1. La pianta verde dell’educazione
Una quercia antica
Ai nostri occhi, la Pedagogia si erge da albero nobile e antico nel giardino delle Scienze dell’educazione. Altre piante lo popolano: portano il nome di Psicologia, Sociologia, Antropologia e Didattica.
Da sempre, è la pianta biblica che ospita la Persona che sta alla rotonda dove si rincorrono i tempi della vita: l’infanzia, l’adolescenza, la gioventù, l’età adulta e l’età senile.
Questo, il nostro punto di vista. L’educazione costituisce — oggi più di ieri — una risorsa umana da non disperdere perché le stagioni evolutive rischiano di dovere lasciare via libera all’avvento devastante di un soggetto/Massa. Rinforziamo la tesi. A partire dall’emisfero boreale (a nord/ovest dell’Equatore), è in arrivo l’onda anomala di un’umanità omologata, piallata, di serie. Una platea di donne e di uomini senz’anima che — a occhi chiusi — replicano le forme di linguaggio, di pensiero, di aggregazione, di loisir quotidiano coniate e imposte dai modelli mediatici del consenso collettivo. Non solo le scelte di vita sociale connesse all’alimentazione, all’abbigliamento, alla comunicazione, al fitness, al tempo libero. Ma anche — e soprattutto — le scelte esistenziali connesse alla Singolarità della donna e dell’uomo invasa, sempre più, da modelli standardizzati di comunicazione, convivialità, modi di pensare e di progettare la propria irriducibilità esistenziale.
Occorre non dimenticare, a questo proposito, che l’album dei ricordi (l’Amarcord) della Pedagogia è disseminato di immagini che illustrano la sua identità di culla feconda di teorie educative e di percorsi di vita. Nel suo attraversamento diacronico lungo i sentieri dell’educazione, ha fatto scalo presso stazioni speculative diverse tra loro: sia per orizzonte teleologico, sia per fondazione epistemica, sia per apparato metodologico ed empirico.
Al di là della sua fenomenologia teoretica, la Pedagogia si onora della sua antica vocazione a progettare una Persona equipaggiata degli zaini necessari per salire lungo gli affascinanti ma anche imprevedibili sentieri generazionali. Sono stipati di conoscenze e di valori che documentano l’esistenza di un loro ricco conto-in-banca. Parliamo del capitale teorico ed empirico che la accreditano a Scienza nobile. La sua densità speculativa risiede, soprattutto, nello sguardo olistico con cui osserva e costruisce l’esistere della Persona. Alle cui sfere costitutive — affettiva, cognitiva, estetica, etico/sociale — assicura slancio vitale e ricchezza umana: ingredienti irrinunciabili per combattere ogni forma di cristallizzazione e di impoverimento delle dimensioni esistenziali della donna e dell’uomo. Questo per dire che la sua carta d’identità testimonia una voglia perenne di idealità, una tensione mai paga per l’utopico: verso un mondo pieno di opzioni rivolte oltre le frontiere del presente, del contingente, dell’attuale. Oltre i crinali dove raramente abitano il domani, il possibile e l’inattuale.
Siamo a un primo approdo argomentativo. Cioè a dire, affermiamo con convinzione che ogni scelta pedagogica — se garantita da rigorosi congegni epistemici (una legittimazione peraltro contingente e provvisoria data la problematicità dell’esperienza educativa) — deve necessariamente equipaggiarsi di una bussola teorica orientata verso poli educativi integrativi o alternativi rispetto a quelli consacrati da una determinata stagione storica e culturale. Una scelta problematica, rivolta a dilatare e a trascendere teorie formative impoverite da chiusure e pregiudizi, da feticismi e settarismi assiologici e ideologici.
Dunque, la Pedagogia si fa tensione perenne al superamento (se necessario: alla trasgressione) dei modelli educativi coniati e imposti dalla società dominante in una determinata stagione culturale. La vocazione al cambiamento costituisce la sua stessa natura: nel senso che le sue lacune derivano dall’impossibilità di trovare un equilibrio tra i dati scientifici e le applicazioni sociali. Di più. Se la Pedagogia dribblasse la ricerca di questo binomio interattivo si confinerebbe senza scampo nel baule delle cianfrusaglie senza valore.
In questi anni d’esordio del Ventunesimo secolo, la Pedagogia — albero/maior del giardino dell’educazione — sta godendo di un’indiscutibile vitalità teorica ed empirica. Vuoi perché pone la Persona sul ramo più alto della riflessione teorica e della progettazione esistenziale, vuoi perché sta attraversando i cieli dell’istruzione e della formazione in una stagione di transito tra due Millenni di spettacolare cambiamento.
Tra modernità e postmodernità
Siamo nel cuore di una transizione epocale che ha sì lasciato le sponde della modernità, ma che non ha ancora attraccato nei porti della postmodernità.
In questo debutto di Secolo, stiamo avvertendo il crescente rullare dei tamburi dell’informazione-di-massa attorno alla parola Educazione.
I megafoni dei quotidiani, dei rotocalchi e delle tv «strillano» la sua centralità sociale e culturale. L’insistito urlo di Munch è un po’ questo.
