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La supremazia globale dell'Occidente è giunta al tramonto. I «Brics», con altri paesi emergenti, sono in vertiginosa ascesa, mentre la superpotenza americana ripiega su se stessa e la Grande recessione tormenta un'Europa in crisi d'identità. Dopo il secolo americano assisteremo a un secolo cinese, oppure russo, indiano o brasiliano? Che futuro avrà l'alleanza atlantica? E quali saranno i princìpi e le regole fondanti del nuovo ordine internazionale? Le incisive risposte di Charles Kupchan esortano a vedere il mondo non per quello che è stato o si desidera che diventi, ma per quello che sta diventando: un mondo di nessuno, multipolare e interdipendente, che per la prima volta nella storia sarà privo di un centro di gravità. L'Occidente ha perso la leadership globale, ma deve anche rassegnarsi ad accettare la fine della propria egemonia ideologica. Se vogliono contribuire a un ordine stabile e pacifico, Stati Uniti ed Europa non possono illudersi che il modello di democrazia liberale, capitalismo e nazionalismo laico si estenda alle potenze in ascesa. Le autocrazie in Cina, in Russia e nel Golfo Persico, le teocrazie in Medio Oriente, gli «uomini forti» in Africa, il populismo di sinistra in America Latina: questi regimi, che Kupchan indaga con lucidità, non sono una semplice tappa intermedia lungo la strada che porta alla «via occidentale», ma alternative durevoli, spesso con un alto livello di efficacia e legittimità. Le democrazie atlantiche dovranno affrontare la prossima, inesorabile svolta globale con flessibilità ed equilibrio. E in «Nessuno controlla il mondo» non mancano le proposte: per rivitalizzare le istituzioni occidentali occorrerà imparare dai paesi emergenti, riscoprendo il ruolo economico dello stato e nuove forme di coesione sociale, oltre che un atteggiamento pragmatico nelle relazioni internazionali.

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Informazioni

1. La svolta

Modernità multiple

Nell’agosto del 1941, Franklin Roosevelt e Winston Churchill tennero una serie di colloqui segreti sulla USS Augusta e sulla HMS Prince of Wales, entrambe all’ancora in un porto sicuro di Terranova. Mentre in Europa infuriava la Seconda guerra mondiale, i due leader si incontrarono per definire un piano per il mondo che avrebbe potuto sorgere dopo la fine delle ostilità. La Carta Atlantica che ne risultò delineava un ordine globale fondato sull’autodeterminazione, sul libero scambio e sul disarmo. All’epoca gli Stati Uniti non erano ancora entrati in guerra; l’incontro, tuttavia, segnò il momento in cui iniziarono ad assumere un ruolo guida nel mondo occidentale. Dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, avvenuto più tardi lo stesso anno, gli Stati Uniti condussero le democrazie atlantiche alla vittoria della Seconda guerra mondiale. Da allora, sono stati il perno fondamentale dell’ordine liberale che si impose sul blocco comunista e vinse la Guerra fredda.
Alla fine del XX secolo era in voga sostenere che la storia fosse giunta alla fine.1 A seguito della caduta del muro di Berlino e del collasso dell’Unione Sovietica, democrazia e capitalismo si diffusero rapidamente; l’ordine internazionale forgiato dagli Stati Uniti e dai loro alleati europei sembrava sul punto di estendersi a tutto il globo. Sebbene Cina, Russia, Cuba, la maggior parte del Medio Oriente e dell’Africa fossero caparbiamente refrattari, ci si aspettava che presto finissero per soccombere all’irresistibile fascino della via occidentale (Western way). All’inizio del nuovo millennio, non solo l’Occidente teneva in mano le redini del gioco, ma sembrava aver finalmente sconfitto i suoi molti avversari.
