Capitolo primo
Chiarimenti iniziali, per non essere frainteso
L’altissimo valore, non negoziabile, degli obiettivi dell’integrazione scolastica
L’integrazione vera, buona, è piena partecipazione alla normalità del fare scuola nel gruppo «normale» dei coetanei, in una classe «normale», in una scuola «normale», con attività «normali», cioè di tutti.
«Io voglio fare come gli altri.» Ci voleva proprio questa splendida sintesi scritta da un alunno con disabilità della scuola secondaria per racchiudere, come in un cristallo, i molteplici valori della «normalità». Io, alunno con disabilità, voglio fare come gli altri, prima di tutto perché valgo come gli altri (ho gli stessi diritti). Voglio fare come gli altri perché ho un bisogno profondo di valore e di normalità. Fare come (e con) gli altri è un valore intrinseco a quello della persona, un valore in sé assoluto, ma fare assieme agli altri vale anche come strumento potente di sviluppo e di apprendimento. Io, alunno con disabilità, voglio fare come gli altri anche per voi, per gli altri che stanno attorno a me, per la coesione e la crescita del nostro gruppo, a cui sento di appartenere (Ianes, 2006, p. 11).
Integrazione nella normalità che ha dunque il significato dell’uguaglianza di valore della persona, indipendentemente dalla sua condizione personale e sociale. Integrazione scolastica come affermazione e realizzazione di diritti e di valore, affermati in primis dalla nostra Costituzione (che fonda, non dimentichiamolo, la scuola inclusiva italiana).
Sono questi fondamenti di civiltà sociale e politica che rendono la piena integrazione scolastica degli alunni con disabilità una splendida necessità delle prassi formative del nostro Paese.
Analizzando più da vicino le finalità dell’integrazione scolastica, ci accorgiamo che essa deve «servire» a molte cose, non è soltanto un valore in sé, quello di essere dove sono tutti gli altri. Ad esempio, nel documento finale della Commissione Falcucci del 1975 troviamo chiaramente definite le finalità del potenziare gli apprendimenti e le varie competenze di vita sociale dell’alunno con disabilità (Nocera, 2001, p. 35). Leggiamo anche la sentenza n. 215 del 1987, con cui la Corte Costituzionale afferma che «l’integrazione deve realizzarsi su entrambi i versanti dell’apprendimento e della socializzazione». Il fondamentale binomio «apprendimento-socializzazione» torna anche nella relazione della Commissione Sbarbati alla Camera dei deputati, che nel 1998 ribadisce che l’integrazione scolastica debba avere come obiettivi qualificanti non soltanto quelli della socializzazione, ma anche quelli degli apprendimenti. La Legge Quadro 104 per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, del 5 febbraio 1992, infine, è assolutamente chiara: «L’integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione» (art. 12, comma 3).
Credo allora che per discutere seriamente e onestamente di integrazione scolastica, ipotizzando anche profonde innovazioni nelle sue modalità operative, vadano esplicitati e definiti il più estesamente possibile tutti gli obiettivi che essa deve porsi.
Obiettivo 1: Socializzazione come partecipazione sociale, senso di appartenenza e identità sociale
Partecipando alle «normali» attività con il «normale» gruppo di coetanei, l’alunno con disabilità sperimenta profondamente l’«esserci», il riconoscimento del proprio valore, con conseguente aumento di sicurezza, autostima e senso di appartenenza.
Se io sono nella normalità, se vi partecipo, anche se con modalità tutte mie, mi sento bene perché sento di partecipare ad uno stereotipo positivo, vengo visto, giudicato nella normalità («Impariamo a essere ciò che ci dicono di essere», come scrive Ronald Laing); vengo riconosciuto nella mia «normalità» essenziale, nel mio valore di persona; l’essere accettato e il partecipare mi fanno crescere, magari lentamente, verso la normalità. (Ianes, 2006, p. 15)
Partecipando alle attività di un gruppo normale di coetanei si struttura buona parte dell’identità sociale dell’alunno, attraverso rispecchiamenti, rappresentazioni, aspettative condivise. Essere e sentirsi negli ordinari percorsi formativi istituisce e forma significati condivisi e comuni, rituali, regole, modelli comportamentali attraverso imitazione, interiorizzazione, coevoluzione e differenziazione.
