Imperi paralleli
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Da più di due secoli i destini di Stati Uniti e Vaticano si incrociano, contribuendo a plasmare la storia, la cultura e l'identità dell'intero Occidente. Da tempo lo Stato più potente del mondo e quello più piccolo e disarmato sono percepiti come le uniche due realtà dell'Ovest ad avere una proiezione planetaria, grazie rispettivamente alla forza economico-militare e all'influenza morale: due «imperi paralleli». Per analizzare le loro relazioni, Massimo Franco ha attinto a documenti esclusivi degli Archivi segreti vaticani, a fonti ufficiali statunitensi e a una conoscenza approfondita dei fatti internazionali, raccontando per la prima volta i legami tra due realtà così diverse, eppure legate da mille fili politici e religiosi.Imperi paralleli ricostruisce dinamiche geopolitiche ed episodi da sempre trascurati dalla storiografia ufficiale: l'ostilità anticattolica dei protestanti americani dell'Ottocento; la presa di posizione filo-sudista di Pio IX durante la guerra di secessione americana; il disgelo nel corso dei conflitti mondiali e l'elezione di John Fitzgerald Kennedy, primo presidente cattolico degli Usa; la partnership anticomunista fra Washington e Giovanni Paolo II durante la Guerra fredda, che portò finalmente all'instaurazione di stabili relazioni diplomatiche nel 1984. Un'alleanza che è proseguita saldamente nonostante profonde divergenze, come in occasione dell'accorato impegno vaticano contro la guerra in Iraq o dello scandalo dei preti pedofili.Già tradotto e diffuso in tutto il mondo anglosassone, in questa edizione aggiornata Imperi paralleli si estende fino alla contesa fra Donald Trump e Hillary Clinton per la presidenza: lo scontro di due personalità e due visioni globali agli antipodi, ma entrambe genuinamente americane, ed entrambe così marcate e divisive da sfidare i valori e gli orientamenti geopolitici del pontificato di Francesco. È proprio il primo papa venuto dalle Americhe a costringerci a misurare in modo meno scontato i rapporti Usa-Vaticano. Ed è proprio la sua figura a fornirci la prospettiva migliore per analizzare 230 anni di intese e tensioni – spirituali e mondane – che hanno rispecchiato il destino comune dell'Occidente; e che, negli ultimi anni, fotografano anche i rischi del suo declino.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788865765388
1. Il cardinale che scorticava gli eretici
L’America nell’Archivio segreto vaticano…
L’editto popolare contro Sua eminenza lo scorticatore era arrivato fino a Roma. «Non è molto ci pervenne dagli Stati Uniti di America un articolo pubblicato in uno di quei giornali intitolato l’Express, in cui leggevamo che i campioni dell’anarchia fugati d’Italia e d’Europa, e colà rincantucciatisi, avevano preteso di dar peso e credenza alla loro calunnia contro il Nunzio Pontificio Mons. G. Bedini, facendo di pubblica ragione un Elenco di 50 nomi d’individui, ch’essi dicevano fatti scorticare, martoriare e fucilare dal Nunzio stesso allorquando governava le 4 Legazioni Pontificie in qualità di Commissario Straordinario; e di essi individui dando oltre i nomi, anche l’età e la data della loro condanna, si avvisavano con tal corredo di circostanze di far credere a que’ lontani popoli che il Nunzio prefato fu ed è un uomo sanguinario, feroce, vendicativo, per metterlo, se possibil fosse, con tali calunnie nella disistima e nel disprezzo universale, e così veder modo di paralizzarne la missione.»1 La pagina e il lessico ingialliti del «Vero Amico. Supplemento, n. 12», emergono dai faldoni dell’Archivio segreto vaticano come l’eco remota di un’America e di un papato che oggi non esistono più. Ma che allora, alla fine del 1853, rappresentavano una realtà segnata da un’incomprensione e una lontananza culturali vicine all’abisso.
