CAPITOLO II
BREVE QUADRO STORICO-FILOSOFICO
Dove Hegel finisce, lì press’a poco comincia il Cristianesimo;
l’errore è semplicemente che Hegel pensa di avere a questo punto
liquidato il Cristianesimo: anzi di essere andato molto più in là!
(Søren Kierkegaard: Diario)1
Anni di formazione
All’inizio del XIX secolo la Danimarca, schierandosi contro l’Inghilterra, entra nella lega dei Neutri. L’Inghilterra risponde attaccando Copenaghen nel 1801 e nel 1807. Divenuta fedele alleata di Napoleone I la Danimarca deve nel 1814 firmare la pace di Kiel che le toglie la Norvegia e l’Islanda ma che dà in compenso al re il possesso personale dei ducati dello Schleswig e dello Holstein, membri della nuova Confederazione germanica.2 Gli anni seguenti sono spesi a risollevare il paese rovinato dalla guerra, e a questo scopo si adopera Federico VI (r. 1808-1839) il quale è indotto dal progresso delle idee liberali a creare quattro Stati Provinciali (1834). Il suo successore Cristiano VIII (r. 1839-1848) ha un regno caratterizzato da un periodo di pace e di prosperità turbato solo negli ultimi anni dalla crescente ingerenza tedesca nei ducati. Il luteranesimo, introdotto in Danimarca nel 1536, è religione di Stato. La libertà di culto, di cui beneficiano professioni religiose che contano d’altronde pochi adepti, viene concessa nel 1849 dal successore di Cristiano VIII, Federico VII (r. 1848-1863), ultimo Re di Danimarca a governare da sovrano assoluto. Questi, pur non riuscendo a impedire l’estendersi dell’insurrezione nei ducati dei separatisti appoggiati dalla Prussia, dà vita in Danimarca, sulla scia dei moti liberali europei, a una costituzione democratica. Dell’emergente clima democratico Kierkegaard, sebbene sia sostenitore del sistema monarchico-aristocratico e si esprima su posizioni anti-democratiche, si serve per indirizzare il proprio attacco contro la Chiesa protestante danese. Nel 1864 Prussia e Austria dichiarano guerra alla Danimarca che, sconfitta, perde il ducato di Holstein, che va all’Austria, e quelli di Lüneburg e Kiel, che vanno alla Prussia (la quale ottiene anche lo Schleswig in amministrazione).
Durante i primi cinquant’anni dell’800 la Danimarca, in piena Età dell’oro, vede anche l’affermarsi della corrente romantica, i cui principali promotori sono Adam Oehlenschläger (1779–1850), Johan Ludvig Heiberg (1791-1860) e Nikolaj Frederik Severin Grundtvig (1783–1872).
Heiberg, drammaturgo e teorico dell’arte, oltre ad introdurre i principi dell’estetica romantica e il vaudeville, è in Danimarca il primo diffusore dell’hegelismo.3 L’iniziale interesse mostrato da Kierkegaard nei confronti dei dettami estetici di Heiberg si muta presto in spunto critico e polemico verso la Stimmung romantica, vista come inconsistente esaltazione degli aspetti decadenti della vita.
Grundtvig,4 teologo e uomo di lettere, dà invece il via ad un movimento religioso-riformistico con lo scopo di sviluppare una nuova sintesi umanistico-cristiana alla luce delle tradizioni popolari. A tale movimento il giovane Kierkegaard (che nella Postilla criticherà l’ecclesiologia di Grundtvig) partecipa marginalmente, mostrando invece particolare preoccupazione nei confronti di una riforma ecclesiastica in seno al pietismo. D’altronde Michael Pedersen, padre di Søren, aveva indirizzato il figlio verso l’esperienza pietistica della comunità religiosa dei Fratelli Moravi,5 esperienza che, data anche la severa educazione ricevuta, conduce Kierkegaard a formulare una valutazione negativa della cristianità protestante ufficiale della Chiesa di Danimarca.
