Le diverse pagine. Il testo letterario tra scrittore, editore, lettore
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Le diverse pagine. Il testo letterario tra scrittore, editore, lettore

  1. 256 pagine
  2. Italian
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Le diverse pagine. Il testo letterario tra scrittore, editore, lettore

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Chi decide di pubblicare un determinato libro e quale titolo dargli? Chi seleziona l'immagine di copertina e le parole dei risvolti? Quale testo trova il lettore? Ogni edizione, del resto, è sempre diversa in base all'interpretazione dell'editore. I capitoli di "Le diverse pagine" rispondono a queste e a tante altre domande, spiegando - di capitolo in capitolo e con ampia ricchezza di esempi ­qual è il ruolo dell'editore, come compie le sue scelte, come interviene sulla scrittura di un autore e come, infine, attraverso la forma del libro, suggerisce al lettore che cosa leggere.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788865762110
1. Il ruolo dell’editore dalla «mediazione» all’«interpretazione»
1. La mediazione editoriale tra scrittori e lettori
Quasi per convenzione definito il mediatore tra chi scrive e chi legge, all’editore è assegnato, come primo compito, quello di scegliere un testo e portarlo, sotto forma di libro, ai lettori. A questa osservazione – che sottolinea, per altra via, il ruolo dell’editore di offrire materiali di lettura ai suoi contemporanei – si può attribuire, per la sua semplicità, un carattere di portata generale, in grado, in quanto tale, di spiegare sufficientemente bene il nucleo più interno dell’attività editoriale: scegliere e pubblicare, appunto.
Un testo, e in particolare un testo letterario, infatti, non passa direttamente dall’autore al lettore: prova ne sia (si potrebbe aggiungere) il fatto che coloro che hanno esaltato la possibilità di pubblicare direttamente su Internet i propri romanzi o racconti, con l’intento di saltare ogni mediazione, compresa quella del testo stampato sotto forma di libro, hanno alimentato un equivoco che si sarebbe presto svelato come inganno. Ciò che è stato immesso in rete come semplice «file» inserito in siti «contenitori», infatti, è rimasto per lo più senza lettori, confinato in grandi scaffali digitali, privo di visibilità o all’insegna dell’autoreferenzialità: autori e lettori utilizzano lo stesso sito e coincidono.
Salvo il caso particolare (e paradossale, se esteso su larga scala) della consegna diretta a un lettore, da parte dell’autore,1 di pagine manoscritte, o dattiloscritte, o impresse personalmente con una stampante, la trasmissione di un testo, per essere riconoscibile e quindi funzionare attivamente, ha bisogno di una qualche forma di mediazione. Questa, nell’epoca attuale, si manifesta ancora, soprattutto, sotto forma di libro prodotto da un editore; anche un e-book, del resto, conserva molti dei caratteri editoriali di un’edizione a stampa. Si potrebbe aggiungere, a questo proposito, che lo stesso «self publishing» – considerato da molti osservatori un fenomeno in espansione nel corso degli anni dieci del Duemila,2 grazie ai servizi offerti in Internet da alcune società, o da sezioni di case editrici, dedicate all’autoedizione3– pur permettendo a chiunque di realizzare un libro cartaceo o un e-book, senza passare attraverso la decisione di un editore, ricorre poi ai supporti di un editore o comunque di un imprenditore del mondo del libro (per esempio Amazon, una delle maggiori librerie in rete), che dota il libro di un codice ISBN (con il quale è a pieno titolo sul mercato), lo propone in una rete commerciale, lo rende raggiungibile.
Nell’ambito della critica letteraria, il suggerimento, per molti aspetti innovativo, di dare importanza all’atto della pubblicazione in quanto forma di mediazione che garantisce al testo un’esistenza pubblica, era stato avanzato, alla fine degli anni cinquanta, da Robert Escarpit, in particolare con Sociologia della letteratura (del 1958).4 Lo studioso francese riconduceva la funzione dell’editore a tre verbi: «“scegliere”, “produrre”, “distribuire”», e sollecitava la critica letteraria a non trascurare appunto gli aspetti della produzione, della distribuzione, del consumo librario, e a servirsi di dati sociologici, economici e statistici.