Era il fossato scavato da uno Stato Pontificio traumatizzato dal ricordo fresco della Repubblica romana e della fuga di Pio ix a Gaeta, per il quale la libertà era un capriccio eversivo delle masse, un pericolo da scongiurare e allontanare a ogni costo; e l’America un Paese esotico ed estraneo, abitato da «que’ lontani popoli» che spesso dovevano apparire eretici senzadio, e che guardavano a Roma e al Vaticano come a una realtà aliena. Visto dall’America, il pontefice era un nemico insidioso del quale si temevano lo strapotere e la subdola segretezza: incarnazioni di un passato cattivo da esorcizzare e da tenere a distanza, perché non esportasse i veleni e i peccati del Vecchio continente anche in quel paradiso nascente dall’altra parte dell’Atlantico. Dalle carte conservate per quasi due secoli nei sotterranei della memoria papalina, sperduti fra gli ottanta chilometri lineari di documenti, filtrano gli umori di una guerra di religione non contro gli «infedeli» musulmani, ma contro i «protestantici» – in Vaticano allora venivano chiamati così – che sulla sponda opposta ed estrema dell’Occidente sembravano perpetuare la guerra di religione contro l’Europa cattolica. Sobillavano cittadini rifugiatisi nel Nuovo mondo per sfuggire a persecuzioni religiose e sanguinose faide combattute in nome della Chiesa e della Riforma protestante.
Quella visita negli Stati Uniti di monsignor Gaetano Bedini, «Arcivescovo di Tebe e Nunzio apostolico presso la Corte imperiale di Pedro ii del Brasile a Rio de Janeiro», diventa così una sorta di metafora, finora quasi rimossa, delle incomprensioni fra i due Occidenti di allora. Con il prelato spedito dal pontefice Pio ix ad aprire una missione diplomatica a Washington, smarrito e impaurito; e la Casa Bianca e l’opinione pubblica americana, ma anche alcuni vescovi locali, prima incuriositi e poi ostili a quello che doveva apparire un attentato alla separazione costituzionale fra Chiesa e Stato; e un tentativo di scardinare il precario equilibrio religioso che gli Stati Uniti custodivano gelosamente, come premessa per amalgamare la loro giovane società di immigrati. Leggere ed esaminare i fogli, i ritagli, i rapporti dell’epoca, conservati nell’Archivio segreto vaticano, significa immergersi nel clima culturale di quegli anni; e misurare i rapporti fra Santa Sede e Stati Uniti con la doppia ottica ecclesiastica e americana. Basta scorrere le lettere scritte dai gesuiti di seminari sperduti nel Midwest, per lo più in latino e non in inglese, lingua quasi estranea a molti dei primi sacerdoti cattolici. Oppure respirare l’odio e la violenza antipapista che filtra dalla prosa infiammata dei reduci della Repubblica romana, repressa nel sangue dagli austriaci alleati del pontefice, o dai giornali degli immigrati luterani di lingua tedesca, rifugiatisi negli Stati Uniti.
Il Rapporto Bedini
La testimonianza più impressionante è proprio quella del «cardinale scorticatore». Negli «Spogli di Cardinali e Officiali di Curia» della segreteria di Stato, in un faldone di cartone celeste chiuso da un nastro di cotone annodato, è custodito il resoconto inedito di quel viaggio da incubo: un documento apparentemente ineccepibile e asettico, come si richiede a un rapporto diplomatico. Eppure, da ogni pagina filtrano lo spavento e lo smarrimento di una persona che si trovava di fronte una realtà imprevista, aliena, e incomprensibile per le sue categorie culturali. In un grosso quaderno con la copertina maculata come il marmo, per pagine e pagine non numerate, scritte con inchiostro di china nero e una calligrafia da amanuense che occupa solo la parte destra dei fogli, come un tema di liceo, Bedini raccontava alla Curia vaticana l’America di metà Ottocento come gli si presentò: ricca e povera, popolata da protestanti borghesi, distinti e stimati, e da cattolici proletari, sporchi e maleodoranti; e agitata da passioni religiose antipapiste di cui non sospettava l’esistenza.
