Il coraggio della filosofia
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«La battaglia contro la barbarie delle teorie totalitarie rimane il compito di aut aut e scavalca i decenni.»

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788865761649
1. UNA NUOVA IDEA DI CULTURA
(1951-1959)
Editoriale
di Enzo Paci
Quando, circa un secolo fa, Kierkegaard scriveva Aut Aut pensava a una scelta tra le avventure dell’esteta e la realtà etica. Era, l’estetismo, l’irrilevanza, la dispersione, l’uguaglianza hegeliana dei valori; doveva essere, l’etica, la decisione, il rischio, la responsabilità. L’antinomia divenne sempre più grave nell’ultimo Kierkegaard e nel pensiero contemporaneo. Scegliere è solo possibile nella libertà, ma la libertà sembra l’incertezza assoluta, il cadere di tutte le garanzie, la «terra ignota». Con un crescendo inevitabile la cultura contemporanea ha dovuto spezzare tutte le sovrastrutture, ha dovuto distruggere tutte le false soluzioni. Ha così sperimentato il terrore di trovarsi nella libertà assoluta di fronte al nulla, in quella vertigine della libertà nella quale già Kierkegaard vedeva l’origine della tentazione. E la tentazione è la rinuncia alla libertà, che è poi rinuncia a costruire secondo una nuova legge e una nuova forma, senza tornare indietro, a soluzioni che si sanno e si sentono false, anche se sono state vere, perché non corrispondono ai nostri problemi e alla radicalità dei nostri problemi.
Non si può tornare indietro: ciò vuol dire che non si può rinunciare alla libertà e che non si può costruire rinunciando alla libertà. Non si deve rinunciare a risolvere in chiarezza le nuove forme dell’irrazionale, a trasformare in soluzioni le nuove situazioni problematiche. Poiché queste esigono, in ogni campo, nella filosofia come nella scienza, nell’arte come nella realtà sociale, nuove soluzioni ma costringono al rischio, al cammino in regioni non garantite, sono comprensibili le stanchezze e i ritorni: è comprensibile che si senta il bisogno di rifugiarsi nel consolante seno materno della metafisica classica, nelle forme estetiche provate e garantite dalla tradizione e si finisca, in ultima analisi, per considerare tutta la cultura moderna come un tragico errore di cui si stanno pagando le conseguenze. E poiché la cultura moderna si confessa in crisi, perché riconosce i propri dubbi e ha il coraggio dei propri errori e dei propri peccati, questa sua stessa confessione viene assunta come prova del suo fallimento. La libertà, si sa, è facilmente attaccabile: non sopravvive se non riconosce l’autocritica e la critica. Piuttosto che accettare l’equilibrio che impone, si preferisce tornare indietro. Tuttavia tale ritorno, anche se i suoi motivi sono comprensibili e se la tentazione sembra ed è stata spesso irresistibile, è assolutamente illusorio; esso potenzia la situazione problematica, la conduce all’esasperazione, irrigidisce i termini in lotta, annulla ogni dialettica, poiché la destra si scopre sinistra e la sinistra destra, rende impossibile ogni mediazione, invocando a propria difesa l’infantile bisogno di una mediazione assoluta o di una soluzione definitiva che, da qualsiasi parte provenga, si presenta come eliminazione della libertà, dell’incertezza, del rischio, della responsabilità. Al rischio della libertà sembra preferibile una soluzione anche se falsa. Tutto allora sembra rimettersi a posto e la cultura, se è ancora cultura, sfugge ai suoi compiti, in questo tempo nel quale tutto è diventato troppo difficile, e si abbandona alla rettorica dell’artificiale facilitazione della vita. È chiaro che la vita in questo senso più facile è la vita senza cultura e senza libertà: è la barbarie. L’aut aut è molto semplice: o libertà della cultura o barbarie.
La critica che il pensiero e l’arte contemporanei hanno rivolto contro le soluzioni false viene spesso esasperata, allo scopo, consapevole o inconsapevole, di dimostrare che con la libertà non si può costruire. Assistiamo così all’artificiale problematicismo dell’impossibile: non è più possibile far poesia, musica, pittura, architettura, filosofia, «se non si torna indietro». Questo problematicismo dell’impossibile è altrettanto pericoloso dell’esaltazione artificiale della facilità della vita. L’esistenzialismo non va inteso come il fallimento del pensiero moderno, ma come l’autocritica del pensiero moderno che cerca una forma non illusoria, un nuovo ordine nella libertà. L’autocritica della scienza non è il fallimento della rigorosità scientifica, ma il perfezionamento graduale di un metodo che si conquista la propria strada distruggendo le categorie «necessarie» del positivismo romantico e dell’idealismo. La dodecafonia non è la dissoluzione cromatica della musica, ma la scoperta di una nuova, più libera e più rigorosa articolazione dei suoni. Se si insiste sulla crisi della letteratura, della poesia, del romanzo, è perché si cerca una nuova e libera forma, e, nello stesso tempo, un nuovo rapporto, una nuova umanità, una nuova comunicazione tra autore personaggio e lettore.
