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In cosa consiste il tirocinio: uno sguardo generale
Nel senso generale di «formazione pratica sul campo», il tirocinio consiste in un’esperienza di apprendimento che avviene grazie al contatto diretto con un contesto lavorativo reale. Le sue caratteristiche essenziali sono quindi due:
- • è finalizzato soprattutto a imparare. Non è una prestazione lavorativa in senso stretto, quindi le attività, gli orari, la collocazione organizzativa e logistica del tirocinante dovrebbero essere individuati dando la priorità all’apprendimento, e non a esigenze di altro tipo;
- • si svolge a contatto con l’attività lavorativa vera e propria: le attività che il tirocinante osserva o sperimenta direttamente non sono simulazioni didattiche, ma compiti professionali a tutti gli effetti.
Nei percorsi formativi di base degli assistenti sociali, il tirocinio curriculare (vedi box 1.1) è una prassi consolidata, presente fin dalle prime esperienze formative in Italia e all’estero (Gui, 2009).
La normativa attuale prevede il tirocinio come componente del piano di studio della laurea triennale in servizio sociale (vedi box 1.2 e 1.3), ma non dice quasi nulla rispetto a come esso debba venire realizzato: le decisioni in merito ricadono nell’ambito di autonomia degli atenei, dei dipartimenti e dei corsi di laurea, che hanno ampi margini di scelta in merito a quanto e in che termini regolamentare e gestire la formazione sul campo. Di conseguenza, ci si può trovare davanti a diversi modi di intendere il tirocinio, a diverse modalità didattiche, a diverse scelte organizzative.
Sia gli studenti, sia gli assistenti sociali che sono interessati a collaborare alla formazione pratica come supervisori devono opportunamente informarsi su queste scelte, comprenderne il senso, saperne cogliere i punti di forza e i limiti. Come vedremo, quasi tutte le decisioni riguardo alla realizzazione dei tirocini richiedono di operare una mediazione fra esigenze non sempre facili da conciliare fra loro. Questo significa che non esiste un modo migliore in assoluto di gestire la formazione sul campo: qualsiasi modello ha i suoi pro e i suoi contro (Bogo e Vayda, 1998; Wilson et al., 2009). L’importante, per gli studenti e i supervisori, è essere in grado di identificarli, in modo da riuscire a valorizzare i primi e, se possibile, a minimizzare i secondi. Per riuscirci, le strade sono principalmente due: una consiste nel cercare di fare meglio possibile nell’ambito del proprio singolo tirocinio, entro la cornice data dalle indicazioni della sede formativa, con creatività e atteggiamento propositivo; l’altra consiste nel ragionare con i docenti, gli altri studenti e gli altri supervisori su come si possano concretamente migliorare, nel loro insieme, le opportunità di apprendimento sul campo disponibili in quello specifico contesto locale.
Il presente volume propone alcune linee guida rispetto a questi temi, con gli indispensabili richiami ai presupposti teorici e alla coerenza interna che dovrebbe esserci fra metodologia professionale e impianto formativo. Ma l’intento è soprattutto quello di proporre varie indicazioni sul piano operativo, con l’obiettivo di offrire un contributo agevolmente accessibile ai protagonisti principali della formazione pratica: i tirocinanti e i supervisori che li accompagnano nel percorso di professionalizzazione.
1.1 DIVERSI NOMI DELLA FORMAZIONE SUL CAMPO
I termini tirocinio o stage vengono comunemente utilizzati come sinonimi, anche nei testi delle leggi che regolano la materia. Tuttavia, volendo essere più precisi, si possono individuare diverse sfumature di significato, come spieghiamo qui di seguito.
Tirocinio: in genere questo termine indica un’esperienza di formazione pratica dettagliatamente regolamentata, parte integrante di un dato percorso formativo.
Tirocini curriculari: sono quei tirocini che fanno parte dei piani di studio previsti per determinati corsi di laurea e scuole secondarie di secondo grado. Sono obbligatori e non direttamente finalizzati all’inserimento nel mondo del lavoro, ma piuttosto ad arricchire l’apprendimento professionale.
Stage: indica un’esperienza di formazione pratica svolta in maniera più libera, non necessariamente connessa a un determinato curriculum o a un preciso programma di formazione.
