PARTE TERZA
I cronotopi della legge
e della giustizia
10. Introduzione
L’intento dell’analisi storico-culturale e sociologico-letteraria contenuta nelle due parti precedenti è stato di far emergere i nessi esistenti tra le narrazioni della legge/della giustizia da una parte e la legge/la giustizia della narrazione dall’altra. Per molti versi, da un punto di vista retorico, l’interventismo legislativo del primo e del secondo New Deal dichiara la propria tensione a un ambito di giustizia che si potrebbe definire “ideale”, ovvero, secondo una definizione di François Ost, votato a coniugare la giustizia distributiva delle parti alla funzione di integrazione della pace sociale, combinando così il riequilibrio compensatorio dei torti a un «bene comune» (Ost 472).
Quella giustizia “ideale” non trova però espressione diretta nelle narrazioni letterarie degli anni Trenta, nemmeno nelle opere in cui più scoperti sono i debiti alle agenzie del New Deal, costituendo piuttosto, proprio nella denuncia di un’assenza o di una negazione, il punto di partenza per la rappresentazione di forme di giustizia alternative (collettive o individuali) al di fuori di quella istituzionale, resa invece in tutta la sua forza repressiva attraverso la frequenza con cui ritornano le sue più importanti raffigurazioni statali: tribunali, prigioni, uffici federali. Per converso, ciò che si registra nei generi letterari votati alla contemporaneità della Grande Depressione – sotto la spinta composita di un cambio della committenza letteraria di cui si è detto nella seconda parte – è il riconoscimento politico (nell’impegno di scrittori/scrittrici on the left), istituzionale (nell’azione federale di FSA e FWP) e editoriale (nel boom della letteratura di genere) di una giustizia della narrazione quale condizione “pregiudiziale” per una narrazione della giustizia.
A livello narrativo, in un gruppo di romanzi scritti tra il 1929 e il 1941 appartenenti a generi e sottogeneri diversi, la centralità del tema della giustizia (o meglio, del tentativo di trasformare il diritto in giustizia) si fa perspicua attraverso la rappresentazione ricorrente di aule di tribunale (con annessi processi) e carceri: non semplici luoghi o scenari in cui si dipanano alcuni segmenti della trama bensì cronotopi della legge, concrezioni spazio-temporali dell’immaginazione romanzesca che contribuiscono a definire, per Michail Bachtin, il genere delle opere in cui compaiono.
Da un punto di vista metodologico, la selezione di quel corpus di opere alla luce della presenza dei cronotopi della legge e della giustizia ha seguito tre diverse fasi, muovendo da una prima raccolta quantitativa guidata da un criterio di inclusività a una graduale ottimizzazione del dato quantitativo rifunzionalizzato a una più specifica analisi narrativa di quegli stessi cronotopi. Nella prima fase (Tabella 1, pp. 422-425) sono stati assecondati due criteri, uno di inclusione (allargato cioè a comprendere la letteratura di massa, oltre a opere di autori più canonici), e uno di esclusione (l’assenza di un’ambientazione americana). Da un lato sono stati quindi esclusi alcuni romanzi che pure annoverano cronotopi legati alla legge e alla giustizia (da The Good Earth di Pearl Buck a For Whom the Bell Tolls di Ernest Hemingway) perché non ambientati negli Stati Uniti e quindi meno centrali rispetto all’economia di un discorso di riconfigurazione delle geografie letterarie americane di cui si è già scritto. Dall’altro, nella direzione di una mappatura dei generi letterari quanto più ampia, una prima classificazione ha riguardato, accanto a romanzi sociali destinati a entrare nel canone delle lettere americane, bestseller appartenenti all’hard-boiled, al romance e al romanzo storico: nel 1936, per fare solo un esempio, si impongono all’attenzione romanzi “alti” (The Big Money di John Dos Passos, Absalom, Absalom! di William Faulkner e In Dubious Battle di John Steinbeck), un bestseller assoluto (Gone with the Wind di Margaret Mitchell) e un bestseller di quell’anno, Drums Along the Mohawk di Walter D. Edmonds.