La partecipazione sociale, intesa come il rivestire ruoli normali nelle varie situazioni di vita normale, è anche, secondo il modello antropologico ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, uno dei principali fattori costitutivi del benessere individuale, della salute e del funzionamento umano positivo.
L’obiettivo «socializzazione» si articola in una serie di situazioni di buona socialità nei vari momenti formali e informali della vita scolastica e anche nelle varie occasioni di vita sociale extrascolastica, sia organizzata che informale. In altre parole, dalle interazioni positive in un gruppo di apprendimento cooperativo agli inviti alle feste di compleanno dei compagni di classe (si vedano gli ambiti della «Partecipazione sociale» in ICF-CY, OMS, 2007).
Obiettivo 2: Apprendimento di competenze
È evidente che un’altra serie rilevante di obiettivi dell’integrazione scolastica deve essere rappresentata dall’apprendimento, da parte dell’alunno con disabilità, di una gamma il più ampia possibile di competenze reali, utili e sensate. Competenze che saranno definite collegialmente da tutti gli insegnanti, in accordo con la famiglia, nel Piano Educativo Individualizzato, previsto dalla normativa e indispensabile documento di programmazione e di azione educativa e didattica.
In un Piano Educativo Individualizzato completo, e che guarda lontano, diventando via via sempre più Progetto di vita, dovremmo trovare:
- obiettivi di apprendimento tratti dalla programmazione curricolare della classe di appartenenza e cioè obiettivi scolastici comuni, anche se più o meno adattati con varie forme di traduzione in altri codici, con facilitazioni o semplificazioni, in funzione delle reali capacità dell’alunno;
- obiettivi di tipo «abilitativo», tratti dalle varie abilità e competenze legate alle funzioni corporee (per usare il lessico ICF) coinvolte nella vita scolastica e nell’apprendimento: ad esempio, le funzioni cognitive, l’attenzione, la memoria di lavoro, il controllo dell’impulso, oltre alle funzioni sensoriali e percettive, psicomotorie, visuo-spaziali, ecc.;
- obiettivi educativi nei vari campi delle «attività personali», come ad esempio la comunicazione e i vari linguaggi, le abilità e le interazioni sociali, le autonomie personali e sociali, ecc.;
- obiettivi psicoaffettivi e comportamentali, come il riconoscimento, l’espressione e la regolazione di stati d’animo, la soluzione collaborativa di un conflitto, lo sviluppo di comportamenti positivi al posto di quelli eventualmente problematici, ecc.;
- obiettivi legati all’identità e all’autostima: all’interno di questo «saper essere» dell’alunno possiamo identificare due grandi dimensioni intrecciate. Nella dimensione identità troviamo obiettivi propri di una sempre maggiore consapevolezza di sé come persona che ha una storia e una memoria, ma anche come persona che ha una prospettiva di futuro, con aspettative, motivazioni, valori, progetti e desideri, che pone confini ragionevoli tra sé e gli altri, che opera scelte e decisioni e che continua ad automigliorarsi dinamicamente. Un’identità forte dà alla persona sicurezza e motivazione intrinseca rispetto alle azioni che decide di intraprendere per raggiungere obiettivi e attuare progetti. Una persona con disabilità che, tra i suoi progetti per il futuro, ha quello di una vita indipendente rispetto alla sua famiglia avrà una forte motivazione intrinseca ad apprendere quelle competenze complesse di autonomia sociale importanti per il proprio progetto di vita, competenze dunque che saranno ben gestite a livello psicoaffettivo, dato che trovano senso nella sua identità progettuale.
Nella seconda dimensione, l’autostima è sostanzialmente un autogiudizio sul proprio valore personale e costituisce un fondamentale motore energetico e motivazionale delle varie azioni di apprendimento e di partecipazione, accanto all’autoefficacia rivolta a specifici corsi d’azione dell’alunno; - obiettivi di competenza lavorativa e di partecipazione sociale estesa: un percorso ampio di integrazione scolastica si pone anche obiettivi di integrazione lavorativa soddisfacente e integrata, accanto a obiettivi di acquisizione delle competenze necessarie per una piena partecipazione sociale negli ecosistemi della vita, il più possibile indipendente, del tempo libero, della partecipazione attiva alla comunità, dello sport, ecc. In questo senso, il Piano Educativo Individualizzato diventa sempre più «Progetto di vita» (Ianes e Cramerotti, 2009).
