Il Papa buono
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8 ottobre 1958. A Roma si elegge il papa che succederà a Pio XII. Si chiama Angelo Giuseppe Roncalli. Giovanni XXIII. Quando riceve l'investitura dal conclave, ha già 78 anni. Sarà un perfetto papa di transizione, con un pontificato breve e tranquillo come la sua indole. Roncalli, però, rovescia tutte le previsioni. Dietro il carattere mite nasconde fermezza e lucidità rare: di lì a poco si farà promotore di un Concilio ecumenico che cambierà per sempre la Chiesa e il mondo. In «Il Papa buono», Greg Tobin racconta la storia straordinaria di un uomo semplice, nato in una famiglia contadina di Sotto il Monte, nel bergamasco, e un giorno asceso al soglio di Pietro. Roncalli entra in seminario a undici anni, per poi completare gli studi a Roma, dove nel 1904 è ordinato sacerdote. L'anno successivo, l'incontro chiave con il vescovo di Bergamo Giovanni Radini Tedeschi, che per Roncalli sarà guida e modello fi no alla morte. Dopo la Grande guerra, durante la quale è tenente cappellano nell'ospedale militare di Bergamo – esperienza che lo segnerà profondamente, non solo come uomo di Chiesa –, Roncalli è inviato all'estero come nunzio apostolico, prima in Bulgaria, poi a Istanbul, in Grecia e a Parigi, e ovunque si distinguerà per la vicinanza e il sostegno materiale agli ebrei perseguitati dal nazismo. Da papa, il suo genio si manifesta nell'introduzione dell'idea di «aggiornamento», quando per primo comprende l'urgenza di far entrare «aria fresca» nelle stanze vaticane. Tobin descrive le tappe principali del pontificato e le ragioni per cui Giovanni XXIII è considerato un rifondatore della Chiesa. L'attenzione ai problemi della gente comune e dell'infanzia in particolare. L'eloquio semplice e immediato dei discorsi in piazza San Pietro, come il celebre «discorso della luna». La posizione diplomatica di equilibrio durante la Guerra fredda e la corsa all'armamento nucleare. Il testamento dell'enciclica «Pacem in terris», con l'invito a un ecumenismo vero, in un mondo «senza blocchi». Infine, il grande lascito del suo papato: il Concilio. Suddiviso in quattro sessioni per più di quattro anni di durata, il Vaticano II («una nuova Pentecoste» secondo Giovanni) demolì il muro secolare tra le gerarchie ecclesiastiche e il mondo laico e diede nuova vita alla missione pastorale della Chiesa, restituendole il ruolo di strumento universale di speranza, giustizia e compassione per i fedeli di ogni credo. Greg Tobin, da un'inedita prospettiva internazionale, racconta con una prosa appassionata e brillante come Giovanni XXIII è diventato un'icona del Novecento. Indimenticabile per l'umiltà e la bontà d'animo, popolare come pochi altri pontefici, decisivo per l'eredità spirituale e il contributo al rinnovamento del cattolicesimo.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788865763230

PRIMA PARTE

Prete e protettore

1. Pastor et nauta

Gli altri otto papi moderni – Leone XIII (1878-1903), san Pio X (1903-14), Benedetto XV (1914-22), Pio XI (1922-39), Pio XII (1939-58), Paolo VI (1963-78), Giovanni Paolo II (1978-2005) e Benedetto XVI (2005-2013) – esercitarono la loro specifica influenza sulla Chiesa che avevano ereditato ai loro tempi. (Giovanni Paolo I fu papa solo per trentatré giorni nel 1978.) Tuttavia, le loro preoccupazioni erano rivolte prevalentemente all’interno della Chiesa, che era stata schiaffeggiata, percossa e spaccata durante diciannove secoli. Tanti dei loro predecessori nel corso del tempo avevano eretto mura difensive e inviato eserciti a conquistare invece di aprire le porte e convincere le anime a rispondere al richiamo del dolce Cristo. Questi papi moderni, in effetti, dovettero affrontare gli innumerevoli pericoli che minacciavano la fede senza disporre di un potere temporale e con un’autorità spirituale ridotta, ma tentarono coraggiosamente (non sempre con successo) di riconquistare il terreno morale su cui stavano ben saldi i successori di san Pietro prima di loro.