Il nuovo pensiero è distruttivo solo per chi proietta nelle sue ricerche la propria nostalgia per l’infanzia del passato e per chi non sa valutare e sentire uno sforzo costruttivo nelle sue esigenze critiche. Certo la filosofia sa oggi che non esistono garanzie: la categoria della necessità, che ha dominato tutto il pensiero dell’Ottocento e gran parte di quello del Novecento che l’ha proseguito, è caduta. La categoria che domina la nuova cultura è quella della possibilità. È naturale che coloro che restano legati alle illusorie garanzie del passato parlino invece di impossibilità e si rinchiudano in essa, è naturale che neghino la libertà e la possibilità da parte della libertà di darsi una norma, o si richiamino a norme scadute anche se riconosciute illusorie da coloro stessi che le invocano. È naturale infine che si rimproveri alla nuova filosofia e alla nuova cultura di non raggiungere l’assoluto. Non è solo naturale, perché è vero. Infatti la nuova filosofia non offre totali garanzie, non offre la sicurezza di un ordine necessario, non vuole rinchiudere in sé l’infinito. Al filosofo rivelatore dell’assoluto sostituisce la più modesta ma più concreta figura del filosofo che vive da uomo tra gli uomini e cerca con essi di superare gli ostacoli, di persistere nella via della civiltà, di affrontare e vincere i pericoli del comune destino.
Fondamenti di una sintesi filosofica
di Enzo Paci
I. La relazione
1. La filosofia è almeno discussione sulla filosofia, se è vero, come dice Aristotele, che si deve o non si deve filosofare, ma, in ogni caso, per decidersi a non filosofare, è necessario filosofare.
2. In quanto discussione la filosofia è dialogo o dialettica.
3. Ciò che si può discutere è controvertibile; la filosofia in tanto sarà possibile in quanto troverà un principio incontrovertibile, tale cioè da non porla come controvertibile nel momento stesso nel quale si pone come filosofia.
4. Se pensiamo all’incontrovertibile come al concetto dell’incontrovertibile, l’incontrovertibile è l’incontrovertito, e il controvertibile è il controvertito. Quindi C = C e I = I. Indicando I con A e C con –A, avremo: A = A e –A = –A. Il controvertito e l’incontrovertito sono indicati dalla stessa lettera rispettivamente con segno negativo e positivo. Avremo dunque A diverso da –A. L’incontrovertito non è il controvertito e viceversa. Se indichiamo l’incontrovertito come il logos e il controvertito come il dialogo diremo che logos e dialogo sono in funzione reciproca e dialettica.
5. Secondo quanto precede si potrebbe definire l’incontrovertito come ciò che rende possibile il dialogo e quindi, secondo il punto di vista aristotelico, come il principio di identità non dimostrabile dal dialogo. Il dialogo sarà allora reso possibile dal principio di identità, quindi dialogare significa accettare, senza dimostrazione, l’incontrovertito. Ma dialogare è allora porre l’incontrovertito come controvertito e dire in ultima analisi che incontrovertito e controvertito sono uguali.
6. Il controvertito e l’incontrovertito non possono dunque essere definiti uno in funzione dell’altro. Né l’uno né l’altro contengono la ragione della propria controvertibilità o incontrovertibilità. Il controvertito rimanda la ragione di essere tale a qualcosa che non sia la propria controvertibilità nell’incontrovertito e cioè la propria incontrovertibilità. L’incontrovertito rimanda a qualcosa che non sia la propria conversione nel controvertito e cioè la propria controvertibilità. L’incontrovertito-controvertito rimanda a un «altro».
7. L’altro o ha un rapporto con l’incontrovertito-controvertito o è nel rapporto tra controvertito e incontrovertito.
8. Nel primo caso l’incontrovertito-controvertito è identico e l’altro è, appunto, ciò che è altro dall’identico. Ma si ripete in tal modo tra l’identico e l’altro lo stesso rapporto di controversione dialettica che si poneva tra incontrovertito e controvertito, rapporto che si conclude con l’identità identico-altro e così all’infinito. Se l’identità dell’incontrovertito è il principio d’identità che poi si eguaglia al principio di contraddizione, l’«altro» è il principio del terzo escluso.
9. Si tratterà non di un altro in rapporto «con», ma di un altro «nel rapporto». L’incontrovertibile non è nei termini del rapporto, il controvertito o l’incontrovertito, ma nella relazione. Non è dunque da ricercare nel fatto che i due concetti sono uno in funzione dell’altro, ma nella relazione in quanto tale, nella correzione di quella che Kant considerava la categoria della relazione, da Kant indicata come «reciprocità», categoria che nella Critica si risolve poi, in quanto terza analogia dell’esperienza, nel principio della simultaneità. Bisogna che la relazione superi la dialettica, la reciprocità e quindi la simultaneità.
