni all’intera specie umana, la seconda dipende dal fatto di appartenere a un determinato gruppo sociale, la terza è il risultato di quello che abbiamo definito il proprio sé, la propria identità personale, assolutamente irripetibile»25. Queste considerazioni ci sembrano di centrale importanza per la comprensione delle dinamiche di rapporto tra tempi personali e temporalità sociali. La loro relazione potrà infatti essere armoniosa soltanto nella misura in cui l’individuo avrà la possibilità soggettiva sia di definire le differenze che lo separano dagli altri gruppi sociali e dalle loro specifiche temporalità, sia di accettare la comune appartenenza alla collettività s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Copyright
  3. Indice
  4. Introduzione
  5. PARTE PRIMA Il tempo della storia di Simonetta Tabboni
  6. PARTE SECONDA Il tempo biografico di Marita Rampazi
  7. PARTE TERZA Il tempo della quotidianità di Carmen Leccardi
  8. CONCLUSIONE Una tipologia dei vissuti temporali di Alessandro Cavalli e Anna Rita Calabrò