Dono
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Dono

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Informazioni sul libro

I tempi che viviamo sono dominati dal mercato e dalle sue narrazioni: perfino nel linguaggio quotidiano è difficile sfuggire alle metafore economiche. Tuttavia la crisi che sperimentiamo rimette in discussione l'efficacia di questa egemonia culturale. Rifletteremo sul fatto che, nonostante uno scenario brutale, molte persone continuano a donare. Il dono è però solo in apparenza qualcosa di semplice: che cosa è dono? Qual è il suo rapporto con la giustizia? Chi può fare un dono? Chi può riceverlo?

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788878852020

Perché dono?

Si dice che la speranza sia l’ultima a morire.
Ho scelto la parola dono, perché ritengo che se c’è una malattia che sta contagiando il nostro mondo e si sta, poco a poco, propagando nei nostri cuori, questa sia proprio la morte della speranza. La crisi delle grandi ideologie pare essersi accompagnata, infatti, ad altre ugualmente serie: quella politica, quella economica; e, soprattutto, la crisi del senso etico e, più ampiamente, dell’umano.
Tutto questo concorre troppo spesso a dare la sensazione che l’unica cosa che ci è concessa sia di vivere alla giornata: senza più la possibilità di fare progetti a lunga scadenza, senza poter sognare un altro mondo, senza più guardare ai giovani come a una risorsa fresca e ricca, anziché considerarli un problema da affrontare o, peggio, una minaccia da cui difendersi.
Eppure la speranza non può morire, finché ci sono donne e uomini che donano qualcosa di sé. Perché, se c’è qualcuno che dona, ci sono dei legami e delle relazioni. E, come aveva intuito Gabriel Marcel, la speranza sboccia solo laddove si è coinvolti in qualche legame e in qualche amore.
Provare a riflettere sul fatto che ci sono molti predisposti a donare e su cosa sia profondamente in gioco in questa azione vuol dire affermare che, malgrado le più fosche previsioni, c’è ancora spazio per la speranza. Si può, cioè, confidare che un altro mondo è possibile; e che non deve necessariamente prevalere la parte più tenebrosa e distruttiva della nostra umanità, ma può invece fiorire quella più lucente e costruttiva.
Il dono, però, è solo all’apparenza qualcosa di semplice. Per questo nelle pagine che seguono si cercherà di comprendere di cosa si tratti, quale sia il suo significato per il nostro essere uomini, quando sia opportuno e quando invece possa risultare addirittura inopportuno, quali domande susciti il fatto che l’uomo doni. Lo si farà, aprendosi un piccolo sentiero tra le molte e ricche pagine che sociologi, filosofi e teologi hanno già scritto sul dono. E non a caso. Perché chiedersi che cosa sia il dono vuol dire continuare a domandarsi che cosa sia l’uomo. E forse – perché no – se mai ci sia e chi sia Dio.

Senza dono, che Natale è?