II. L’irreversibile
10. Se A e –A sono in rapporto di reciprocità e uno può prendere il posto dell’altro, essi sono indistinguibili. Il controvertito e l’incontrovertito si risolveranno sempre l’uno nell’altro. Bisogna dunque che il rapporto non sia di reciprocità ma di irreciprocità. È indifferente che i termini della relazione siano l’uno o l’altro. È invece necessario che la relazione conduca dall’uno all’altro o dall’altro all’uno. La relazione, per essere relazione, dovrà necessariamente avere una direzione. La relazione determina un dirigersi da un «da» a un «a».
11. L’incontrovertibile in una relazione indica una direzione da un «prima» a un «poi». La simultaneità è logicamente impossibile, mentre è necessaria l’irreversibilità e cioè è necessario che sia possibile la direzione «da» «a» ma mai la direzione reciproca.
12. L’incontrovertibile è una relazione irreversibile.
13. Una relazione irreversibile, se presa in sé, come pura relazione, non definisce ciò che è «prima» e ciò che è «poi»; ma afferma soltanto che ciò che è, se non vuol controvertirsi in ciò che non è, è in una relazione che in sé, e non fuori di sé, sia tale da dover avere avuto un inizio e da dover avere una fine.
III. Pensiero esistenza e valore
14. Se la relazione è irreversibile e, in quanto tale, universale e necessaria per la conoscenza, diremo che è la legge della conoscenza e del pensiero.
15. Se ciò che è conosciuto ha la forma di ciò che lo conosce, diremo che la legge della conoscenza è la forma di ciò che è conosciuto in quanto è conosciuto. Il conosciuto in quanto irreversibile, e perciò temporale, o esistente nel tempo, lo diremo, in generale, esistenza.
16. In quanto la forma è la forma che deve avere la conoscenza e che deve avere il conosciuto o l’esistenza, la diremo valore.
17. L’esistente è il contenuto della forma. In quanto formato l’esistente è reale.
18. L’esistente, in quanto la forma è forma del probabile e la relazione implica il possibile, può porre come forma se stesso e cioè il proprio contenuto. In tal caso la sua forma, poiché ha sempre una forma, è il finito nella maschera dell’assoluto.
19. L’esistenza non mascherata, e cioè l’esistenza autentica, in quanto massima unità con la forma, è lo spirito.
20. L’esistenza e lo spirito determinano una gradualità del reale.
21. La possibilità, nella gradualità del reale, della scelta per il valore, e cioè per la direzione, o è impegno per la realtà dello spirito, o rinunzia al valore e quindi deformazione del reale e autonegazione.
22. La gradualità del reale determina forme minori e superiori e un loro rapporto. L’esistenza è contenuto della forma in quanto realtà; è esigenza di una forma più alta in quanto bisogno; potenzialità di una nuova forma in quanto negandosi come contenuto di una forma minore, si può porre come contenuto di una forma superiore; possibilità, come libertà, in quanto può realizzarsi secondo il valore, o secondo la normatività della forma, o non realizzarsi, e ricadere in una forma minore distruggendo la forma superiore. Una relazione può porsi come realizzazione della forma e quindi come possibilità realizzata, nella misura nella quale realizza la propria normatività e trasforma quindi l’esistenza da possibile in reale.
IV. Il principio di indeterminazione
23. Se chiamo Io ciò che conosce o l’Io non si conosce, oppure si conosce secondo la forma e cioè si pone tra un inizio e una fine, e, in quanto conosciuto ed esistente, determina un proprio inizio e una propria fine.
24. Se l’Io si conosce come un conosciuto, si conosce come un sentire temporale che non si risolve nel conoscente e cioè come un evento che sente ogni altro evento: l’Io si conosce come esistenza finita ed empirica in rapporto ad altre esistenze.
25. L’Io non conoscibile se non come «non conoscibile» o conosciuto, in quanto costruisce un sistema filosofico e compie le operazioni necessarie per conoscerlo, lo diremo l’operatore del sistema.
26. L’operatore, in quanto operante, non è definibile nei termini del linguaggio del sistema.
27. Non è possibile definire insieme il sistema e l’operatore; chiameremo questo principio principio di indeterminazione da sostituire al principio di identità, a quello di contraddizione e a quello del terzo escluso. Se l’«esperienza» o «la storia» hanno un doppio volto, non è possibile vederle da ambedue i lati.
28. L’Io in quanto si conosce è conoscenza della forma del conosciuto e quindi dell’esistenza del mondo.
29. L’Io inconoscibile è esistenza senza forma cosciente, sensibile temporale inconscio. Se è nella forma in quanto conosce, è fuori della forma in quanto non conosciuto.
30. La violazione del principio di indeter...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il coraggio della filosofia. Introduzione di Pier Aldo Rovatti
  3. 1. UNA NUOVA IDEA DI CULTURA (1951-1959)
  4. 2. GLI ANNI DELLA FENOMENOLOGIA (1960-1969)
  5. 3. IL DECENNIO DEI BISOGNI (1970-1979)
  6. 4. UN PENSIERO DEBOLE? (1980-1989)
  7. 5. CON FOUCAULT, DERRIDA E GLI ALTRI (1990-1999)
  8. 6. LA FILOSOFIA MESSA IN GIOCO (2000-2010)