Papa Giovanni XXIII salì al trono in un mondo sopravvissuto al nazismo e all’Olocausto – sia pure a stento –, e prima ancora a una guerra mondiale devastante. Oltre al fascismo e al nazismo, dovette affrontare il comunismo e la Guerra fredda, la corsa alle armi atomiche e la conflittualità sociale in molti angoli della terra. La scienza e la tecnologia avanzavano a grandi balzi in Occidente e la popolazione del pianeta stava esplodendo, specie nelle nazioni sottosviluppate o «Terzo mondo». Era perfettamente in sintonia con il presente e preparato ad affrontarlo. Durante i suoi quarant’anni di carriera, aveva lavorato quasi sempre in giro per il mondo, lontano dalla corte papale di Roma, spesso claustrofobica.
La sua Chiesa era sopravvissuta a due guerre mondiali e molti nella sua scala gerarchica ritenevano che dovesse trincerarsi di fronte a «nemici» come il comunismo e il modernismo: in realtà, combattere di nuovo le battaglie dei secoli precedenti ma senza armi nuove nel suo arsenale.
Il suo status di non romano, al di fuori dalla cerchia ristretta del potere, faceva di lui un improbabile candidato per l’elezione al papato, ma anche per la rivoluzione. Aveva settantasette anni quando venne eletto romano pontefice. Come diplomatico in Bulgaria, Grecia e Turchia, negli anni prima e durante la Seconda guerra mondiale, non aveva colpito particolarmente i suoi insegnanti o comandanti militari, né i suoi superiori in Vaticano. Avrebbe potuto avere la parola «improbabile» tatuata sulla fronte.
Eppure, Angelo Giuseppe Roncalli aveva un’esperienza di vita molto varia: la sua esistenza era stata una ricca sintesi di luoghi, persone e circostanze. Era cresciuto fra i piccoli agricoltori di Bergamo; aveva prestato servizio con militari pragmatici; collaborato alla raccolta di fondi per una congregazione curiale in Vaticano; parlato con cristiani ortodossi assediati in Bulgaria e teso la mano ai musulmani in Turchia, ai collaborazionisti in Francia e ai comunisti lì e in Italia. Rispettava e aiutava i preti operai, che fossero nelle grazie di Roma o no.
Pragmatico e amichevole, teneva la fiamma della sua vita spirituale sempre accesa con la preghiera e le opere buone praticate in silenzio e con un umorismo intelligente e ironico. Intuitivo, conosceva bene la teologia sacra e la storia ecclesiastica, ma non era mai apertamente intellettuale; gestiva piuttosto i rapporti umani all’interno e all’esterno della Chiesa con qualità e istinti raffinati in decenni di servizio nella diplomazia vaticana.
La stupefacente ascesa di un piccolo diplomatico conviviale originario dell’Italia rurale alla massima e più potente carica del cristianesimo nel 1958, per quanto improbabile fosse, perde un po’ della sua importanza storica a paragone di ciò che seguì immediatamente l’incoronazione di Roncalli come Giovanni XXIII. Quando indisse un nuovo Concilio Vaticano – la prima riunione di tutti i vescovi in un unico luogo dal 1870 – sconvolse tutte le previsioni che il suo sarebbe stato un tranquillo pontificato di transizione.
Mentre giaceva moribondo nell’ultimo giorno di maggio del 1963, Roncalli ricevette i suoi cardinali romani. Disse a ciascuno di loro che «stava per partire». Come se partisse per un viaggio e per un poco non avrebbe visto i suoi amici e compagni. Avendo adempiuto il suo compito di pastor et nauta, pastore e marinaio, pescatore di uomini, e avviato la «barca di Pietro» (un vecchio termine usato per descrivere la Chiesa e il papato, in riferimento al mestiere di pescatore dell’apostolo) nel mare del mondo, ora poteva avviarsi anche lui nel mare dell’eternità, quasi da solo. Chiese il viatico (l’eucaristia amministrata ai moribondi significa: Cristo «è con te», a via tecum) e poco dopo partì per il suo ultimo viaggio oltre l’orizzonte dell’eternità.