È una fredda mattina di Natale. Da più di un mese Eleonora attende con impazienza quel giorno.
Eleonora è una bambina alta, energica e tenace. Potremmo anche tranquillamente darle 11 o 12 anni; ma nella realtà ne ha compiuti solo 8. Per questo coltiva pensieri e desideri di una bimba della sua età. Da tempo con l’aiuto di papà e mamma ha scritto una bella lettera a Babbo Natale, domandandogli in dono la Wii. L’ha richiusa in una busta; vi ha scritto in bella calligrafia l’indirizzo e, per mano della mamma, l’ha anche spedita. Da lì in poi è cominciato il conto alla rovescia. Al desiderio che finisca la scuola e finalmente inizino le vacanze natalizie si è così accompagnata l’attesa che arrivi presto il 25 dicembre, quando – ne è certa – sotto l’albero di Natale approntato con la sorella più grande nella loro cameretta, si materializzerà il dono tanto atteso. Negli anni passati è sempre successo così e non c’è motivo di temere che quest’anno le cose vadano in modo diverso.
Papà e mamma, del resto, le hanno fatto intuire che Babbo Natale non dovrebbe dimenticarsi di lei. Le hanno detto che ai bambini buoni, ubbidienti, rispettosi, impegnati… in genere porta i regali desiderati. È a quelli “birichini” e svogliati che o non porta nulla o porta del carbone o qualcosa di simile. Ed Eleonora ha fatto il suo piccolo “esame di coscienza” per convincersi che – certo! – talvolta è un po’ esuberante e fa qualche capriccio, ma nella sostanza è una bimba brava. I nonni, peraltro, così come le maestre e le mamme delle sue compagne di scuola non fanno che confermarla spesso in questa convinzione.
Per questo in quella mattina di Natale si ritrova sveglia prima del solito. E come una saetta si fionda ai piedi dell’albero addobbato. Ci sono diversi pacchetti luccicanti. Francesca, sua sorella, comincia a scartare con entusiasmo e gioia quelli indirizzati a lei. Eleonora inizia invece a impallidire sotto lo sguardo ammiccante e tenero di papà e mamma. C’è qualche pacchettino che porta il suo nome. Ma è fin troppo evidente che sono poco voluminosi per contenere la Wii.
Rivolge ancora uno sguardo ai piedi dell’albero per vedere se per caso si è sbagliata e non ha guardato con attenzione. Ma il suo pallore si intensifica e qualche lacrima a stento trattenuta comincia a rigare il suo volto.
È a questo punto che mamma e papà la prendono per mano e la portano di fronte alla porta della scala interna. Gliela aprono e la invitano a scoprire cosa c’è oltre la soglia. Lì c’è un pacco gigante. E appena lo scorge Eleonora è come vivificata, si accende di gioia incontenibile, si catapulta a strappare letteralmente la carta che attornia il pacco e, quando finalmente vede che si tratta del dono atteso, lo porta alla sorella per farlo vedere e contemplare anche a lei.
Papà e mamma si godono la scena; e per non dirle la verità, ovvero che quel pacco gigantesco non ci stava insieme a tutti gli altri sotto l’albero, dicono a Eleonora che sbadatamente la sera prima hanno chiuso quella porta. Probabilmente nella notte Babbo Natale era un po’ di fretta: non avendo il tempo di forzare la porta ha lasciato il pacco dove ha potuto.
È una vicenda come molte altre analoghe, evidentemente. Si può leggere con sufficienza, come se si trattasse di una “faccenda da bambini”, così distante dal presunto e (troppo spesso anche) presuntuoso mondo “reale” degli adulti; oppure ci si può interrogare con estrema serietà. Perché a Eleonora in assenza di quel dono tanto atteso Natale sarebbe apparso come una “promessa tradita”? Perché la mancanza di un dono può indurre tristezza, sfiducia, delusione, specie in quel giorno? Del resto, come nota con finezza Godbout, nella nostra società moderna i più poveri o coloro che sono più soli e non hanno, dunque, la possibilità di ricevere e fare doni patiscono terribilmente il momento delle feste natalizie. Essi «aspettano con impazienza il ritorno degli scambi freddi, neutri, questo grande regalo della società mercantile, dove si paga tutto e dove non si deve niente a nessuno, dove si può essere solo senza essere (troppo) infelice, senza sentire la mancanza di rapporti. È meno facile dimenticare la solitudine tra il 24 dicembre e il 1° gennaio».
Ma perché, all’inverso, il dono porterebbe gioia, serenità, generosità, facendo sentire meno soli? Perché – ancora – è comune che vi sia un giorno convenzionale, come Natale, in cui le persone che si amano o si conoscono si scambiano dei doni, in un clima di festa? Perché insomma l’offerta o lo scambio di un dono si associano a una certa ritualità? È solo l’ultima trovata del consumismo dilagante o è, al contrario, una possibile “spina nella carne” in una società spesso materialista e individualista?
È evidente che le questioni, anche solo partendo da un episodio come quello evocato, si potrebbero moltiplicare a dismisura. Può essere sufficiente registrare che in genere viene spontaneo associare la parola “dono” a una realtà che incanta, eleva, interrompe il tempo ordinario, fa piacere ed è facilmente associabile al benessere, quando non lo si riduca ovviamente alla ricchezza e al progresso economico. Allo stesso modo appare abbastanza immediato immaginare quanto una vita assolutamente priva di doni, di qualunque genere, potrebbe risultare fredda e insopportabile.