Anche senza introdurre esplicitamente l’espressione «mediazione editoriale», Escarpit metteva in risalto il ruolo di mediatore esercitato dall’editore, paragonato a un certo punto a un «ostetrico»: «[…] senza di lui, l’opera concepita e portata fino ai limiti della creazione non avrebbe accesso all’esistenza»,5 cioè non troverebbe il modo di raggiungere il suo lettore. Nelle pagine di Sociologia della letteratura, per altro, erano numerose le osservazioni sul lavoro editoriale: si indicava, per esempio, come ogni decisione presupponga «un “pubblico teorico” in nome ed a beneficio del quale è fatta la scelta; un “campionario di scrittori” è poi tenuto a riflettere i bisogni di questo pubblico».6
Prestando attenzione al rapporto autore-editore-lettore, la nuova linea critica ha indirizzato gli studi soprattutto al rilevamento e all’elaborazione di dati statistici sulla produzione (sul numero e sul genere di opere pubblicate), sulle vendite (esaminando sia la quantità di libri venduti sia le classifiche dei best seller), sui lettori (dando conto della loro fisionomia, sulla frequenza delle loro letture, dei generi preferiti eccetera), piuttosto che a una riflessione teorica sulla trasmissione dei testi. Alla Scuola di Bordeaux, come è stata chiamato il gruppo di studiosi che lavoravano con Escarpit al Centre de Sociologie des Faits littéraires, poi (nel 1965) Institut de littérature et de techniques artistiques de masse (ILTAM)7 ha fatto presto riferimento, anche in Italia, un’area di critica letteraria (la cui figura più emblematica è rappresentata da Gian Carlo Ferretti con Il mercato delle lettere,8 del 1979, che, tuttavia, si occupava anche di aspetti strettamente letterari).
In questo quadro di interessi critici e sociologici, lo studio dell’attività editoriale, e del catalogo, portava a interrogarsi sui caratteri di una mediazione che raccordava (non senza, per altro, consapevoli interventi degli editori) le intenzioni degli autori alle richieste del loro contesto sociale, politico, culturale, letterario, o ai dibattiti in esso condotti. Seguendo questa via, l’attenzione si è presto estesa a considerare le case editrici come industrie, delle quali analizzare gli assetti proprietari, la composizione della dirigenza, gli sviluppi della produzione, lo spazio di mercato perseguito e raggiunto in rapporto alle offerte e alla loro diffusione.9
L’approfondimento teorico sul ruolo dell’editore nella cultura e nella letteratura, e sul rapporto tra le sue scelte e le scelte di lettura, sarebbe stato sviluppato sotto altri punti di vista, che, per quanto spesso di stampo sociologico, storico, economico, seguivano strade differenti da quelle indicate da Escarpit.
«Il potere di cui l’editoria dispone sta tutto nella facoltà di selezionare l’offerta»,10 ha scritto Vittorio Spinazzola in un saggio intitolato «Generi letterari e successo editoriale». L’uso del termine «offerta» introduce una considerazione che rimanda quasi immediatamente a un contesto di mercato cui ogni editore non si può sottrarre e dentro il quale si manifesta la sua mediazione, come ha scritto sinteticamente l’economista Pierfrancesco Attanasio: «Il ruolo economico dell’editore consiste sostanzialmente nell’operare da mediatore tra una domanda di informazioni e contenuti da parte dei consumatori e un’offerta proveniente dagli autori».11 Attanasio continuava:
L’editore produce valore aggiunto in quanto facilita la comunicazione tra i due poli, selezionando i contenuti, rielaborandoli redazionalmente, assemblandoli, corredandoli di informazioni aggiuntive, fissandoli su un supporto fisico, promuovendoli attraverso un sistema distributivo e così via.12
Quest’ultima citazione suggerisce nuovi possibili temi di approfondimento, ma qui basti indicare lo spostamento compiuto verso un altro punto della riflessione, a proposito del quale si può affiancare un’ulteriore considerazione di carattere generale. Enrico Decleva, in uno scritto dedicato all’editoria italiana di primo Novecento, aveva definito la mediazione editoriale appunto come il processo che «si determina nel corso del passaggio dal testo dell’autore […] alla sua fruizione da parte del lettore»: da qui il suo carattere «estremamente vario e complicato».13
Le poche osservazioni precedenti spingono a puntualizzare meglio l’idea stessa di mediazione in riferimento all’attività editoriale: non ci si può infatti limitare a vedere nell’editore un mediatore secondo il modello economico o giuridico, poiché la sua iniziativa non è solo rivolta alla costituzione di un collegamento tra lo scrittore e il lettore, dando al primo la possibilità di raggiungere il secondo. Il processo che porta dalla scrittura alla lettura, per riprendere Decleva, presuppone, infatti, dinamiche complesse, che potrebbero legittimare l’individuazione di un «campo editoriale» (per ricorrere alle categorie di Pierre Bourdieu),14 dove gli attori non sono figure astratte («lo scrittore», «l’editore», «il lettore»), ma concrete. In questo campo si collocano, dunque, le figure dei singoli scrittori che, già inseriti nel «campo letterario» (così come i loro lettori), sono anche in rapporto con le condizioni della produzione dei diversi editori. Questi ultimi sono a loro volta in relazione con i beni simbolici, con le necessità del capitale (per riprendere ancora Bourdieu), con le altre forme di produzione e di consumo culturale, e con le istituzioni della politica e della cultura.