L’istruzione e la formazione sono risorse umane da non disperdere — convinzione già radicata in John Dewey e in Maria Montessori — perché altrimenti la Persona rischierebbe di lasciare via libera a un’umanità priva di libertà intellettuale e di pensiero plurale. Parliamo dello tsunami sollevato dagli oligopoli che controllano l’informazione diffusa (stampa e tv) con l’intento di imbavagliare l’imprevedibilità e l’indocibilità del pensiero umano: in quanto sistema-di-idee non duplicabile, non manipolabile, non omologabile, non utile.
Sullo scenario diroccato della catramazione di massa, la Pedagogia è la sentinella ultima in difesa dell’umanità: insopprimibile punto/luce che irradia vitalità, creatività e utopia esistenziale. Frontiera in grado di dare senso e significato ai processi di emancipazione e di liberazione (sociale, culturale, valoriale) delle donne e degli uomini da poco approdati sul terzo Millennio.
A partire dal Modernismo in educazione, quali sono le architravi teoretiche — la Pedagogia dal pensiero «forte» — che sostengono l’idea di Cittadinanza e l’idea di Scuola per le giovani generazioni?
Ci sembra di potere rispondere, in proposito, che quando la Pedagogia si pone sulle spalle ali moderniste (scientiste: cosparse di sicurezze educative) attraversa paesaggi abitati sia da un’infanzia/adolescenza storica-reale-antropologica sia da una Scuola che teorizza la sua cognitività e la sua istruzione: a patto, ovviamente, di disporre di una Didattica empiricamente affidabile. È dentro il teorema citato che si coglie la storicità e l’esistenzialità — individuale e collettiva — delle giovani generazioni. Come dire, soltanto se la Pedagogia progetta la Formazione di infanzie e di adolescenze con l’aiuto di una Scuola dall’alto profilo formativo (nelle finalità, negli obiettivi, nei metodi) potrà rispondere alle ragioni sia del soggetto che apprende (l’allievo) sia degli oggetti di apprendimento (la cultura).
Siamo al cospetto di ali moderniste della Pedagogia che danno cielo a un’idea di Scuola dotata di un solido impianto teorico e metodologico.
E che opta, senza incertezze, per rigorosi fondamenti culturali e curricolari. Rinforziamo il paradigma della conoscibilità degli allievi e la loro possibile istruzione.
Nella versione modernista, la Pedagogia dà volo all’infanzia/adolescenza perché possa approdare — autonomamente — sull’isola della propria stagione storica dove deciderà come diventare donne e uomini domani. Siamo al cospetto di giovani generazioni serie, concentrate, protese con tutte le loro forze a ingrandire i propri orizzonti di conoscenza tramite una incessante attività esplorativa e inquisitiva. Sono infanzie e adolescenze dall’insaziabile appetito cognitivo, che assaporano una scoperta dopo l’altra e che scelgono i propri percorsi formativi, le proprie rotte culturali: libere dalle catene che impediscono loro di crescere.
Conseguentemente, la Pedagogia fondata sulla «conoscibilità» delle giovani generazioni teorizza la progettabilità dei processi formativi. Vale a dire, di potere predisporre metodi didattici in grado di raffreddare qualsivoglia tentazione naturalistico-spontaneista dell’educazione dei bambini e dei giovani: pur salvaguardando l’alfabeto dei bisogni e degli interessi delle prime stagioni della vita. Traguardo perseguibile in ambienti scolastici che pongano al centro le motivazioni infantili e giovanili maggiormente marginalizzate in famiglia: parliamo del fare da sé, del movimento, della comunicazione, dell’esplorazione e dell’immaginazione.
A partire da Postmodernismo in educazione, quali sono le architravi teoretiche — la Pedagogia dal pensiero «debole» — che sostengono l’idea di infanzia/adolescenza e l’idea di Scuola per le giovani generazioni?
Ci sembra di potere rispondere, in proposito, che quando la Pedagogia si pone sulle spalle ali postmoderniste (colorate di interrogativi e di dubbi) mira a non smarrirsi nel bosco pietrificato di assiomi e di postulati logici che riducono le categorie universali dell’educazione alle sole asserzioni concretamente e fattualmente verificabili.
Questo criterio regolativo le permette di impugnare un’altra torcia con cui illuminare la complessità dell’approccio pedagogico. Suscettibile certamente di soluzioni scientifiche, ma non valide assolutamente: bensì relativamente, in quanto parziali e inadeguate. Proprio perché disseminata di «perché» e di «dubbi», la Pedagogia in versione postmodernista teorizza la problematicità di qualsivoglia programmazione dell’insegnamento-apprendimento.
Il suo pensiero «debole» prende in considerazione, infatti, anche le cifre di inconoscibilità dell’infanzia e dell’adolescenza: la loro misteriosità, le loro inesplorabilità, le loro illeggibilità esistenziali. Come dire: la teoria dell’inconoscibilità dei soggetti in educazione prende sentieri/altri rispetto a quelli lastricati di ciottoli scientifici. Sono itinerari di vita affettiva, intellettuale e sociale dove prevalgono i dubbi sulle certezze, l’essenza sull’esistenza, l’anima sul corpo, la singolarità sulla collettività, il miracolo sul determinismo, la fede sulla scienza.
Siamo al cospetto di un’idea/altra di Persona, perché la sua autentica realizzazione e la sua integrale umanizzazione chiedono un’infanzia e un’adolescenza che sappiano osservare il mondo che le circonda e che sappiano scrutare e sognare orizzonti lontani. Quindi, di congedarsi dal mito e dalla favola per potere guardare e pensare con la propria testa e con il proprio cuore.