Era evidente che osservava quel mondo, ma non lo capiva. Riferiva le contestazioni, cercava di minimizzarle ma si intuiva che ne era sconvolto. «La mia missione trovò solo un’accanita persecuzione da parte di rivoluzionari rifugiati d’Europa, e da un Apostata che li capitanava e li accendeva. Scampata sempre da ogni insidia, ed opponendo silenzio al calunniare arrabbiato, la persona del Nunzio era divenuta anche più cara ai Cattolici» scriveva Bedini citandosi in terza persona. Parlava di una «Religione Cattolica» che aveva fatto «mirabili progressi». Spiegava: «Son ventiquattro milioni in circa gli abitanti dell’Unione, più di due milioni sono i cattolici, e dei ventidue milioni che rimangono ben diciassette si attribuiscono a quelli che non hanno veruna Religione […] per cui solo cinque milioni di veri dissidenti stanno a fronte dei due milioni di Cattolici […]. I meno temibili perché meno avversi sono forse i diciassette milioni di indifferenti o di quasi pagani: essi non sposano con tanto accanimento i pregiudizi protestantici contro il Cattolicesimo» riferiva Bedini ai superiori.
Forse per compiacerli, dava per spacciata «la dottrina protestantica ridotta alla più decisa nullità… Da quelli stessi che la professano comincia ad essere per tale riconosciuta». E, da figlio di un Vaticano reazionario, spaventato dai moti di piazza di quegli anni, dalla spinta prepotente e caotica alla libertà e alla democrazia che si affacciava in Europa, minacciando le autorità costituite, raccontava di un «Senatore distinto e protestante» terrorizzato dal modo in cui avanzava la libertà anche in America, e le contrapponeva «la Religione Cattolica come fondamento di vera Autorità, indispensabile per qualunque Governo». Proiettava le proprie paure di uomo di Chiesa su quel senatore, per descrivere un Paese che ai suoi occhi era alle porte del caos, dell’anarchia. Bedini aveva paura degli Stati Uniti e degli americani, per i quali la democrazia, «il voto, la simpatia, anzi, il capriccio popolare è tutto: per sentirne il benefizio o nelle elezioni, o nella pubblica stampa se occorre, sacrificano subito ogni loro convinzione la più intima e la più coscienziosa. Questa Maestà di strada impone ad essi assai più che quella di un Trono il più antico, il più potente e anche il più dispotico. A questa conclusione si arriva in un Paese di tanta libertà».
«Capriccio popolare», «Maestà di strada». Il linguaggio era quello di un onesto esponente di una classe dirigente di retroguardia, messa in apprensione dalla novità del suffragio popolare; abituata a una concezione imperiale e autoritaria del potere. Nel Vecchio continente, a quel tempo la Chiesa si identificava con le élite e con le monarchie. Nell’«Unione» americana, invece, il cattolicesimo era «professato dagli irlandesi, che son tutti destinati agli officii più laboriosi ed abietti per la povera condizione che lì li trapianta, e di cui lungamente conservano le tracce nel più meschino e fors’anche ributtante aspetto. Si forma del Cattolicesimo l’idea come della Religione dei poveri». C’era una punta di disprezzo e fastidio, nell’analisi del nunzio presso l’imperatore del Brasile. Si avvertiva una malcelata invidia verso la distinzione e la ricchezza dei «protestantici» che invece tendevano a monopolizzare gli uffici pubblici e le cariche non solo più remunerative, ma più prestigiose. C’era poco da fare: «Il Cattolicismo» annotava Bedini nel rapporto custodito nell’Archivio segreto vaticano «non è popolare, nel senso che non alletta il genio o le passioni del popolo, e in quella Repubblica tutto dipende dalle elezioni popolari, le quali sono alla fine l’espressione di una moltitudine informe diretta dai più destri, dai più attivi, spesso anche dai più tristi, e mai e poi mai dai più buoni».