Ma non prima di aver detto a molti che offriva la sua vita «per un buon risultato del Concilio ecumenico e per la pace fra gli uomini» che era, in effetti, il suo ultimo desiderio. Insisté quietamente sulla sua visione di base fino alla fine. Intuitiva, non sempre esposta con efficacia, questa visione emerse tuttavia nel Concilio Vaticano II e nel fiducioso amore per tutti gli uomini di buona volontà espresso nella Pacem in terris. Senza più ambiguità, ormai alla fine, con la lucidità di un moribondo, continuò a ripetere il suo desiderio «che la grande opera fosse coronata da successo».
Papa Giovanni XXIII era un rivoluzionario dolce. Lungi dall’essere il custode che la Chiesa si aspettava, Giovanni creò un’atmosfera in cui, disse il teologo gesuita John Courtney Murray, «molte cose vennero meno: vecchi modelli di pensiero, di comportamento, di sensibilità. Non vennero discussi o rigettati, ma semplicemente abbandonati».
La Chiesa monolitica del Medioevo non si sarebbe opposta – forse non avrebbe potuto farlo – a questo movimento storico verso il dinamismo e la diversità, appoggiato da questo papa. Seppure con sofferenza, la Santa Madre Chiesa sarebbe cambiata. E avrebbe poi affrontato l’inevitabile reazione e arroccamento interno che segue qualsiasi rivoluzione culturale o spirituale.
Da dove veniva? La sua nascita, gioventù e inizio sacerdotale – i suoi primi venticinque anni – sono abbastanza ben documentati, considerando che in quel periodo la sua fu un’esistenza senza eventi di rilievo. Era figlio non soltanto del clan Roncalli di Sotto il Monte nella provincia di Bergamo, su nel Nord Italia, ma anche, letteralmente, figlio della Chiesa dal giorno della sua nascita. Sembra che nessuno avesse mai dubitato che fosse destinato a farsi prete e la vocazione per lui fosse un fatto naturale come respirare.
Angelo Giuseppe Roncalli veniva dalla terra delle montagne, dal cuore di una tipica famiglia tradizionale, devota e chiassosa, composta da dodici fratelli e sorelle (tre dei quali morti molto giovani) e numerosi parenti stretti. Crebbe sotto l’influenza diretta e costante della Chiesa cattolica romana di papa Leone XIII, uno dei pontefici più capaci e progressisti degli ultimi due secoli. Proprio quando il giovane Roncalli divenne maggiorenne e poco prima della sua ordinazione sacerdotale, Pio X venne eletto papa e per una dozzina di anni si eresse come un baluardo antimodernista fino alla vigilia della Grande guerra, quando gli succedette il dotto Benedetto XV.
Il giovane Roncalli trovò più continuità che cambiamento nella sua Chiesa santa e duratura, sebbene i venti teologici e i valori moderni emergenti soffiassero contro la fortezza che era stata rafforzata dal Concilio di Trento nel XVI secolo e dal Concilio Vaticano indetto da Pio IX nel 1869-1870 e rivolto all’interno della Chiesa, che definì il dogma dell’infallibilità papale. La devozione prevaleva sull’indagine nella Chiesa di Roncalli maggiorenne, ma il giovane sacerdote fu spinto a seguire la via della ricerca storica e della riflessione che avrebbe nutrito la sua mente aperta e riempito il suo grande cuore – nel corso del tempo – di illuminanti introspezioni sugli aspetti umani e organizzativi della sua amata istituzione, la Santa Madre Chiesa.
Ma non si può sperare di capire Giovanni senza prima ricordare che apparentemente dubbi e congetture non affiorarono mai nella mente del seminarista o del prete neofita. In una vita tutta dedita alla fede – la sua, della sua famiglia e di quelli che assisteva e ricordava nelle sue preghiere – non c’era posto per dedicarsi a simili distrazioni terrene o ai giochi intellettuali. La vita era troppo preziosa e troppo breve per molti e la salvezza era il fine ultimo per il fedele cristiano. Punto.
E dove andò? Dal mondo parrocchiale del suo villaggio di montagna e persino di Bergamo, una città piccola ma ricca di storia imperiale a nordest di Milano con grandi tradizioni di musica, santità e guerra, si trasferì a Roma, il cuore pulsante della Chiesa, per poi assumere ruoli sempre più vasti sul palcoscenico diplomatico europeo fino a emergere, verso la fine della sua vita, come il «Papa del mondo». Fece anche l’esperienza della guerra in prima persona, nelle trincee, come giovane sottufficiale e cappellano dell’esercito italiano nel primo conflitto mondiale. Il suo fu un pellegrinaggio rimarchevole ma iniziato sotto cattivi auspici, a dir poco.