Spostiamoci avanti di qualche anno: Copenaghen, dicembre 2009. Un centinaio di leader mondiali si trovano in Danimarca per stipulare un accordo sulla limitazione delle emissioni inquinanti che contribuiscono al riscaldamento globale. Barack Obama arriva all’undicesimo giorno della conferenza, caratterizzata fino a quel momento da scarsi passi avanti. La sera stessa Brasile, Cina, India e Sudafrica tengono una riunione a porte chiuse per rafforzare la solidarietà tra potenze emergenti. Mentre l’incontro volge al termine, Obama si arrischia in una visita improvvisata. Gli assistenti si precipitano a trovare sedie per il presidente degli Stati Uniti e il segretario di Stato Hillary Clinton. Questo incontro imprevisto determina un’accelerazione. Ma l’accordo non include alcun impegno vincolante alla riduzione delle emissioni, ciò che i paesi occidentali avevano sperato di poter raggiungere. Le potenze emergenti avevano dominato le trattative, mentre i partner europei degli Stati Uniti erano rimasti completamente fuori dai giochi. Riflettendo su questa successione di eventi, il Washington Post ha concluso: «Il secolo americano è finito».2
Il vertice di Copenaghen è solo uno dei molti sintomi di come il XXI secolo non segni il trionfo definitivo dell’Occidente, ma l’emersione di uno scenario globale che si muove non tanto verso un traguardo finale, quanto verso un punto di svolta. L’egemonia dell’Occidente non sta svanendo solo in campo materiale, con l’ascesa di nuove potenze, ma anche in quello ideologico. I regimi autoritari del mondo sono ben lontani dall’esalare l’ultimo respiro e si dimostrano piuttosto stabili. La Cina ha sperimentato tassi di crescita economica tre volte maggiori di quelli delle democrazie occidentali, e i suoi avanzi commerciali restano cruciali per garantire i delicati equilibri del debito americano. La recessione globale ha imposto un pesante pedaggio all’economia russa, ma il Cremlino ha mantenuto un fermo controllo sullo stato e conduce una politica estera aggressiva. Gli sceiccati che governano i paesi produttori di petrolio del Golfo Persico, pur essendo stati contagiati dai tumulti recentemente scoppiati in gran parte del mondo arabo, hanno conservato intatti i loro principi autoritari. D’altra parte, se nel Medio Oriente si diffondessero forme di governo democratiche, i nuovi regimi potrebbero rappresentare degli ossi molto più duri rispetto alle autocrazie che andrebbero a sostituire. Nemmeno le potenze emergenti in cui vige la democrazia, come India e Brasile, possono essere annoverate tra i più convinti sostenitori del campo occidentale. Al contrario, si schierano regolarmente contro Stati Uniti ed Europa su questioni geopolitiche, commerciali, ambientali e così via, preferendo prendere le parti dei paesi emergenti, che siano democratici o meno. Gli interessi contano più dei valori.
Nel frattempo, le democrazie occidentali hanno compiuto diversi passi falsi. Il problema va ben al di là dell’attuale Grande recessione, un fenomeno nato e cresciuto negli Stati Uniti, paese artefice e leader dell’Occidente. Una governance debole e traballante pervade il mondo industrializzato. George W. Bush ha affrontato il suo secondo mandato all’insegna dell’incertezza, registrando un record negativo in termini di popolarità come presidente. Barack Obama è entrato in carica impegnandosi a ricreare un’atmosfera bipartisan e a rafforzare il sentimento di unità nazionale, ma democratici e repubblicani sono stati incapaci di trovare un terreno comune. Non può dunque stupire che nel 2010 la fiducia dell’opinione pubblica nel Congresso abbia raggiunto i valori più bassi di sempre. Gli Stati Uniti non sono i soli a confrontarsi con un diffuso senso d’insoddisfazione verso la democrazia: molti altri paesi industrializzati – per esempio Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Giappone – sono stati recentemente debilitati da una polarizzazione dell’elettorato e da governi deboli.
Lo scenario che sta emergendo è contraddistinto da una diffusione del potere e da una diversificazione dei sistemi politici, e non da una convergenza di tutti i paesi sulla via occidentale. Il mondo, questo è certo, è sulla soglia di una svolta globale. Tra il 1500 e il 1800, il baricentro del potere mondiale si è spostato dall’Asia e dal bacino del Mediterraneo prima verso l’Europa e poi, a partire dal tardo XIX secolo, verso l’America del Nord. L’Occidente ha sfruttato il suo potere per diventare il cardine del mondo globalizzato, ed è stato l’attore di punta di questo periodo storico. Ma la sua ascesa fu dovuta a fattori temporali e geografici contingenti, e ora la storia sta cambiando il suo corso. L’Asia orientale si è consacrata come favorita a raccogliere lo scettro della leadership globale. Si può ragionevolmente dubitare, però, che qualunque paese, regione o modello possa controllare il mondo che verrà. Il XXI secolo non sarà americano, cinese o asiatico, né di chiunque altro; non apparterrà a nessuno. Il sistema internazionale che sta sorgendo sarà costituito da numerosi centri di potere indipendenti e da molteplici versioni della modernità.3 Per la prima volta nella storia, un mondo interconnesso e interdipendente sarà privo di un singolo centro di gravità o di un angelo custode globale. Se un ordine mondiale dovesse realizzarsi, sarebbe un amalgama tra differenti culture politiche e concezioni di ordine interno e internazionale.
