Bertolt Brecht
eBook - ePub

Bertolt Brecht

Tre dispositivi

  1. 140 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Bertolt Brecht

Tre dispositivi

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Brecht assegna al teatro epico un compito rigorosamente filosofico. Il metodo dello straniamento è infatti un dispositivo che vuole produrre una forma collettiva di veggenza. In modo fedele al dettato platonico, l'ambizione brechtiana è costruire sulla scena un terzo occhio artificiale capace di attingere il "reale" che scorre impercepito al di sotto del "mondo". Il dispositivo teatrale brechtiano perfeziona e integra i due altri dispositivi che nella modernità sono stati montati per rendere possibile un realismo "perturbante": il dispositivo prospettico e il dispositivo fotografico.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Bertolt Brecht di Rocco Ronchi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Media & Performing Arts e Theatre History & Criticism. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Orthotes
Anno
2017
ISBN
9788893140997
Uno
IL DISPOSITIVO TEATRALE
Perché Brecht?
Perché Brecht? Perché tramite il suo “metodo” ad essere in questione è la filosofia. Non sono dunque ragioni d’ordine estetico quelle che mi portano a frequentare il testo brechtiano, tantomeno teatrologiche, per le quali non ho le competenze necessarie. Sono ragioni filosofiche. Brecht, per me, è il nome di un problema che concerne il presente e il futuro prossimo di quella pratica discorsiva nella quale sono preso e che, quali che siano i suoi mediocri esiti mondani, costituisce il senso della mia esistenza. La parola “senso” va però immediatamente deauraticizzata, proprio come voleva il materialista Brecht, questo ostinato nemico dell’enfasi, nella quale sentiva sempre puzza di fascismo. Senso vuole dire soltanto direzione, una direzione che, ad un certo punto, diventa irreversibile e si confonde con l’inerzia naturale di una vita.
Almeno una volta, scrivevano Deleuze e Guattari nel 1991, la domanda che cosa è la filosofia, che cosa deve fare oggi la filosofia, deve pur essere posta in tutta la sua crudezza. “Forse, continuano, è una domanda che ci si può porre soltanto tardi, quando viene la vecchiaia, e l’ora di parlare concretamente (…) La domanda è posta con un’agitazione discreta, a mezzanotte, quando non c’è più altro da chiedere”1. Curioso che tale domanda sia avvertita come eccezionale, curioso che il fatto stesso di porla susciti quasi un imbarazzo nel locutore, come se egli rendesse pubblico quanto dovrebbe rimanere pudicamente occultato nel cono d’ombra della vita privata. Tale imbarazzo (“un’agitazione discreta”) la dice lunga sullo stato della filosofia nel secolo da poco concluso. Di tale condizione si fa esperienza, ancora oggi, proprio nei luoghi riservati alla filosofia (atenei, colloqui scientifici, festival…) dove il fatto stesso di fare filosofia è visto con sospetto, se non addirittura osteggiato. A imbarazzare, sia chiaro, non è la filosofia come disciplina, la quale, anzi, è più che mai vezzeggiata, incentivata e fatta circolare come merce preziosa dall’industria culturale. È invece il gesto filosofico ad apparire indiscreto. Intollerabili non sono i contenuti filosofici ma la pretesa performativa del dire filosofico. Insomma, i filosofi vanno benissimo purché esprimano delle tesi, delle opinioni e si facciano paladini di visioni del mondo, ma guai se pretendono ancora di parlare da filosofi.
Per me riflettere su Brecht, o meglio, a partire da Brecht, significa interrogarmi, a mezzanotte, quando non c’è più altro da chiedere, sulla postura del filosofo, sul come fare quello che si sta facendo in quanto filosofo, sul come farlo ancora, su come continuare a farlo oggi, nonostante tutto. Qual è, insomma, il gesto filosofico? Brecht presentando il suo metodo parlava di “nuova tecnica dell’arte drammatica”. “Drammatico”, in questo testo del 1940, non indicava quella forma “drammatica” del teatro alla quale Brecht, come è noto, contrapponeva il proprio teatro “epico”. Con tale espressione Brecht intendeva “il metodo che venne usato in alcuni teatri per «straniare» lo spettatore rispetto ai fatti rappresentati”2. Ebbene, tramite Brecht, il filosofo può fare chiarezza sul come della sua pratica, sulla tecnica dell’arte filosofica. Scoprirà allora che essa non è affatto “nuova”, se non per contrasto con un presente filosoficamente arido (come si è detto, l’inflazione del significante “filosofia” nella sfera del discorso pubblico non deve trarre in inganno; è solo sintomo di un deficit reale). Egli sarà rinviato all’origine stessa della filosofia, al suo sempre perdurante cominciamento, a quel “sempre di nuovo” che costituisce il suo grido di guerra e che fa eco, sul piano della pratica discorsiva filosofica, a quel “non così – ma così” con il quale Brecht, rivolgendosi ai propri attori, sintetizzava il procedimento denominato, come è noto, Verfremdungseffekt.
