1. La tragedia dell’esistenza
Troilo e Cressida di Shakespeare
Troilo e Cressida, la più controversa e ambigua delle opere shakespeariane, colpisce il lettore moderno come un documento del presente: il suo indagare numerose infedeltà, il suo criticare le pretese tragiche e, soprattutto, il suo implicito dibattito tra ciò che è essenziale nella vita umana e ciò che è solo esistenziale sono temi del xx secolo. Filosoficamente, la pièce è una delle primissime espressioni di ciò che oggi si definisce visione «esistenziale»; psicologicamente, non rappresenta soltanto la mentalità puritana nella sua angosciata ossessione per la carne che opprime lo spirito, ma opera per giustificare quella concezione. Non si tratta solo di ciò che dello spirito viene speso in uno «spreco di vergogna» catastrofico, ma dell’intero dispendio dello spirito, poiché l’oggetto dell’adorazione spirituale (anche se, come Elena, non è infedele) non può mai equivalere alla purezza dell’energia sprecata. Shakespeare mostra nella più macabra e meno soddisfacente delle sue tragedie lo spettacolo moderno, ironico, nichilistico dell’uomo sminuito, e non di colui che viene esaltato. Non si discute il legame dell’opera con la tragedia; etichettarla come una delle «commedie oscure» significa travisarla gravemente. Questa è una tragedia di tipo particolare, alla cui base c’è l’impossibilità della tragedia convenzionale.
Questa tragedia speciale, allora, verrà vista operare all’interno della tradizionale impalcatura del genere tragico, utilizzando i materiali e la costruzione pretesi da un lavoro ortodosso. Ciò che viene negato – deliberatamente negato – è la «giustizia poetica». Altrove, Shakespeare distrugge sia il bene che il male in modo completo, ma in Troilo e Cressida i personaggi «buoni» o sono distrutti o si distruggono. I personaggi «cattivi» (Achille, Cressida) vengono dimenticati; i loro destini sono irrilevanti. In definitiva, chiunque sia coinvolto nella guerra di Troia morirà, eccetto Ulisse ed Enea, e può darsi che Shakespeare utilizzi questa consapevolezza come una sorta di sfondo contro il quale si snoda l’opera, con la consapevolezza del pubblico a conferire al tutto una maggiore ironia; ma ciò è piuttosto improbabile. La pièce, così com’è, nega la distruzione tragica e l’elevazione. Segue altri drammi shakespeariani nel mostrare l’annichilimento delle apparenze da parte della realtà, ma la «realtà» raggiunta è soltanto una visione nichilistica. Così Pandaro chiude la storia supponendo che molti tra il pubblico siano «confratelli e sorelle dell’associazione portieri»1 e promettendo di trasmettergli le sue «malattie». Il consueto uso del linguaggio volto a ripristinare, con la sua magica eloquenza, l’umanità perduta della figura tragica viene qui negato. Otello appare prima come uomo straordinario, poi come uomo, poi come animale, ma alla fine e nel modo più significativo come uomo, poco prima della sua morte; questa è la parabola tragica tradizionale, la messa alla prova, la quasi rovina e il ristabilimento finale dell’uomo. Tramite il linguaggio Otello raggiunge quelle vette alle quali prima aveva rinunciato per il male. Ma in Troilo e Cressida Troilo conclude l’opera con la dichiarazione di odio verso Achille e la promessa di vendicarsi di lui. Finisce, come ha iniziato, nel parossismo. Il suo impeto d’amore adolescente per Cressida cede il passo a un cinico, sconsiderato impeto d’odio per Achille. In nessun caso raggiunge l’armonioso equilibrio dell’eroe tragico o dell’uomo che dobbiamo adottare come portavoce di noi stessi. Perfino la devastante scena del «riconoscimento» è offerta al pubblico attraverso un artificio che ricorda la commedia: Tersite che guarda Ulisse che guarda Troilo che guarda Cressida con Diomede. Troilo è quasi una figura tragica e non è un errore di Shakespeare il fatto che non riesca a raggiungere questa destinazione, poiché gli stessi termini dell’esperienza di Troilo ne impediscono l’elevazione. Non può essere una figura tragica perché il suo mondo non è tragico, ma solo patetico. Non può trascendere le sordide banalità del suo mondo poiché appartiene fieramente e totalmente a quel mondo, e in un luogo in cui tutto viene visto nei termini di merce, malattie, cibo, cucina e «vanto» dello spargimento di sangue, la condizione dell’uomo non è mai tragica. Che questo atteggiamento sia «moderno» giunge ancor più inaspettatamente quando si prendono in considerazione lo strano, fiabesco sfondo dell’opera (un centauro che lotta dalla parte di Troia, per esempio) e i rituali episodi d’amore e conflitto che si svolgono in primo piano.