«Uccidete quel prete macellaio!»
Era questo, il bagaglio di solidi pregiudizi con il quale l’inviato papale aveva messo piede in terra americana il 30 giugno 1853, arrivando a New York in nave insieme con monsignor Ernest Cologneri, diretto alla legazione apostolica messicana; e al proprio segretario John Virtue, un sacerdote inglese.2 La sua visita, all’inizio, passò praticamente inosservata. Le lettere di accredito che il Vaticano aveva spedito a Washington per procurargli un’udienza col presidente Franklin Pierce, democratico, e il segretario di Stato William L. Marcy, l’avevano preceduto senza provocare alcuna particolare reazione. Ma dietro l’indifferenza, stava per montare una contestazione violenta, insistente, che avrebbe accompagnato Bedini quasi in ogni tappa dei suoi tre mesi di viaggio, trasformandolo in una sorta di «via crucis». L’ex cappellano dei volontari pontifici, Alessandro Gavazzi, un barnabita riparato in Usa tre mesi prima del nunzio, fu il motore e il regista di una protesta che culminò con un tentativo di omicidio, con un pugnale pronto a uccidere Bedini: «l’Apostata» citato nel rapporto era lui. Gavazzi saltava da una città all’altra per aizzare l’odio dei protestanti contro il diplomatico vaticano; per raccontare i crimini di cui, assicurava, quel cardinale si era macchiato in Italia.
Il diplomatico pontificio si presentava con una biografia tagliata su misura per tirarsi addosso l’odio antipapista. Aveva vissuto le vicende della Repubblica romana del 1849, che aveva dichiarato decaduto il potere temporale del papa; e seguito nella fuga a Gaeta Pio ix, come lui di Senigallia. Il Dizionario Biografico degli Italiani spiega che «non nascose le sue tendenze reazionarie e la sua opinione sulla necessità di ristabilire l’autorità del papa». Fu a lui che Pio ix affidò la missione segreta di convincere i reparti svizzeri a lasciare Bologna e unirsi alle truppe pontificie. La missione fallì, ma poco dopo Bedini entrò nella città al seguito delle truppe austriache. Si illuse di restaurare il potere della Santa Sede; in realtà, era alla mercé degli austriaci. E quando fu arrestato e ucciso il barnabita Ugo Bassi, «il cappellano di Giuseppe Garibaldi», non volle o non riuscì a impedirne la fucilazione. Contava «come uno stivale», disse di lui in quegli anni il politico della destra liberale Marco Minghetti con una punta di disprezzo. Ma quell’episodio gli si sarebbe ritorto contro nel suo viaggio statunitense: era una macchia che i rifugiati italiani, a cominciare dall’ex barnabita Gavazzi, avrebbero usato per screditarlo e minacciarlo.