Obiettivo 3: Arricchimento umano, relazionale e apprenditivo di tutti gli alunni della classe
Una finalità «parallela» dell’integrazione scolastica, riferita molto frequentemente dagli insegnanti, è lo sviluppo personale di tutti gli alunni della classe, che crescono sotto vari punti di vista: aumentano le loro abilità relazionali di aiuto e comunicative, la loro empatia e le capacità di comprendere e gestire i propri stati d’animo, la loro autostima, le loro competenze metacognitive e di «insegnamento» applicate agli apprendimenti curricolari, che vengono così meglio assimilati, le loro conoscenze biologiche, antropologiche e sociali sulle differenze umane.
Accanto a questi progressi psicologici e relazionali ci si aspetta un eguale e più generale rafforzamento dei valori solidaristici e del senso di equità.
Obiettivo 4: Collaborazione e sostegno alla famiglia dell’alunno con disabilità
Una delle finalità centrali dei processi di integrazione scolastica riguarda lo sviluppo di soddisfacenti modalità di partnership educativa con le famiglie degli alunni con disabilità. In particolare, la scuola deve puntare a sviluppare attivamente la propria capacità di comunicare, di coinvolgersi e di collaborare, di negoziare pacificamente e costruttivamente obiettivi e modalità di lavoro, di saper ricevere e dare aiuto e suggerimenti nella piena valorizzazione dell’altro partner e nel rispetto dei ruoli diversi e delle differenti responsabilità.
Per avvicinarsi a questi risultati, essa deve essere d’esempio alla famiglia, ponendosi come partner empatico, competente e rispettoso. Quando l’integrazione scolastica funziona bene produce un’importante partnership educativa che gioca un ruolo fondamentale nel globale supporto psicosociale di cui la famiglia ha bisogno e nello sviluppo di competenze di fronteggiamento attivo dello stress negativo che alcune situazioni particolarmente complesse possono generare.
Obiettivo 5: Sviluppo professionale e umano delle varie figure che operano nella scuola e miglioramento organizzativo dell’istituzione
Una delle finalità importanti (e spesso raggiunte) dai processi di integrazione, così come emerge molto spesso dalle voci degli insegnanti, è l’acquisizione o il miglioramento di competenze professionali sia negli insegnanti curricolari che in quelli specializzati, nei collaboratori e nei dirigenti, attraverso la collaborazione con esperti esterni, l’aggiornamento, la rielaborazione delle esperienze, ecc. Si potrebbe forse sostenere, infatti, che l’integrazione scolastica abbia stimolato le più grandi (anche se ancora timide e poco incisive) innovazioni didattiche, come ad esempio l’uso delle nuove tecnologie, l’individualizzazione, ecc.
Una finalità parallela è quella della «sensibilità» alle differenze tutte, all’empatia, alla disponibilità all’ascolto e alla relazione di aiuto, al senso di equità e di differenziazione, discriminazione positiva e valorizzazione incondizionata che dà sostanza positiva ai processi di integrazione scolastica.
Anche l’istituzione intesa sotto il profilo organizzativo dovrebbe beneficiare del raggiungimento di obiettivi importanti a seguito di processi di integrazione riusciti: maggiore flessibilità organizzativa, abilità di gestire situazioni critiche e conflittuali, capacità di attivare collaborazioni interistituzionali e con le famiglie, capacità di documentare e sperimentare e di rendere consapevoli e far crescere valori inclusivi. In questo quinto obiettivo troviamo le finalità che per alcuni autori (D’Alessio, 2011; Medeghini e Fornasa, 2011) sono il vero fine dell’integrazione scolastica, che dovrebbe essere il mezzo potente per far cambiare profondamente la scuola, per modificarla da istituzione oppressiva a motore di inclusione e trasformazione sociale egualitaria.