L’incapacità di prevedere questa svolta cruciale e modificare di conseguenza la strategia complessiva dell’Occidente sarebbe un errore dalle conseguenze drammatiche. Un errore che stiamo già compiendo. Il problema non è tanto il mancato riconoscimento dell’attuale redistribuzione del potere. Al contrario, chi definisce le strategie di Stati Uniti ed Europa comprende che nuove potenze si stanno affermando e che inevitabilmente il predominio occidentale svanirà. Proprio gli Stati Uniti e l’Europa hanno promosso la trasformazione del G8 – una sorta di comitato direttivo globale dominato dai paesi occidentali – nel cosiddetto G20, un gruppo di potenze di primo piano nel quale le democrazie occidentali rappresentano una minoranza.
La maggior parte dei policy maker, tuttavia, fraintende la natura della sfida fondamentale posta dalla diffusione globale del potere. Secondo l’opinione prevalente, le potenze occidentali dovrebbero sfruttare la fase calante della loro egemonia per incanalare la spinta dei paesi emergenti nell’ordine internazionale liberale che loro stesse hanno costruito. Secondo G. John Ikenberry, l’Occidente dovrebbe «rendere le radici di quest’ordine il più salde possibile», assicurando in questo modo che «il sistema internazionale guidato dagli Stati Uniti possa rimanere l’ordine dominante del XXI secolo».4 Finché ha ancora il potere di farlo, l’Occidente dovrebbe dunque completare il processo attraverso il quale ha esteso i suoi valori e le sue istituzioni al resto del mondo. Anche Fareed Zakaria, che pure ha riconosciuto come un «mondo post-americano» sia ormai all’orizzonte, cade nella stessa trappola intellettuale. «Questo passaggio di potere […], se accostato in maniera opportuna, è un bene anche per l’America» scrive Zakaria. «Il mondo sta seguendo il modello statunitense. I Paesi si stanno aprendo con favore ai mercati, diventando democratici.»5
Definire in termini simili le grandi sfide strategiche di quest’epoca può essere rassicurante per gli americani e i loro alleati democratici, ma si tratta di una pia illusione. La corazzata cinese non getterà l’ancora nel porto dell’Occidente, occupando ubbidiente il posto al molo che le è stato assegnato. Invece di conformarsi alle regole dell’attuale sistema internazionale, le potenze emergenti cercheranno naturalmente di ridefinire tale sistema in modi che si accordino con i loro valori e interessi. Questo fenomeno si è ripetuto fin dalla notte dei tempi e non c’è ragione di pensare che il futuro sarà differente. Il compito a cui siamo chiamati, pertanto, non è guidare le potenze emergenti nel porto occidentale; si tratta piuttosto di creare un nuovo ordine, i cui principi fondamentali dovranno essere negoziati tanto dalle potenze occidentali quanto dai nuovi arrivati. Quando si troverà a plasmare un nuovo ordine internazionale che includa il resto del mondo, l’Occidente non potrà concedere meno di quanto otterrà.
Il pianeta non si sta muovendo soltanto verso un sistema multipolare, ma anche in direzione di molteplici versioni della modernità: uno scenario politico diversificato, in cui il modello occidentale rappresenterà soltanto una delle molte concezioni di ordine internazionale e interno. Non solo i regimi autoritari ben governati resisteranno alle democrazie liberali, ma anche le potenze democratiche emergenti si troveranno spesso in disaccordo con l’Occidente. Forse la sfida decisiva per l’Occidente e i paesi in ascesa sarà proprio gestire questa svolta globale e concepire un approdo pacifico al mondo nuovo. L’alternativa è una situazione di anarchia competitiva, che si produrrà automaticamente mentre molteplici centri di potere, con le diverse idee di ordine che rappresentano, lotteranno per la supremazia.

