Le case della musica
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Le case della musica

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Ci sono case abitate da voci, riverberi, note imprigionate nella luce che trafila una finestra o nelle stoffe damascate che ricoprono antiche poltrone e sedie Impero. Non è stata la curiosità voyeuristica del turista a spingere Piero De Martini a entrarvi, né la ricerca musicologica che permette allo studioso di colmare i vuoti di erudizione. Quello compiuto dall'autore di Le case della musica è un pellegrinaggio, un viaggio spirituale nelle dimore che hanno visto nascere e crescere i più importanti compositori, un errare nei territori della fantasia – gli stessi dei sogni –, che spesso nella realtà storica sono coincisi e continuano a coincidere con quelli della musica: luoghi magici, raccolti, segreti, vitali, in cui il genio può comporre l'ineffabile, dire l'inesprimibile, attraverso segni che scardinano l'afasia di un universo impalpabile e arcano, governato da leggi che possiamo percepire solo per brevi istanti, o messaggi che toccano gli strati più reconditi della nostra coscienza. Dalla casa a Eisenach di Bach a quelle di Mozart a Salisburgo e Mendelssohn a Lipsia, dalla Vienna di Schubert e Berg alla Weimar di Liszt, passando per le casette immerse nei boschi di Mahler e le stanze che hanno visto intrecciarsi le vite di Schumann e Brahms: sono queste le «case della musica» visitate da Piero De Martini. Luoghi che nelle loro materiche suppellettili e architetture – muri, camere, cucine, oggetti, libri – conservano ancora tracce della carne e dello spirito dei maestri che le hanno abitate, impronte invisibili di quelle presenze creatrici che costringono la nostra mente ai voli pindarici dell'immaginazione. Tra quelle pareti sopravvissute agli anni, talvolta ai secoli, si dipana la vicenda della musica europea; sotto quella tappezzeria brulica un mondo di emozioni, di nostalgie, di melanconie, di gioie violente e dolori profondi, di collere ataviche e tenerezze disperate che di questi grandi musicisti raccontano le storie più intime, gli stati d'animo più intangibili, che nessun manuale o biografia sarebbe in grado di restituire.

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Johann Sebastian Bach
1685-1750
Bachhaus, Eisenach, Frauenplan 21
La Bachhaus di Eisenach è un museo, il primo al mondo dedicato alla vita e all’opera di Bach. Questa bella dimora del xv secolo è stata a lungo ritenuta la casa natale di Johann Sebastian Bach, fino a quando un documento d’archivio non certificò che il padre Ambrosius versò un’imposta per un’abitazione situata nella vicina Lutherstrasse: è dunque probabile che quella fosse la vera casa, andata distrutta, demolita o forse bruciata. Quella che oggi possiamo visitare ha tutte le caratteristiche per essere un’autentica testimonianza dell’epoca in cui nacque e visse Bach. La casa, destinata alla demolizione, fu acquistata nel 1906 dalla Neue Bachgesellschaft, l’istituzione di Lipsia dedicata a Bach, con l’intento di raccogliere, conservare ed esporre tutto ciò che concerneva il grande musicista e la sua opera. È sorprendente che negli stessi anni in cui la Neue Bachgesellschaft acquistava la casa di Bach per impedirne la demolizione, proprio a Lipsia avveniva uno scempio ben più grande di quello evitato a Eisenach: la demolizione dell’edificio della Thomasschule, la celebre scuola di San Tommaso, dove Bach aveva vissuto e insegnato per ventisette anni, dal 1723 fino al termine della sua vita, per far posto a una più confortevole casa per i preti della parrocchia adiacente.