Ma il cristianesimo si ripresenta al filosofo danese sotto gli abiti di quella teologia speculativa6 che, proponendosi come una filosofia della religione in linea con la ricezione ortodossa dello hegelismo, mira a salvare le istituzioni ecclesiastiche attraverso il pensiero idealistico. Schleiermacher (verso cui Kierkegaard nutrì profonda stima) in una lettera del 1829 all’amico Friedrich Lücke scrive «Timeo Danaos et dona ferentes»,7 volendo evidenziare la propria diffidenza verso il sistema hegeliano, la cui impostazione speculativa egli vedeva come un inganno volto a ridurre il dato di fede alla ricerca filosofica. E, continua Schleiermacher, «la teologia speculativa ci minaccia con una contrapposizione tra dottrina esoterica e dottrina essoterica, per nulla conforme alle parole di Cristo, il quale vuole che tutti siano istruiti da Dio».8 Anche in Kierkegaard, accanto all’esigenza esteriore, a volte di stampo politico, di una Chiesa che possa inserirsi nella società civile, prende corpo la necessità di una riformulazione dei rapporti tra ragione e fede, tra pensiero ed esistenza:
Ciò che veramente mi manca è di capire chiaramente me stesso, quello che devo fare, non quello che devo conoscere […] Trovare una verità che è verità per me, trovare l’idea per la quale devo vivere e morire […] A cosa mi servirebbe dimostrare l’importanza del cristianesimo, poter chiarire molti singoli fenomeni, se esso non avesse per me stesso e la mia vita un significato più profondo?9
Durante il periodo universitario Kierkegaard, che è anche eletto Presidente dell’Associazione degli studenti, muove critiche contro il liberalismo di rinnovamento democratico, invita a smorzare gli entusiasmi ed esorta a «fermare la ruota del progresso»10 per rivolgere l’attenzione al passato. Suo obiettivo è la difesa polemica dell’ordine costituito e della monarchia. Queste idee, che in realtà vanno ben al di là della politica, sono espresse in maniera significativa in una relazione del 1835 presentata al Circolo degli studenti e intitolata La nostra letteratura giornalistica.11 Nella relazione Kierkegaard, utilizzando una terminologia che volutamente si pone in chiave polemica con i concetti hegeliani, afferma che «è l’idea che deve determinare la forma, non la forma che deve determinare l’idea. Si ricordi che la vita non è qualcosa di astratto, ma di altamente individuale […] Si tenga sempre presente che non è attraverso la forma che si trova la vita, ma attraverso la vita che si trova la forma».12 Risulta comunque evidente già nel giovane Kierkegaard una concreta esigenza di denuncia nei confronti delle astrattezze dell’hegelismo dominante presso l’Università di Copenaghen, oltre che una personale incapacità a partecipare o collocarsi in una corrente.
L’atteggiamento critico nei confronti della Chiesa di Stato e l’attenzione per i Greci (e per Socrate in particolare), sono motivi che Kierkegaard condivide con Poul Martin Møller (1794-1838), di cui segue le lezioni sul De Anima di Aristotele nel semestre invernale 1835- 36 e al quale è dedicato Il concetto dell’angoscia del 1844.
Nel 1838 le critiche mosse da Kierkegaard contro gli hegeliani prendono vita in un «dramma eroico-patriottico-cosmopolitico-filantropico- fatalistico, in molte scene» dal titolo La lotta tra il vecchio e il nuovo negozio del sapone,13 nel quale vengono messe in ridicolo le pretese di Hegel, e dei razionalisti al suo seguito, di aver aperto una nuova strada al pensiero.
Nella tesi di laurea del 1841 Sul concetto dell’ironia con particolare riguardo a Socrate,14 anticipando le posizioni antiromantiche di Georg Brandes (1842–1927), il filosofo danese si schiera contro il romanticismo estetico tedesco il quale gli appare eccessivamente ripiegato sul soggettivismo. La soggettività romantica qui intesa non è quella dell’interiorità riflessiva bensì quella della passione, del sentimento, dell’eroismo e del piacere. L’ironia15 è in grado di mostrare la realtà effettiva delle cose. Essa evidenzia la labilità di un piacere che è puramente temporaneo. In questo senso l’ironia, lungi dall’essere un momento di mero sarcasmo o derisione, è lo strumento per eccellenza che smaschera la vita estetica come uno stadio al quale manca la coscienza dell’eterno, di qualcosa che permanga.16
Il concetto di ironia
Apartire dalla tesi di laurea su Socrate, Kierkegaard comincia a trattare quei motivi che accompagneranno la sua riflessione matura: l’insofferenza per le grandi costruzioni sistematiche proprie di quel tipo di pensiero che ogni cosa vuole tradurre in scienza e al quale invece sfuggono le implicazioni immediate e vitali dell’esistenza dell’individuo, o la già indicata intolleranza verso gli aspetti esaltati ed esagerati dell’estetica romantica e la conseguente «caduta in una mondanità pura»..17
In merito al primo motivo vediamo che Kierkegaard definisce l’ironia come «negatività infinita e assoluta» (“Ironia, ut infinita et absoluta negativitas, est levissima et maxime exigua subjectivitatis significatio”).18 e le attribuisce, in opposizione al sistema, la qualità d’essere infinitamente silenziosa:
[…] L’intenzione con cui s’interroga può essere duplice. Si può cioè interrogare con l’intenzione di ottenere una risposta implicante la pienezza desiderata, sicché, più s’interroga, più la risposta acquista in profondità e significanza; oppure si può interrogare non per interesse alla risposta, ma per risucchiare con la domanda il contenuto apparente e lasciare allora il vuoto. Il primo metodo presuppone ovviamente un pieno, il secondo un vuoto; il primo è il metodo speculativo, il secondo l’ironico.19
Con l’ironia viene espresso il superamento del finito all’interno del finito stesso. L’ironia è la “forma del paradosso” perché contiene e stimola il sentimento dell’indissolubile contrasto tra l’incondizionato e il condizionato, dell...