La tesi di fondo

Questo non è il primo libro a predire il declino dell’egemonia occidentale.6 È tuttavia il primo a guardare il mondo che verrà attraverso la lente della longue durée. La ricostruzione della traiettoria futura del mondo prende le mosse dall’attualità, ma si fonda sull’osservazione di dinamiche e tendenze storiche più profonde. Presenta una panoramica dei fattori alla base dell’ascesa dell’Occidente e delle conseguenze che l’ascesa del resto del mondo implica. Inoltre, mentre gli studi precedenti tendevano a concentrarsi sui riassetti dell’equilibrio di potenza a livello globale, questo saggio si focalizza perlopiù sul significato che tali cambiamenti avranno sui meccanismi che regolano il mondo; mette in luce come l’ascesa di nuove potenze muterà le idee e le regole che indirizzano la politica, l’arte di governare, la pace e la guerra e il commercio.7 Infine, il presente libro è il primo a sostenere che il mondo prossimo venturo non sarà dominato da un singolo paese o una singola regione. Alcuni osservatori prevedono che la comunità globale adotterà senza riserve i valori e la concezione di ordine internazionale dell’Occidente, mentre altri annunciano l’avvento di un «secolo asiatico». Questo saggio argomenta che il mondo del futuro non avrà un singolo centro di gravità. Nessuno controllerà il mondo.
Per comprendere la natura dell’attuale transizione di potenza globale, e gli effetti che porterà con sé, è necessario analizzare il precedente punto di svolta: l’ascesa dell’Occidente. Di conseguenza, questo libro approfondirà prima di tutto l’affermazione dell’egemonia occidentale tra il 1500 e il 1800. Mostreremo come l’Occidente abbia percorso un cammino unico e irripetibile, segnato da fattori contingenti e, paradossalmente, determinato da una particolare condizione di debolezza politica. Il principale elemento che indirizzò l’Europa sulla strada dell’ascesa fu il fermento socioeconomico. Nel contesto del frammentario sistema politico dell’Europa medievale, una nascente classe media di mercanti, imprenditori e intellettuali sfidò il potere di monarchia, nobiltà e clero. La borghesia emergente fu l’avanguardia della Riforma protestante, che promosse la tolleranza religiosa e consentì la separazione fra stato e chiesa.
A questa fase seguì la comparsa del governo rappresentativo, e la combinazione tra le idee di emancipazione prodotte dalla Riforma e i costi crescenti associati alla nascita dello stato moderno costrinse i sovrani a condividere il potere con i propri sudditi per avere accesso alle loro risorse materiali e capacità. La nascente classe media gettò altresì le basi economiche e intellettuali della Rivoluzione industriale, che consolidò l’economia di mercato e diede vita al moderno nazionalismo laico mediante l’urbanizzazione, l’istruzione pubblica, la leva militare di massa e altre trasformazioni sociali prodotte dallo sviluppo industriale. Il nazionalismo fu il fratello gemello della democratizzazione, creando un tessuto connettivo che avrebbe mantenuto coesa la società attraverso il consenso piuttosto che la coercizione.
Questa dinamica di sviluppo socioeconomico emerse dapprima in Europa occidentale, per poi diffondersi in America del Nord tramite gli emigranti che si stabilirono nel Nuovo Mondo in cerca di opportunità economiche e libertà religiosa. A partire da quel momento, Europa e America del Nord forgiarono insieme il peculiare ordinamento politico occidentale, alla base del quale si distinguono tre principali attributi: democrazia liberale, capitalismo industriale e nazionalismo laico.8 «Occidente» iniziò così a indicare sia un’area geografica – le regioni che si affacciano sull’Atlantico del Nord –, sia una specifica comunità politica.
Gli attributi che definivano la particolare identità dell’Occidente furono anche ciò che consentì a quest’ultimo di staccare i propri avversari nella lotta per la supremazia. Ordinamenti più rigidi e gerarchici come l’Impero ottomano, l’India, la Cina e il Giappone impedirono le trasformazioni che invece portarono all’ascesa di Europa e America del Nord, consentendo all’Occidente di diventare il baricentro del pianeta fin dal XIX secolo. Per di più, la contemporanea ascesa delle democrazie atlantiche, che condividevano ordinamenti interni simili, ebbe come risultato un caratteristico approccio occidentale alla gestione degli affari globali. L’Occidente cercò di rendere universali i valori e le istituzioni che i paesi di cui si componeva avevano adottato; per ragioni d’interesse come di principio, Europa e America del Nord fecero grandi sforzi per esportare la democrazia, il nazionalismo laico e il capitalismo. Con la diffusione globale delle idee fondanti dell’Occidente, per la prima volta nella storia un’unica concezione di ordine si estese a gran parte del mondo. E la lunga fase di espansione di questo sistema dà argomenti a chi confida nel fatto che la via occidentale sia destinata a predominare ancora.