Stage non curriculari: sono facoltativi, finalizzati ad agevolare le scelte professionali nella fase di transizione dalla scuola al lavoro mediante una formazione in un ambiente produttivo e una conoscenza diretta del mondo del lavoro. Rientrano in questa categoria:
- • stage formativi e di orientamento: svolti entro un anno dal conseguimento del titolo di studio, con una durata massima di sei mesi;
- • stage di inserimento o di reinserimento lavorativo: per il recupero occupazionale di inoccupati e disoccupati, con una durata massima di 12 mesi (o fino a 24 mesi per persone con disabilità).
Praticantato: si riferisce al tirocinio che viene svolto dopo la conclusione degli studi come il prerequisito per poter sostenere l’Esame di Stato e accedere a determinate professioni (ad esempio quella di avvocato, oppure quella di commercialista).
Apprendistato: è un vero e proprio contratto di lavoro, che prevede quindi una retribuzione conseguente all’attività produttiva svolta dall’apprendista, con agevolazioni sia per l’ente (in considerazione della minore produttività iniziale della persona in formazione), sia per l’apprendista, per il quale sono previste apposite attività formative. (http://www.cliclavoro.gov.it)
1.2 ORDINAMENTO DEI CORSI DI LAUREA
In Italia, l’ordinamento didattico della formazione universitaria è stabilito:
- • a livello di cornice complessiva, dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), che fissa i parametri fondamentali (indicati nei decreti MIUR del 16.03.2007, in base al DM 270 del 22.10.2004);
- • nel dettaglio, dai vari atenei che, nell’ambito della loro autonomia, stabiliscono i piani di studio dei singoli corsi di laurea.
Classi di laurea
Sono raggruppamenti, indicati con una sigla, in cui sono suddivisi i corsi di laurea (tre anni), i corsi di laurea magistrale (due anni successivi alla triennale) e i corsi di laurea a ciclo unico (cinque anni). I corsi di laurea di una stessa classe condividono gli obiettivi formativi fondamentali e, pertanto, rilasciano titoli che hanno un identico valore legale.
La titolazione dei corsi di laurea e dei singoli insegnamenti è stabilita dalla singola università, richiamando di solito il nome della classe.
CFU
I parametri ministeriali sono stabiliti utilizzando come unità di misura il credito formativo universitario (CFU), che corrisponde a 25 ore di impegno medio per studente. Una quota di queste ore (almeno il 50%, ma spesso il 75%) è riservata allo studio individuale, le restanti sono ore di lezione. Nel caso di attività formative a elevato contenuto sperimentale o pratico, come il tirocinio, queste percentuali possono venire applicate in misura diversa (art. 4, DM 16.03.2007).
I corsi di laurea triennale prevedono 180 CFU. Di questi, 90 devono essere distribuiti per ambiti disciplinari secondo i parametri fissati nelle tabelle ministeriali, gli altri 90 sono determinati autonomamente da ciascuna università.
1.3 IL TIROCINIO NELLA LAUREA TRIENNALE IN SERVIZIO SOCIALE
Titoli di studio degli assistenti sociali
La classe delle lauree (triennali) è la L-39, Servizio Sociale. I corsi di laurea L-39 presenti nelle università italiane hanno varie titolazioni: quelle più diffuse sono Corso di laurea in Servizio sociale e Corso di laurea in Scienze del Servizio sociale.
La classe delle lauree magistrali è la LM-87, Servizio Sociale e Politiche Sociali. Anche per la magistrale, le titolazioni variano da un’università all’altra.
Tirocinio
Negli obiettivi formativi qualificanti delle lauree in classe L-39, il DM 16.03.2007 prevede che i laureati nei corsi di laurea della classe abbiano perseguito «l’acquisizione di elementi di esperienza con attività esterne attraverso tirocini presso enti ed amministrazioni pubbliche nazionali o internazionali, organizzazioni non governative e del terzo settore, imprese sociali in cui è presente il Servizio Sociale Professionale».
Il DM 16.03.2007 prevede inoltre che «il curriculum del corso di laurea, oltre a rispettare i minimi indicati dalla tabella, deve anche prevedere almeno 18 CFU per Tirocinio e Guida al tirocinio, privilegiando la supervisione da parte di assistenti sociali».