In questo contesto la mediazione editoriale è data dalla capacità e dalla necessità di ogni editore di collocarsi al posto giusto dentro il campo editoriale, e di collocarvi correttamente gli scrittori che pubblica. Pur senza parlare di «mediazione», Bourdieu scrive:
La scelta di un luogo di pubblicazione (in senso ampio) – editore, rivista, galleria, giornale – non è così importante se non in quanto a ogni autore, a ogni forma di produzione e di prodotto, corrisponde un luogo naturale (già esistente o da creare) nel campo di produzione e in quanto i produttori o i prodotti che non sono al posto giusto – che sono, come si dice, «fuori luogo» – sono più o meno condannati a fallire: tutte le omologie che garantiscono un pubblico adeguato, critici comprensivi, e così via, a chi ha trovato il suo posto nella struttura, giocano al contrario contro chi si è smarrito fuori del proprio luogo naturale.15
Da questo punto di vista si potrebbe concludere che il fallimento della «collocazione» è il fallimento della mediazione.
Le prime osservazioni finora condotte spingono ad allargare l’esame della complessa nozione di «mediazione editoriale», per cui può essere utile una breve rassegna che dia conto di altri punti di vista introdotti negli ultimi anni (anche se, in molti casi, si dovrebbe parlare solo di spunti di riflessione, affidati a poche righe).
È interessante partire da uno scritto di Gian Carlo Ferretti che, dedicato ad Antonio Gramsci, porta l’emblematico titolo «L’editore mediatore».16 Ciò che a Gramsci interessa maggiormente, la letteratura popolare che può rivolgersi al vasto pubblico, è anche ciò che riduce il ruolo di editore a una mediazione non visibile: «[…] l’editore tende a scomparire o diventa […] un mediatore neutrale, un ruolo secondario», annota Ferretti.17 E tuttavia, sottolineando l’importanza, per Gramsci, delle pubblicazioni di romanzi destinati a un pubblico non colto e quindi misurando le scelte editoriali in quanto «risposta» alla «domanda del pubblico popolare», Ferretti rileva che la funzione sociale della letteratura, uno dei fondamenti del pensiero gramsciano, converge idealmente «con la sicura individuazione del prevalente ruolo di mediatore che l’editore, di fatto, svolge tra scrittore (autore) e pubblico, nella fase di sviluppo artigianale e proto ndustriale del settore librario italiano».18
L’annotazione è interessante, perché individua una precisa condizione storica – una fase arretrata dell’industria editoriale – nella quale, essendo «la posizione dello scrittore e del suo lavoro letterario, esterni alla macchina produttiva e al mercato», è l’editore, «mediando appunto tra scrittore e pubblico», a realizzare la «funzione sociale» del lavoro letterario, «attraverso quella macchina e quel mercato».19 Ferretti conclude con un commento personale: «Le cose cambieranno in seguito, con l’avvento dell’apparato», cioè quando l’industria editoriale sarà guidata da manager.20
Su un piano di riflessione teorica, c’è da mettere in rilievo l’indicazione secondo la quale la funzione sociale della letteratura si attua attraverso la funzione sociale della mediazione editoriale; o, forse meglio, come la funzione sociale dell’editore, portando ai lettori popolari i testi che desiderano leggere, sia un mediatore che favorisce la funzione sociale della letteratura. In questo senso Ferretti può riconoscere, nelle riflessioni gramsciane sulla necessità di offrire al pubblico una letteratura finalmente popolare, un suggerimento metodologico «per ogni critica dei processi di produzione e del mercato culturale, che assuma appunto il rapporto scrittore-editore-pubblico come oggetto centrale di analisi»,21 e che si interroghi sulla condizione della lettura in Italia, nel passato come nel presente.
Alla mediazione editoriale sono state dedicate numerose pagine anche da Vittorio Spinazzola, uno dei critici di letteratura più impegnati a intrecciare osservazioni teoriche sulla critica letteraria e, sulla lettura, con quelle sull’attività dell’industria editoriale.22 Le sue pagine arricchiscono la riflessione sulla mediazione editoriale, ponendola all’interno di un quadro che si sofferma soprattutto sull’aspetto «sociale» della scrittura e della lettura.
Il punto di complessità della mediazione sta nel fatto che l’editoria è ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Premessa
  3. Introduzione
  4. 1. Il ruolo dell’editore dalla «mediazione» all’«interpretazione»
  5. 2. La scelta del testo tra poetiche e mercato
  6. 3. L’«originale» tra autore e editore
  7. 4. Il testo in redazione
  8. 5. Ermeneutica dell’edizione
  9. Immagini
  10. Riferimenti bibliografici delle illustrazioni
  11. Note