Qui il tentativo di Shakespeare di lacerare le convenzioni richieste dal pubblico-tipo assumerà la sua immagine più cruda in varie espressioni di infedeltà, che è la legge naturale del mondo dello spettacolo, e, per estensione, del resto del mondo: l’infedeltà di una donna nei confronti di un uomo, l’infedeltà del corpo rispetto all’anima, l’infedeltà dell’ideale verso il reale e l’ancor più vasta infedeltà del «tempo», «enorme mostro di ingratitudine».2 In questo caso, l’uomo è intrappolato in un mondo temporale, fisico, e la sua retorica, la sua poesia, perfino il suo genio non possono liberarlo. Ciò che rende così moderna questa tragedia è la sua pertinacia esistenziale rispetto alla completa incapacità dell’uomo di trascendere la sorte. È possibile che altri attori tragici superino, come per magia, le loro difficili condizioni, e altrettanto magica è la promessa di un rinnovamento dei loro paesi malati (Lear, Amleto ecc.), ma gli attori di Troilo e Cressida, così diversi e umani, spiccano contro il loro mondo misero e pieno di illusioni. Ettore, che avrebbe potuto rifiutare una sordida fine, decide infatti di umiliarsi, venendo poi ucciso come un animale. Non appena rinuncia alla «sfida di cavalleria», egli rinuncia anche al suo diritto di essere considerato uomo e così il fatto che venga trascinato dal cavallo di Achille è un destino crudele ma appropriato, considerando il clima violento del suo mondo. Un errore e l’uomo regredisce allo stato di animale, o diventa mera carne da macello. Quanto allo spirito e alle sue aspettative, queste si dimostrano come allucinatorie. Mai fu scritta cronaca più triste della condizione umana. Se in generale la tragedia è una critica dell’umanesimo dall’interno, Troilo e Cressida è una tragedia che mette in discussione le pretese ideali della tragedia stessa.
Nell’atto secondo, scena seconda, i troiani stanno tenendo un consiglio di guerra, Ettore e Troilo discutono. Ciò che dicono è molto più importante del perché lo dicono, una distinzione che è valida anche per i discorsi di Ulisse:
ettore
Fratello, lei non vale ciò che costa
conservarla.
troilo
E cosa c’è che valga se non quanto è
valutato?
ettore
Ma il valore non sta nell’arbitrio del singolo;
mantiene il suo estimo e la sua dignità
intrinsecamente, non solo per chi lo apprezza.3
Questioni di «valore», «costo» e «valuta» pervadono l’opera. Le relazioni umane sono equiparate ai rapporti commerciali – l’amore consumato di Troilo e Cressida, per esempio, è un «accordo», con Pandaro come testimone legale. Qui l’oggetto della questione è Elena, ma com’è chiaro la sua figura è secondaria rispetto a questo dibattito: Ettore insiste, insieme con la maggior parte dei filosofi occidentali, che c’è un valore essenziale nelle cose o nelle azioni che è presente prima della loro esistenza temporale e della loro relazione temporale a un «giudizio particolare». Non sono create dall’uomo ma esistono indipendentemente da lui. In altre parole, gli uomini non determinano i valori secondo volontà, desiderio o capriccio. I valori esistono a priori; si basano su leggi naturali stabilite, su quella gerarchia di gradi di cui Ulisse parla nel primo atto. Anche Ettore si affianca a Ulisse nel credere che «gerarchia, priorità, e luogo, / stabilità di corso, orbita, proporzione, / stagione, forma, funzione e abitudine»4 siano osservati non solo dagli uomini, ma dall’universo naturale. Ciò che risulta strano è che qualsia...