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L’ingresso nella casa-museo oggi non avviene attraverso la porta a due battenti, sovrastata dalla lapide che nel 1907 la identificava come «casa di Bach», ma attraverso l’ingresso di una recentissima costruzione nata per integrare, con una certa sapienza architettonica, l’antica abitazione e ampliarne gli apparati espositivi con strumenti multimediali. Anche se a noi, inguaribili romantici, fa un po’ storcere il naso sapere che quella non fu proprio la casa di Bach, quando dalla parte nuova accediamo alla casa cinquecentesca ogni disagio scompare: ci viene incontro un’abitazione di fine Seicento, fedelmente restaurata, con tutti gli arredi, gli strumenti musicali e i documenti d’epoca, autentici tesori per chi vuole accostare il genio di Bach alla sua quotidianità di uomo, di studioso e di artista, non solo negli anni dell’infanzia, ma lungo tutto il percorso della sua vita. E quasi a confermare questa intenzione, il primo oggetto che troviamo all’ingresso della parte storica è proprio la porta di accesso all’appartamento di Bach nella Thomasschule, in legno di pino, protetta da due lastre di cristallo. Prima di entrare nella sala degli strumenti, leggiamo il famoso documento fiscale del 1694, notificato al padre di Bach, che vanifica con ogni probabilità l’autenticità della casa. Tanto per chiarire subito le cose al visitatore, prima che questi incominci la visita.
Entriamo. L’inventario della successione, alla morte del compositore, comprendeva diciannove strumenti sui quali si esercitavano i figli e gli allievi della scuola: cinque clavicembali, una spinetta, due violini, un violino piccolo, tre viole, un violoncello piccolo (o viola pomposa), due violoncelli, una viola da gamba e un liuto. Esperto di tutti gli strumenti musicali, fine conoscitore di ogni loro più remoto segreto, Bach non solo suonava perfettamente quelli a tastiera, il violino e la viola, ma si teneva al corrente di ogni loro evoluzione tecnica, mantenendo stretti contatti con i fabbricanti, in particolare quelli d’organo, il suo strumento preferito. La collezione della casa di Bach comprende vari strumenti a corde e a fiato, e in questa sala è possibile ascoltare un clavicembalo (1705) e una spinetta (1765) del celebre Silbermann oltre a due organi da casa rispettivamente del 1722 e del 1750. Una gentile signora ci suona alcuni brevi e facili brani tratti dal Piccolo libro di Anna Magdalena Bach.

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Al piano superiore, nella prima grande stanza, dove sono raccolti insieme gli oggetti e i documenti appartenuti a Bach, ci sono l’Innario di Dresda e la descrizione che Johann Matthias Gesner, rettore della Thomasschule, fece di un concerto di Bach nel 1738 e che ricorda una precedente disputa a proposito della scelta degli inni. Ma fra tutti, l’oggetto più curioso, e in un certo senso miracoloso visto che ci è giunto intatto, è senza dubbio un calice sicuramente appartenuto a Bach: sotto la scritta vivat è inciso il monogramma in cui si rispecchiano simmetricamente le lettere jsb lavorate a bulino. Sull’altro lato c’è la dedica, accessibile solo a chi sappia convertire le note della dizione musicale anglosassone in lettere: una dedica musicale inequivocabilmente indirizzata a Bach. L’occasione per la quale gli fu donato il prezioso calice (sicuramente apprezzato da un grande bevitore di buon vino e birra quale fu il genio di Eisenach) rimane ignota, né sappiamo in che modo sia giunto fino a noi.