La postura del filosofo (Brecht e Platone)
Ma cosa ci autorizza a trasferire alla filosofia il procedimento brechtiano? Innanzitutto va detto che Brecht utilizzava frequentemente il significante “filosofia”. Lo faceva con piacere. La parola gli evocava infatti quei “classici” che erano per lui numi tutelari. Il suo alter-ego, il signor Keuner, è un “pensatore” ed al pensiero in quanto tale, Brecht, proprio lui che più di tutto diceva di apprezzare l’“utile”, riconosceva un valore intrinseco, se non addirittura un primato.“Chi detiene il sapere non deve combattere; né dire la verità; né rendere servigi; né non mangiare; né rifiutare onori; né essere riconoscibile. Chi detiene il sapere di tutte le virtù ne ha una sola: quella di detenere il sapere, disse il signor Keuner”3. Brecht si rallegrava del fatto che grazie al suo teatro epico il teatro fosse finalmente diventato “accessibile ai filosofi, beninteso ai filosofi che si proponessero non solo di spiegare il mondo, ma anche di cambiarlo. Perciò si parlava di filosofia; perciò s’insegnava”4. Il teatro epico, infatti, è un teatro filosofico. Non è, però, un teatro dei concetti, sebbene i concetti, ed il marxismo in particolare, vi giochino un grande ruolo. Esso è un teatro di forma filosofica. Tutte le altre caratterizzazioni del teatro epico, la sua natura didattica e scientifica, le modalità della recitazione, il tipo di pubblico che tale teatro richiede ecc., derivano da questa forma presupposta: sono, per così dire, il contenuto di quella forma.
Brecht fissa il punto di partenza del suo celebre metodo nella problematizzazione dell’ovvio e nella conseguente riduzione dell’“atteggiamento naturale”, vale a dire nella sospensione preliminare di ogni ingenua credenza nella pretesa naturalezza dell’ordine dato. Di cosa sta qui parlando, Brecht, se non dell’originario thaumazein che i “classici” indicavano in modo concorde come causa della filosofia? Non intende Brecht quanto la fenomenologia a lui contemporanea e da lui per nulla frequentata chiamava epoché? Fin troppo evidente è dunque l’appartenenza del Verfremdungseffekt ad una famiglia filosofica antica e illustre per dover essere ulteriormente sottolineata.
La critica brechtiana del teatro “gastronomico”, del suo naturalismo illusionistico (la “quarta parete”), dei processi di immedesimazione di cui si avvale e degli effetti di ebrietà indotti nel pubblico, non è poi, forse, la ripresa della critica della mimesis contenuta nel X libro della Repubblica di Platone? Una ripresa talvolta così puntuale da lasciare sconcertato un lettore non sprovveduto in storia della filosofia, soprattutto perché sappiamo che quando scriveva i suoi saggi teorici Brecht non pensava affatto alla gigantomachia che, all’inizio della filosofia occidentale, nelle pagine della Repubblica, ma non solo, aveva contrapposto ai “poeti maestri di verità” la nuova figura del filosofo. Quale sia per Platone il limite strutturale della presunta sapienza poetica appare chiaramente in un dialogo “minore”, lo Ione. A Ione, un rapsodo itinerante specialista nella recitazione di Omero, Socrate spiega come la poesia sia il frutto di un invasamento divino che mimeticamente si comunica dalla dea al poeta, al rapsodo e infine al pubblico ipnotizzato (è la cosiddetta tesi della “pietra di Eraclea”, la calamita). La poesia è un contagio estatico e irrazionale che esclude a priori la possibilità del giudizio critico. Si deve tener presente, a questo proposito, che il senso arcaico della mimesis è appunto l’identificazione con il Dio, è l’“entusiasmo” del “fanatico” al quale, de sempre, il filosofo ha sentito il dovere morale di opporsi. Il “fare” del poietes, come il recitare dell’hypocrites, è un fare delirante, tant’è che Platone ne conclude che “chi possegga intelletto è incapace di poetare o vaticinare”5. Quando Brecht rivolge i suoi strali polemici alla Poetica di Aristotele, di fatto le contesta la sua infedeltà al dettato platonico.