Si potrebbe dire che passò da famiglia a famiglia, dal sangue del suo sangue alla fratellanza del seminario e del sacerdozio, alla «famiglia» lontana dei fedeli nei Balcani e nella Francia cosmopolita, al popolo di Venezia in veste di patriarca e pater familias. Cercò sempre di rimanere in contatto con i Roncalli di Sotto il Monte, compresi i suoi genitori, morti entrambi negli anni trenta (quando Angelo aveva poco più di cinquant’anni), i fratelli, le nipoti e i nipoti. Infine, come papa e Santo Padre, la sua famiglia si estese in tutto il globo fino ai villaggi di montagna in Africa e in Asia e alle città nelle Americhe che non poteva sperare di visitare personalmente come avrebbero fatto i suoi successori in avvenire.
Chi e che cosa formò il suo carattere? Da ragazzo, sembra che ricevesse un tocco di santità (un termine che occorre spiegare e analizzare a fondo nel contesto di quest’uomo e del suo tempo) da una fonte esterna. Era un buon ragazzo e un buon uomo, a detta di tutti. Perciò, la storia di come divenne il Papa buono chiede a gran voce di essere narrata a una nuova generazione.

2. Famiglia, giovinezza e seminario (1881-1904)

Anno MILLES Octing. Octuag. Primo Die 25 nov. Ego Franciscus Rebuzzini Par. huj. Ecclesiæ S. Io. Baptæ Submontis baptizavi infantem hodie natum ex legitt. coniug. Io. Bapt. Roncalli et Mazzola Marianna e Brusico hujus Paroeciæ: cui impositum est nomen Angelus Joseph. Patrinus fuit Xaverius Roncalli filius Jo. Baptæ hujus Paroeciæ.
In quorum fidem sacerdos Franciscus Rebuzzini parochus
Nell’anno 1881, 25 novembre, io, Francesco Rebuzzini, prete di questa chiesa di San Giovanni Battista di Sotto il Monte, battezzai il bambino nato oggi dalla coppia legalmente sposata Giovanni Battista Roncalli e Marianna Mazzola, da Brusicco in questa parrocchia. Al bambino vennero imposti i nomi Giovanni Giuseppe. Il padrino fu Zaverio Roncalli figlio di Giov. Batt. di questa parrocchia.
In fede, Francesco Rebuzzini, parroco
Questa semplice annotazione nel registro parrocchiale di una cittadina collinare dell’Italia settentrionale è il primo documento pubblico riguardante il futuro papa Giovanni XXIII e l’errore che contiene – il prete scrisse che i nomi imposti al bambino erano Giovanni Giuseppe anziché Angelo Giuseppe – mette in luce alcune delle circostanze legate alla nascita del bambino.
Nascosto fra le pendici delle Alpi, subito a nord della pianura lombarda, il villaggio di Sotto il Monte era un luogo anonimo e fuori mano. Formato da un gruppo di edifici in pietra grigia, ospitava circa 1200 persone, che si guadagnavano quasi tutte da vivere lavorando la terra. Il tempo a Sotto il Monte era spesso inclemente: estati afose alternate a inverni umidi, quando venti impetuosi scendevano dalle Alpi, portando la pioggia che rendeva le strade quasi impraticabili per il fango.
Angelo Roncalli nacque in una di quelle giornate in cui la tramontana – il vento del Nord che può soffiare a 80 chilometri l’ora e oltre – spazzava la cittadina. Venne al mondo verso le dieci del mattino nella casa di pietra dei suoi genitori, in una stanza al primo piano. Gli abitanti di Sotto il Monte avevano l’abitudine di dare un nome alle loro case e i Roncalli avevano chiamato la loro il Palazzo, anche se non aveva nulla di così grandioso, dato specialmente che sei mucche dividevano la casa con la famiglia allargata di Angelo, composta da zie, zii, nonni e cugini. Con la sua nascita il numero di abitanti del Palazzo salì a trentadue.