Per imparare l’arte di vivere

Ma torniamo a Babbo Natale. La sua presenza così ingombrante nella società moderna suggerisce tutta una serie di questioni. Sono domande che uno studioso come Godbout – una delle guide che ci sta accompagnando nel mondo dei doni – non esita a porsi. «Perché gli adulti giudicano tanto necessario che i bambini credano a Babbo Natale, – si chiede, – al punto che molti bambini fanno finta di crederci per far loro piacere? Perché questo essere che ha una sola funzione, donare, e una esistenza effimera? Perché questo dispositivo grazie al quale i bambini possono credere che i regali non vengano dai genitori?». E ancora: «Perché il dono diventa anonimo, o quasi, e in ogni caso proviene da uno sconosciuto, all’interno dei legami sociali primari più intensi?».
Per rispondere in maniera esaustiva a tutti questi interrogativi sarebbe necessario approfondire i motivi che hanno indotto alla creazione di un personaggio così pittoresco. La cosa, per quanto avvincente, ci porterebbe tuttavia lontano dall’obiettivo di vagliare cosa sia “in gioco” nel dono e nell’atto di donare o ricevere. A tale scopo può invece risultare proficuo notare che si tratta di un Babbo, ovvero di un padre. Meglio: è un padre che assomiglia a un nonno. Non a caso, le fattezze che assume ne evocano la figura: è anziano, ha la barba bianca e prende i bambini sulle ginocchia.
Si può dire con più puntualità che Babbo Natale rappresenta un antenato. L’esistenza avvolta nel “mistero” e la sua provenienza remota, il fatto che percorra lunghi tratti di strada per giungere e che la sua presenza – quando si dà – sia per pochissimo tempo, prima di scomparire dalla vita normale dei bambini, lo attestano in modo chiaro. È un simbolo attraverso cui si ricompone il legame con gli avi, con coloro cioè che sono stati e si potrebbe essere indotti a ritenere solo dei cadaveri e che invece si fanno presenti. Il “presente” del dono stabilisce cioè un legame tra generazioni e, insieme, induce a riconoscere e valorizzare tale legame. Sembra un modo per dire che si è in debito, non solo nei confronti dei propri genitori, ma anche rispetto ai loro stessi genitori; e, via via, nei riguardi di quanti ci hanno preceduto e con i quali si è, proprio per questo, congiunti in qualche modo. Così come rappresenta un modo per apprendere che si riceve da altri che non sono solo i genitori e neppure coloro che i bambini vedono nella loro vita ordinaria. Babbo Natale infatti dilata nel tempo il contesto chiuso della famiglia moderna, ristabilendo un legame con il passato; e allarga al contempo lo spazio perché unisce i bambini al resto dell’universo, facendoli uscire dal loro piccolo guscio.
La figura di Babbo Natale è emblematica non solo per l’importanza che ha assunto, ma perché evoca l’accettazione da parte di molte culture, anche diverse tra loro, di quei riti che, in modo analogo, comportano l’offerta o lo scambio di un dono e hanno come protagonisti i morti e i bambini. Sia nei paesi europei che in quelli extraeuropei si possono osservare diverse festività in cui i morti portano doni ai bambini. Può essere particolarmente significativa, in tal senso, la pratica riportata dalla etnologa e antropologa Giovanna Salvioni e diffusa in Sicilia, particolarmente a Palermo. «Nella notte tra il 1° e il 2 novembre si pensava che i morti uscissero dal loro paese tenebroso e si avviassero alla spicciolata nel centro dei paesi e delle città, – dice Salvioni, – per sottrarre ai migliori pasticceri, giocattolai, sarti ecc., dolci, giocattoli, abiti che avrebbero donato ai bambini appartenenti alla propria parentela».
È soprattutto istruttivo tuttavia sviscerare il motivo per cui siano proprio morti e bambini a essere protagonisti di tali offerte di doni. I morti sono coloro la cui vita si è interrotta. I bambini sono invece viventi; ma la loro vita è appena sorta e tra gli umani sono quanti esprimono maggiormente la fragilità dell’esistenza. Dunque il fatto che molti riti che comportano offerta o scambio di doni li vedano protagonisti indica che attraverso il dono dell’uno all’altro ci si prende cura di una vita che è strutturalmente fragile. Ovvero che senza il dono non sembra esserci possibilità di vita umana.
Non è un caso, in tal senso, che l’offerta in diversi riti di svariate tradizioni sia rappresentata dal cibo. Perché dare da mangiare è donare ciò che permette di vivere; è offrire la vita. Si tratta di qualcosa che, a ben vedere, è alla base non solo dei rit...

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