Obiettivo 6: Crescita culturale e politica diffusa rispetto alle differenze
L’integrazione scolastica si pone anche obiettivi sociali più ampi, di sensibilizzazione collettiva, al di fuori della scuola, sui valori della differenza, dell’equità e dell’accoglienza. Attivando sistematicamente processi di integrazione è naturale attendersi di ottenere, parallelamente, il contrasto di forme di emarginazione dovute al persistere di stereotipi negativi, mantenuti o alimentati dalla mancanza di familiarità con persone con una qualche diversità e da spinte sociali e politiche regressive. Intere generazioni di alunni hanno più o meno collaborato all’integrazione e hanno così familiarizzato con condizioni umane anche drammaticamente diverse. Queste esperienze potranno portare, successivamente, ad atteggiamenti più aperti verso ulteriori processi inclusivi, come quelli nelle varie realtà lavorative e sociali e nell’interazione con varie forme di differenze umane.
Gli obiettivi qui descritti sono i veri «valori» dell’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, sono i «perché» degli sforzi e impegni di tante persone, e sono i valori e gli obiettivi che non vanno mai messi in discussione, assolutamente. Vanno però cercati i modi efficaci per raggiungerli; in caso contrario, i principi dell’integrazione saranno traditi da una realtà frustrante e ingiusta.
Valorizzare gli insegnanti di sostegno, non penalizzarli
Nel 2014-15 il numero di insegnanti di sostegno è stato pari a 117.000, dati ufficiosi del MIUR: persone che hanno lavorato per l’integrazione degli alunni con disabilità, certo non tutti con la stessa motivazione e competenza, ma ai quali va offerta una possibilità migliorativa di evoluzione professionale e umana.
La tesi di questo libro è esattamente questa: un’idea forte e radicale di sviluppo positivo, non un «trucco» per eliminarli attraverso una spending review pedagogicamente mascherata.
Le esperienze, le competenze, la passione, l’identità e la dignità professionale degli insegnanti di sostegno non vanno disperse ma valorizzate in una doppia direzione. Una è quella della normalità, e cioè della titolarità piena in un organico funzionale di scuola o di rete di scuole. Indicativamente l’80% degli attuali insegnanti di sostegno dovrebbe diventare insegnante curricolare, normale, davvero titolare, non più legato a una diagnosi di uno o più alunni con disabilità, ma realmente titolare del lavoro educativo e didattico con tutti gli allievi. Un collega a tutti gli effetti, che non si sentirà più insegnante «di serie B» e non vedrà l’ora di mollare il sostegno e «prendere» finalmente la classe.
Come vedremo nel dettaglio più avanti, avere più insegnanti realmente contitolari renderà la didattica ordinaria più inclusiva; ma chiariamo subito un punto. L’insegnante di sostegno divenuto curricolare si occuperà di tutta la classe, e ovviamente anche dell’alunno con disabilità ma, dato che in una classe normalmente ci sono vari altri studenti che richiedono attenzioni speciali, come alunni con DSA o altre forme di BES, si potrebbe sollevare l’obiezione, da parte di chi tutela gli interessi degli alunni con disabilità, che le poche ore di compresenza sarebbero di necessità diluite anche a beneficio di altri alunni con difficoltà ma non con disabilità certificata. Questo è un timore fondato, ma è basato ancora sulla vecchia concezione che possa e debba lavorare efficacemente con un alunno con disabilità solo un insegnante «speciale», aggiuntivo, che tuttora la norma assegna soltanto agli alunni con una certificazione di disabilità.
Come vedremo, questa concezione va superata attraverso il coinvolgimento diffuso e competente di tutti i docenti curricolari. Vedremo anche che una scuola che vuole essere davvero inclusiva deve attivare più risorse, non meno e che tanti insegnanti curricolari sono una risorsa integrativa troppo spesso «silente» e che non esprime appieno il suo potenziale. Nel capitolo quarto vedremo come il coinvolgimento competente dei docenti curricolari può attivare le tante risorse latenti che oggi esistono nella scuola, facendo in modo che all’alunno con disabilità, per realizzare la sua piena integrazione, arrivi di più, non di meno.
Questa prima linea di sviluppo «normalizzante» prefigura dunque uno scenario in cui non esiste più qualcosa di «separato», che si chiama «insegnamento di sostegno», né fatto da docenti di sostegno, né fatto da docenti curricolari che, per una parte delle ore di cattedra, fanno il sostegno, come ipotizzato da una recente pro...