Angelo era il quarto figlio di Giovanni e Marianna. Il fatto che fosse nato un maschio, dopo tre femmine, rallegrò molto Giovanni, un mezzadro che ora avrebbe avuto qualcuno per aiutarlo a coltivare i suoi cinque ettari di terra. Ma fu motivo di altrettanta gioia per Zaverio Roncalli, prozio di Angelo e patriarca della famiglia, noto a tutti come «Barba».
Poco dopo la nascita di Angelo, Marianna si alzò dal letto, avvolse il neonato in uno scialle e con Zaverio e Giovanni andò in cerca di padre Francesco Rebuzzini per far battezzare Angelo. Quando fu loro detto che il parroco era uscito, si sedettero sulle panche nel vestibolo della chiesa al freddo e attesero. Tornare più tardi era fuori questione: la famiglia aveva l’abitudine di battezzare subito i neonati, non soltanto per l’alto tasso di mortalità neonatale all’epoca, ma per la profonda fede dei Roncalli nel loro Dio e nella loro Chiesa.
Rebuzzini tornò solo a tarda sera ed entrando in chiesa trovò Zaverio, Giovanni e Marianna che lo aspettavano. Pur essendo sicuramente stanco – tanto da commettere un errore nell’annotare il nome del bambino nel registro parrocchiale – sapeva che queste persone così devote non potevano essere congedate e battezzò Angelo con una cerimonia semplice e lo zio Zaverio come padrino.
Poi i quattro tornarono a casa e il ciclo delle loro vite, fatto di fede, famiglia e fattoria, ricominciò.
Dopo la sua elezione a Sommo Pontefice, Angelo Roncalli scrisse, con tipico umorismo: «Esistono tre modi di rovinarsi: le donne, il gioco e l’agricoltura. Mio padre ha scelto il più noioso». E il più faticoso. Giovanni Roncalli era un mezzadro che coltivava la terra appartenente a molti ricchi proprietari. Consegnava ai padroni metà del prodotto – vino, ravizzone, latte e vitelli, seta dei bachi allevati sui suoi gelsi – e teneva il resto per sé. Nelle annate buone, i Roncalli tiravano avanti a stento, ma in quelle cattive a volte non avevano abbastanza da mangiare, visto il numero di bocche da sfamare: Giovanni e Marianna avrebbero avuto altri dieci figli dopo Angelo.
Spesso ai Roncalli mancava persino il pane, ma supplivano con la polenta. Ciò nonostante, a tavola c’era sempre posto per un altro commensale. Come avrebbe scritto poi Roncalli:
Quando un mendicante appariva alla porta della nostra cucina, quando i bambini – una ventina – attendevano con impazienza la loro minestrata, c’era sempre posto per lui e mia madre si affrettava a far sedere lo straniero accanto a noi.
Roncalli divenne papa mentre il mondo scivolava velocemente negli anni sessanta, ma crebbe in un luogo dove il tempo si era fermato. I Roncalli erano vissuti a Sotto il Monte fin dall’inizio del XV secolo e facevano parte del paesaggio come gli alberi rachitici e le colline. (Il loro stesso nome viene da ronco, terrazza di terra per la coltivazione della vite sui fianchi delle colline.) Le loro giornate erano scandite dalle campane: il suono dell’Angelus li svegliava la mattina alle cinque; rammentava a Marianna di preparare il pranzo a mezzogiorno e richiamava gli uomini dai campi alle sei. L’anno era segnato dalle feste cattoliche.
Angelo Roncalli e i suoi fratelli e sorelle erano circondati da Dio e dalla Chiesa. Quando lo zio Zaverio lo svegliava la mattina, gli diceva «è ora di alzarsi, Angelo» e iniziava a recitare l’Angelus: «L’Angelo del Signore portò l’annuncio a Maria».
E Roncalli rispondeva: «Ed Ella concepì per opera dello Spirito Santo, Ave Maria, piena di grazia…».
Basso, robusto, tozzo di gambe, il giovan...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Prefazione
  3. PRIMA PARTE Prete e protettore
  4. SECONDA PARTE L’anima di un papa
  5. TERZA PARTE Padre del Concilio
  6. Note
  7. Fonti
  8. Ringraziamenti