Aristotele, come è noto, separava l’effetto di purificazione indotto dall’opera (katharsis) da ogni residua contaminazione con la mathesis, con il sapere. Per lui, a teatro, non è la conoscenza che libera l’uomo, non è essa che lo “purga”. La catarsi degli eccessi passionali, la restaurazione della symmetria si opera piuttosto grazie alla mimesis di quegli stessi stati passionali (grazie alla sympatheia, grazie alla Einfühlung). Per Aristotele, l’arte è autonoma dalla filosofia e l’estetica è autonoma dalla politica (da questo punto di vista la Poetica dell’antiplatonico Aristotele è veramente la prima “moderna” teoria dell’arte). Ben diverso l’atteggiamento dell’arcaico Platone, per il quale, invece, la via della salvezza passava attraverso la mathesis ed era sempre una faccenda “politica”. Ora, l’antiaristoteli- smo dichiarato di Brecht consisteva nel restituire al teatro la sua dimensione scientifica e, direi, la sua natura matematica (da mathema: scienza, studio, cognizione).
Azzardiamo un anacronismo: la contrapposizione secca di forma drammatica e di forma epica del teatro6 riapre nell’agitata Germania della fine degli anni Venti la querelle che, nell’Atene del IV secolo – un’Atene molto simile alla Germania weimariana, per instabilità politica e crisi delle istituzioni democratiche –, aveva posto in rotta di collisione due ipotesi pedagogiche tra loro inconciliabili: quella “poetica” fondata sul principio della mimesis e della Einfühlung e quella filosofica fondata sul principio della critica e del “distanziamento”, altra possibile traduzione di Verfremdungseffekt.
Nella Grecia di Socrate e Platone la presa di distanza, che è alla base dello stupore filosofico, era stata resa materialmente possibile, come ormai è generalmente accettato, dalla diffusione della tecnologia alfabetica. Essa permetteva infatti un processo di oggettivazione della memoria condivisa (vale a dire dei nomoi kai ethea, delle leggi e costumi tramandati oralmente, secondo il summenzionato principio della “pietra di Eraclea”) senza la quale non vi sarebbe giudizio critico. Di questa potenza straniante della scrittura Brecht si rende perfettamente conto. Un tratto essenziale del teatro epico consiste infatti nella letterarizzazione in senso lato della scena (cartellonistica, titolatura, songs che interrompono la continuità della diegesi, intervento di altri media a scopo di documentazione ecc.) atta a sospendere i processi di identificazione e a favorire la riflessione da parte del pubblico.
Quegli spettatori che dimentichi di sé e del mondo, dismettendo ogni capacità riflessiva, inebetiti e golosi di forti emozioni si precipitano nei botteghini dei teatri borghesi ansiosi di lasciarsi narcotizzare dal virtuosismo illusionistico degli attori, non sono allora la replica, anch’essa puntuale quasi fino al plagio (indubbiamente involontario, ma proprio per questo straordinariamente significativo), di quegli “amanti di spettacoli” e di quegli “amanti di audizioni” che “con le orecchie quasi prese a soldo, van correndo in giro ad ascoltare tutti i cori delle Dionisie, senza mai mancare né a quelle urbane né a quelle rurali”7? Non sono, quegli spettatori, i “filodossi” stigmatizzati da Socrate in conclusione del V libro della Repubblica? Vale la pena, a questo proposito, citare il folgorante passo brechtiano: “Precipitatasi fuori da tranvie e ferrovie sotterranee, avida di trasformarsi in cera tra le mani dei maghi, gente adulta, temprata e resa inesorabile dalla lotta quotidiana per l’esistenza, prende d’assalto i botteghini dei teatri. Nel guardaroba, assieme al cappello, abbandonano il loro contegno abituale, il loro modo di comportarsi «nella vita»; e usciti dal guardaroba prendono il loro posto in atto di regnanti”8.
Si tenga presente che il lemma “filosofia” venne coniato dal Socrate platonico, per la prima volta nella storia del pensiero, proprio in opposizione alla filodossia di quel pubblico invasato e privo di capacità critica. “Fai dunque in questo senso una divisione, dice infatti Socrate a Glaucone, ponendo da un lato gli amanti degli spettacoli e delle arti e i pratici di cui ora parlavi, e dall’altro quelli su cui verte il discorso, che soli giustamente potrebbero essere chiamati filosofi”9. Da un lato i poeti, dall’altra i filosofi, mythos e logos. La filosofia si genera agonisticamente, confrontandosi con il suo avversario eterno: il poeta. E se i poeti dovranno alla fine esser cacciati dalla Città è perché essi compiacciono la parte di minor valore dell’anima umana, quella “patetica”, a scapito di quella migliore, la “logistica”, la sola che andrebbe veramente onorata e coltivata se si vuole tenere in buona salute la Città10.
La conclusione dell’arringa socratica contro i ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Book
  3. About Book
  4. Title
  5. Copyrights
  6. Indice
  7. Uno Il dispositivo teatrale
  8. Due Il dispositivo prospettico
  9. Tre Il dispositivo fotografico
  10. Backcover