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L’altra grande sala del primo piano è quella dove, in vista delle prove, si riunivano (o meglio, si sarebbero riuniti) i «musicisti di città» sotto la guida di Ambrosius Bach. Bach padre aveva l’incarico di far eseguire quotidianamente dal suo complesso, dall’alto della torre del municipio, qualche breve brano e, nei giorni festivi, di accompagnare la messa con l’organo e il Chorus musicus della Lateinschule, la Scuola latina di cui fu sicuramente allievo il piccolo Johann Sebastian; tra i suoi compiti rientrava inoltre la presenza musicale alle elezioni del consiglio comunale e ai funerali. Sotto un grande ritratto di Ambrosius datato 1690, stanno alcune teche con strumenti d’epoca: un violino del 1575, un cornetto, una bombarda, un cromorno, un trombone e un flauto a becco. Nella sala c’è anche un innario di Eisenach del 1609, con i brani suonati dai musicisti di città che il giovane Bach conosceva certamente a memoria. Una registrazione dà l’idea del clima sonoro nel quale si ritrovava immersa la famiglia Bach, quando provavano gli ottoni della banda cittadina – e in un angolo, nel vano di una porta socchiusa, ci sembra quasi di vedere il piccolo Johann che batte il tempo con la mano già esperta: quegli strumenti che suonano tutti assieme lo affascinano, gli provocano un piacere che si direbbe fisico. Il suo viso sempre serio è qui attraversato da una espressione di puro godimento, il papà Ambrosius è proprio un bravo director musicae
Subito dopo aver attraversato una stanza arredata con mobili di fine Seicento, raccolti dall’antiquario di corte di Weimar all’inizio del Novecento oppure appartenuti alla famiglia Bach di Eisenach e collocati nella casa per l’apertura del 1907 – un’alcova, una culla, un tavolo e alcune sedie –, ci troviamo di fronte al luogo forse più interessante ed emozionante dell’intero museo: la stanza di lavoro di Bach, una copia precisa dello studio di composizione a Lipsia, di cui esiste qualche documento grafico nel Bach-Museum e una preziosa fotografia del locale situato al primo piano, svuotato prima della demolizione. Bach componeva, senza l’aiuto di strumento alcuno, su un tavolo munito di candelabro: tracciava il pentagramma con un apposito aggeggio a cinque pennini e scriveva le note con una piuma di corvo, mentre con la sabbia conservata in un cassetto asciugava l’inchiostro. Infine, su un clavicordo (firmato Christoph Dressel, Lipsia, 1680-1690) provava le sue composizioni.

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Una teca posta a protezione di alcuni antichi volumi teologici di vari autori – Martin Lutero, Martin Chemnitz, Heinrich Müller, Philipp Jacob Spener e August Hermann Francke – ci permette di sondare meglio la figura di Bach. Il libro più antico contiene i sermoni trecenteschi del mistico Giovanni Taulero, stampati a Basilea nel 1522. Un altro di Heinrich Bünting (Magdeburgo, 1692) si apre con una straordinaria mappa che raffigura i tre continenti Europa, Asia e Africa, composti come un trifoglio attorno alla città di Gerusalemme. La biblioteca originaria di Bach comprendeva cinquantun titoli di teologia, molti dei quali andati perduti, dal museo esposti in copia identica all’originale: l’unico appartenuto sicuramente a Bach, in quanto contiene note poste a margine di suo pugno, è la Bibbia Calov, oggi conservata presso la biblioteca del seminario di St. Louis nel Missouri. Questa biblioteca teologica ci racconta di un Bach immerso nella Sacra Scrittura per la composizione dei testi delle cantate e delle passioni, di un Bach teologo che a Lipsia combinerà la sua natura di umanista con quella del musicista scienziato.
Eisenach, Ohrdruf, Lüneburg
All’epoca della nascita di Bach (1685), Ambrosius era direttore musicale della città su incarico del consiglio comunale: come abbiamo visto, nella sua casa si svolgevano le prove del complesso musicale di cui era titolare. Fu lui a iniziare Johann Sebastian alla pratica musicale, insegnandogli a suonare strumenti a fiato e a corda, violini e viole: Bach non dimenticherà mai quell’apprendistato. Le mani sulla tastiera gliele mise invece il cugino del padre, Johann Christoph, organista della vicina Georgenkirche. Ambrosius iscrisse il figlio alla Lateinschule, già frequentata da un altro celebre concittadino di quasi due secoli prima, Martin Lutero. Di Johann Sebastian si sa che imparava con eccellenza di risultati, pur non essendo un campione di diligenza scolastica. A nove anni perse la madre Maria Elisabeth, l’anno successivo il padre. Johann Sebastian e Johann Jacob, i due figli più piccoli, seguirono il fratello maggiore, Johann Christoph (nell’albero genealogico dei Bach si contano otto Johann Christoph, e i Bach musicisti professionisti furono circa cento) a Ohrdruf, dove frequentarono il liceo della città. I registri scolastici certificano le strabilianti capacità di Johann Sebastian, mentre Johann Jacob lasciò il liceo dopo poco tempo per fare ritorno a Eisenach, e intraprese un lungo viaggio prima in Svezia e poi in Turchia: nel 1704 o 1707 Johann Sebastian comporrà in suo onore il celebre e curioso Capriccio sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo bwv 992, una sorta di musica a programma, dove protagonisti sono il «corno del postiglione» e il «canto della gallina cucca». Fu il fratello maggiore Johann Christoph a fargli conoscere brani di importanti compositori per organo (Froberger, Buxtehude, Böhm, Pachelbel) che il ragazzino ricopiò e studiò.