A questa prima fase di raccolta di dati, è seguito un secondo spoglio del corpus, in cui si sono fatte ulteriori esclusioni in base a due criteri: uno di genere (il romanzo storico), e uno più trasversale, di effettiva, o meglio più diretta e visibile, rilevanza dei cronotopi della legge. Nel caso del romanzo storico – un filone assai ricco degli anni Trenta – si è scelto di non approfondire l’analisi narratologica dei cronotopi della legge e della giustizia in esso presenti per una questione di distanziamento prospettico dal presente implicito in un genere che assume la forma di apologo del passato. Nonostante prigioni, battaglie, processi, esecuzioni capitali e morti sul campo non manchino in nessuna delle tre macro-ambientazioni di questi romanzi storici (l’America coloniale, la Guerra civile, gli anni Ottanta dell’Ottocento), la loro presenza non si sposa a un potenziale significato di cambiamento del corso della legge su uno sfondo storico in divenire, né tantomeno riflette i segni di quel mutamento sociologico e culturale che sta investendo, se non proprio travolgendo, la modernità del paese. Tornare a una vicenda di coraggio e sopravvivenza in un frangente critico della storia nazionale si traduce in un sollievo escapista (e talvolta sentimentale-melodrammatico) per i lettori, soprattutto urbani, del presente, riconducendoli a una visione rassegnata della contemporaneità.
Si è stabilito così il corpus definitivo (cinque libri-documentario e una cinquantina di romanzi – Tabella 2, pp. 426-428) in cui compaiono i cronotopi della legge e della giustizia più tradizionali, processi e prigioni (ma anche ricoveri, ospizi e cliniche del welfare), ovvero istituzioni pubbliche attraverso cui lo stato esercita la propria autorità nei confronti del diritto costituito. Un’autorità applicata, secondo la lettura di Walter Benjamin in Per la critica della violenza (1921), attraverso la «violenza conservatrice» («die Rechtserhaltende Gewalt»), ovvero la forza pubblica e legittima che trova, soprattutto nelle democrazie, la propria emanazione nel potere «informe come la sua presenza spettrale, inafferrabile e diffusa» della polizia (Benjamin 476). Esemplificazioni letterarie della doppiezza e l’ambivalenza implicita nella parola tedesca Gewalt – «a un tempo la violenza e il potere legittimo, l’autorità giustificata» (Derrida, Forza 53) –, questi cronotopi sono stati poi studiati in relazione a una serie di altri gangli spazio-temporali che definiscono i vari sottogeneri del romanzo sociale in cui compaiono.
Così, a uno studio più strutturale dei meccanismi narrativi legati alla presenza dei cronotopi della legge e della giustizia si sono andati delineando alcuni pattern che segnano non solo l’atteggiamento dei protagonisti nei confronti del diritto costituito e della sua applicazione (violenta, corrotta o inefficiente) ma anche il loro tentativo, spesso frustrato, di opporsi a quella violenza con la creazione, o la fondazione, di un altro diritto, di un’altra giustizia. Attingendo ad alcune pagine contenute in Forza di legge (1994) di Jacques Derrida e rilanciando un’intuizione di Scott Henkel in un suo saggio su The Grapes of Wrath di Steinbeck (“A Seditious Proposal”), è stato infatti possibile ipotizzare che i romanzi/libri-documentario presi in esame in questa terza parte mettano in scena – portandosi dietro tutta la specificità del dato sociologico e geografico delle diverse ambientazioni – una logica che vede i protagonisti (siano essi operai/operaie, figli/figlie del ghetto, hobos, okies, drifters, farmers, hard-boiled dicks, donne bianche di una middle class decaduta, donne nere dallo statuto sociale incerto, avvocati o medici) muoversi tra due tipi di legge. Vale a dire, tra una legge istituzionale pubblica, preservata con la violenza “legittima” dalle forze dell’ordine – che processano e incarcerano gli oppressi (su linee di classe, etnia/razza, e genere) e/o non processano e incarcerano i veri colpevoli – e la possibilità di una legge rivoluzionaria e/o correttiva ricreata e riscritta dall’azione collettiva o individuale.
Nel corso dell’analisi delle modalità narrative del passaggio (o del tentativo di passaggio) dal primo tipo di legge al secondo è quindi emersa la funzione “detonatrice” di alcuni cronotopi che si presentano come prodotto e simbolo del perpetrarsi traumatico e/o apocalittico di una situazione di ingiustizia di partenza e che si fanno, a loro volta, produttori e simboli del manifestarsi traumatico di una ricognizione/revisione/rivoluzione dell’ingiustizia stessa. Alla luce di studi recenti sulla valenza etica – o assiologica – della categoria del cronotopo (Holquist, Steinby), è possibile inoltre affermare come la temporalità dell’esperienza e dell’azione sia vincolata a determinati luoghi e a determinate situazioni sociali pur lasciando all’individuo la libertà di scegliere. «Quello che una persona può fare», scrive Liisa Steinby, «è condizionato dall’ambientazione e dalla col...