Ciascun corso di laurea stabilisce quanti CFU siano da acquisire con l’effettiva presenza sul campo (cioè con il tirocinio in senso stretto) e quanti attraverso attività complementari di guida e di rielaborazione. Per ogni CFU da acquisire con il tirocinio in senso stretto possono venire richieste fino a 25 ore di presenza in servizio, dato che si può ritenere non necessaria un’attività complementare di studio individuale.
Come si impara in tirocinio: apprendere dall’esperienza
Nel tirocinio, l’apprendimento avviene principalmente attraverso l’esperienza (Hobbs, 1992). Ogni apprendimento dell’essere umano in tutto il corso della vita è veicolato dall’esperienza: nutrirsi, giocare, leggere un libro, ascoltare una melodia o una conferenza, osservare il comportamento altrui e l’ambiente che ci circonda sono tutte esperienze da cui si impara, così come il contatto fisico con altri esseri viventi, i rapporti interpersonali, la risoluzione di un problema di geometria o la riorganizzazione della pianta organica di un’azienda.
L’esperienza di per se stessa non è sufficiente per generare apprendimento: essa deve in qualche modo «riverberare» all’interno del soggetto, sotto forma di feedback percepiti. Il feedback è un’informazione di ritorno che, mediata da filtri di ricezione e selezione cognitiva, ha l’effetto di confermare o disconfermare i comportamenti messi in atto dall’individuo nel contesto di quell’esperienza e di orientare quelli che terrà in occasioni percepite come analoghe.
L’apprendimento degli esseri umani è caratterizzato dall’alto grado di complessità dei molti modi attraverso cui la persona coglie e decodifica i feedback che gli vengono dall’esperienza. È tale grado di complessità, e in particolare la complessità dei processi cognitivi e affettivi coinvolti, che consente di collocare gli apprendimenti su un continuum che va da quelli semplici, immediati, nei quali a una data esperienza corrisponde quasi sempre un dato apprendimento (ad esempio, quando mi scotto imparo a non toccare il fuoco), a quelli complessi, nei quali da una medesima esperienza differenti soggetti possono trarre insegnamenti diversi.
L’apprendimento per esperienza che ci si attende in un tirocinio professionalizzante si riferisce in genere a:
- 1. un tipo particolare di esperienza, vale a dire l’immersione in un contesto lavorativo reale che comporti sia l’osservazione dell’attività dei professionisti già esperti sia, soprattutto, la diretta sperimentazione di tali attività;
- 2. un particolare oggetto di apprendimento, vale a dire un determinato insieme di competenze professionali, le quali coinvolgono sia la dimensione comportamentale che quelle cognitiva ed emotivo-affettiva, e richiedono dunque un apprendimento complesso, nel quale la semplice percezione del feedback è solo il primo passo.
Kolb (1984) ha elaborato un modello di apprendimento dall’esperienza che coglie efficacemente la natura complessa dell’imparare in un tirocinio di servizio sociale (Miller et al., 2005). Egli identifica una sequenza di fasi (figura 1.1) che porta al conseguimento di competenza.
- • La sequenza di Kolb prende avvio dall’esperienza: una persona si trova davanti a fatti, problemi, situazioni da affrontare, mette in atto una particolare azione (fase 1 – azione).
- • Su tale esperienza il soggetto sviluppa un’analisi, ponendosi nei panni di osservatore riflessivo dell’esperienza stessa, con l’obiettivo di comprendere gli effetti della propria azione nel caso particolare così che, se la stessa azione venisse intrapresa nelle medesime circostanze, gli sarebbe possibile anticipare ciò che seguirebbe all’azione stessa (fase 2 – osservo quali sono stati gli effetti dell’azione). In altre parole, chi apprende osserva se stesso e gli altri in situazione e organizza le sue osservazioni in significati: l’osservazione riflessiva è il passaggio attraverso cui chi impara decodifica e interpreta il feedback proveniente dall’esperienza.
- • L’osservazione riflessiva porta a costruirsi dei concetti e a formulare delle ipotesi su quale sia il principio generale al quale sottostà il caso particolare (fase 3 – ipotizzo che, in una situazione X simile a quella che ho sperimentato, è opportuno fare/non fare Y).
- • Una volta compreso il principio generale, l’ultimo passo consiste nell’applicarlo, attraverso l’azione, in una nuova circostanza che rientri nel range del principio generale che la persona si è costruita (fase 4 –...