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La sua fretta di bruciare i tempi fu evidente sin da subito. Nel 1700, a quindici anni, Bach dovette lasciare il liceo. Il suo primo apprendistato era terminato. La tappa successiva fu Lüneburg, una città del Nord, vicino ad Amburgo, ben lontana dalla natale Turingia. Qui frequentò una scuola di musica molto speciale, la Michaelisschule, su suggerimento del Kantor di Ohrdruf, e vi rimase due anni. Dotato di una voce straordinaria, entrò nel coro della chiesa, dove ebbe modo di conoscere e frequentare i lavori di Monteverdi, Carissimi, Schütz, Schelle. Sono questi per Bach gli anni di un insaziabile furore musicale; ma, d’altronde, la sete di conoscenza non lo abbandonò mai, fino alla fine della sua vita. Studiare, ricopiare e trascrivere furono sempre il suo metodo da autodidatta per impadronirsi dei segreti della musica. Intravedendo una futura professione come collaudatore, si dedicò anche ad approfondire la conoscenza della fabbricazione e manutenzione dell’organo, e naturalmente a sviluppare il suo talento di strumentista. Da qui, possiamo ben dire, nacque un uomo colto, molto preparato, e uno strumentista col quale nessuno si sarebbe mai potuto misurare.
A Lüneburg Bach fu attratto dalla ricca attività musicale della vicina Amburgo. Sembra che abbia affrontato di frequente il viaggio a piedi per ascoltare gli strumentisti del grande organaro Arp Schnitger: a detta dei contemporanei di Bach, pare che quello della Nikolaikirche (chiesa di San Nicola) fosse straordinario. Ma il nostro giovane musicista conosceva anche l’organo della Jacobikirche (chiesa di San Giacomo) – per la quale più tardi presentò la propria candidatura per la carica di organista – e quello della Katharinenkirche (chiesa di Santa Caterina), celebre per i suoi quattro manuali e il pedale a trentadue piedi (e dunque un registro dal suono pieno e molto profondo); di quest’ultimo era titolare il rinomato Johann Adam Reincken. Per rendergli omaggio Bach ne arrangiò per tastiera alcuni movimenti di sonate per strumenti a corda. Qualche musicologo sostiene che anche la famosissima Fantasia e fuga in Sol minore per organo bwv 542 sia un omaggio a quel maestro.
È sempre più evidente che l’organo fosse già per l’adolescente Bach, profondamente attratto dalla tradizione nordica, al centro delle sue predilezioni strumentali. Le sue prime composizioni organistiche ne risentono, scritte come sono nello «stile fantastico» tipico di quella scuola che trovò in Sweelinck uno dei suoi più eminenti rappresentanti: passaggi di virtuosismo improvvisato intercalati da fughe e procedimenti modulanti. Ma già avevano qualcosa in più, un’immaginazione vertiginosa che gli verrà rinfacciata come troppo straniante per il raccoglimento dei fedeli (e infat...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Introduzione
  4. Bach
  5. Mozart
  6. Schubert
  7. Mendelssohn
  8. Schumann
  9. Liszt
  10. Brahms
  11. Mahler
  12. Berg