Bedini visitò Washington, Baltimora, una comunità di indiani pellirossa, e Philadelphia, dove qualche anno prima, nel 1844, erano state bruciate dai protestanti alcune chiese cattoliche: il rogo aveva ucciso diverse persone. Ma quando arrivò in nave a Detroit, il quotidiano Detroit Tribunal cominciò a criticare quel viaggio fornito gratis a un esponente del Vaticano senza status diplomatico negli Usa: non ce n’era ragione, insorse il giornale. Il comandante del vascello Michigan, il capitano Bigelow, fu biasimato pesantemente. Agli occhi degli amici del cardinale non c’era niente di male a portare in giro l’alto prelato e il suo seguito a spese del governo degli Stati Uniti. Ma a quelli dell’opinione pubblica, soprattutto protestante, c’era molto da ridire. Non solo. Pochi giorni dopo che Bedini ebbe lasciato Detroit, riaffiorò la storia dell’esecuzione di Ugo Bassi. E quando prese il treno per il Nord, il diplomatico si trovò nello stesso vagone con Gavazzi e alcuni suoi amici. Non successe nulla, in treno. Ma il suo contestatore aveva già provveduto a spargere voci velenose sul «Bloody Butcher of Bologna», «il Macellaio sanguinario di Bologna», dipinto come l’uomo spedito lì per terremotare le fondamenta della libertà americana. Il New York Observer del 25 agosto 1953 scrisse che era venuto «per trovare il modo migliore per incatenarci come schiavi al trono del tiranno più superbo che la terra conosca».3
C’erano anche giornali che prendevano le difese del nunzio in Brasile. Ma prevaleva la propaganda di Gavazzi, che saltellava di città in città e, dove non arrivava fisicamente, usava quella diavoleria moderna del telegrafo per inviare dispacci e messaggi semicospiratori. Il Flugblätter della comunità tedesca del Milwaukee e la Milwaukee Sentinel dipingevano Bedini come un assassino e un antirepubblicano. Fu anche per questo che il diplomatico raggiunse il Canada: un viaggio previsto, ma reso più opportuno dalla bufera che montava. Anche se lì pure l’antipapismo non scherzava. Il libro The Awful Disclosures of Maria Monk («Le terribili rivelazioni di Maria Monk»), pubblicato nel gennaio del 1836, raccontava la storia autobiografica e drammatica di una novizia nel convento cattolico Hôtel Dieu di Montréal; le sue sofferenze, le angherie subite: un vero atto d’accusa contro le brutture che avvenivano dietro le mura delle strutture «papiste» canadesi. Non a caso, l’uscita del libro, diventato subito un bestseller dell’epoca negli Stati Uniti, era stata anticipata da mesi dall’American Protestant Vindicator.
Ma per Bedini il Canada del 1853 era più sicuro di qualsiasi città yankee, almeno in quelle settimane infuocate. Fu lì che il diplomatico seppe della lettera di un sacerdote del New Jersey, secondo il quale alcuni rivoluzionari italiani cospiravano per assassinarlo; e che uno di loro era stato ucciso per avere rivelato la congiura. Un certo «Signor Sassi» aveva avvertito l’arcivescovo John Hughes di New York che uomini armati di stiletti aspettavano che Bedini tornasse, appostati vicino alla residenza episcopale. Una settimana dopo, Sassi era stato accoltellato ed era morto in ospedale per le ferite che aveva riportato. Il clima s’era fatto pesantissimo. Nel rapporto custodito nell’Archivio segreto vaticano, Bedini racconta quei giorni drammatici e la tentazione di fuggire dagli Stati Uniti. Stava tornando dal Canada dalla parte di Boston, «quando accadde l’assassinio di quel giovine italiano che mi aveva rivelata la congiura fatta dai rivoluzionari italiani di Nuova York contro la mia vita, alla quale però io fino allora non avevo voluto prestar fede: e mise in più tremenda credenza il mio pericolo. Non poteva quindi non essere in forse il mio ritorno negli Stati Uniti, e nel supposto che io realmente mi fossi determinato a lasciare subito l’America, ricevetti lettera di Monsignore di Nuova York», racconta Bedini. Era un invito a non abbandonare il Paese, a confidare «nella ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Prefazione
  4. Capitolo 1
  5. Capitolo 2
  6. Capitolo 3
  7. Capitolo 4
  8. Capitolo 5
  9. Capitolo 6
  10. Capitolo 7
  11. Capitolo 8
  12. Capitolo 9
  13. Capitolo 10
  14. Capitolo 11
  15. Capitolo 12
  16. Capitolo 13
  17. Capitolo 14
  18. Capitolo 15
  19. Capitolo 16
  20. Capitolo 17
  21. Capitolo 18
  22. Capitolo 19
  23. Capitolo 20
  24. Ringraziamenti
  25. Bibliografia