Una tale fiducia nella stabilità dell’ordine globale che ha il suo cardine nell’Occidente è però malriposta. La diffusione di questo sistema è stata in massima parte il frutto della supremazia materiale occidentale, e non del richiamo universale delle sue idee. Con la caduta dell’Unione Sovietica, in particolare, il sistema occidentale si è ritrovato senza veri concorrenti. I paesi in via di sviluppo, spinti anche da occasionali dimostrazioni di forza, hanno dovuto adeguarsi e seguire le regole imposte dall’Occidente. Tuttavia, ora che la supremazia materiale dell’Occidente sta svanendo, anche la sua egemonia ideologica è messa in discussione. Ovviamente è possibile che gli altri paesi, nonostante la loro ascesa, continuino a giocare secondo le regole stabilite dall’Occidente. Ma probabilmente ciò avverrà soltanto se i sistemi socioeconomici e i valori tipici di questi paesi si troveranno a convergere con quelli delle democrazie occidentali. In altre parole, la conservazione dell’ordine occidentale richiede che il processo di modernizzazione nei paesi emergenti produca una comunità omogenea di nazioni con caratteristiche simili a quelle occidentali.
Il problema è che gli attributi fondamentali dell’Occidente – democrazia liberale, capitalismo industriale e nazionalismo laico – non vengono riprodotti tali e quali dalle regioni che si stanno modernizzando. Il sistema capitalista ha certamente dimostrato il suo fascino universale; la maggior parte delle potenze emergenti – tra cui Cina, India, Turchia, Brasile – non stanno però replicando il percorso di sviluppo seguito dall’Occidente. Le caratteristiche socioeconomiche di questi paesi sono differenti, il che rende ben distinti i loro ordinamenti interni e i loro orientamenti ideologici. Di conseguenza, le potenze emergenti cercheranno di riformare – e non di consolidare – l’ordine internazionale formatosi sotto la tutela dell’Occidente. Queste hanno punti di vista diversi su temi quali le basi della legittimità politica, la natura della sovranità, le regole del commercio internazionale e la relazione tra stato e società. All’aumentare del loro potere materiale, cercheranno di rimodellare la struttura del sistema internazionale in conformità ai propri interessi e alle proprie preferenze ideologiche. Il percorso di sviluppo dei paesi emergenti rappresenta un’alternativa netta alla via occidentale, e non una deviazione temporanea dalla strada che porta all’omologazione globale.
Se l’ascesa dell’Occidente fosse stata il prodotto di una superiorità intrinseca e inevitabile, oggi il resto del mondo non potrebbe che adottare il suo paradigma, se non altro nella convinzione che rappresenti il modo più efficace per ottenere prosperità e sicurezza. Ma il successo dell’Occidente è stato determinato da situazioni contingenti, e non da una superiorità connaturata al suo modello.9 Il processo di modernizzazione si svolge oggi in un contesto globale profondamente diverso. Nel corso dell’ascesa dell’Occidente, la classe media fu il principale attore del cambiamento. Oggi, la classe media cinese è un baluardo dello status quo e non un fattore di innovazione politica. All’inizio dell’età moderna, il sistema internazionale era statico e inerte; il dinamismo poteva venire solo dal basso, e gli stati occidentali, più decentralizzati e pluralisti, erano più adatti a promuoverlo di quanto non lo fossero gli imperi gerarchici. Oggi, il sistema internazionale è interdipendente e permeabile; gli stati più centralizzati, per certi versi, sono meglio equipaggiati per le sfide della globalizzazione di quelli più pluralisti. Benché le economie in cui lo stato ha un ruolo predominante scontino una serie di fragilità nel campo dell’innovazione, la recente crisi economica ha dimostrato ampiamente come l’approccio occidentale alla gestione della finanza non sia privo di imperfezioni. Nell’attuale, multiforme sistema globale, a ciascun modello di stato si associano vantaggi e svantaggi differenti. È per questo motivo che il XXI secolo vedrà la proliferazione di numerose versioni della modernità e non una convergenza generalizzata sulla falsariga dell’Occidente.
Anche in questo variegato panorama globale è certamente possibile – forse persino probabile – che la democrazia liberale continui a diffondersi. Questo è di certo ciò che è accaduto, anche se lentamente, nei due secoli passati, e la tensione verso l’autonomia e la dignità sembra essere un tratto umano universale, come la Primavera araba ha di recente dimostrato. Tuttavia, anche se la democrazia contin...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Premessa
  3. 1. La svolta
  4. 2. L’ascesa dell’Occidente
  5. 3. L’ultima svolta Come l’Occidente eclissò il resto del mondo
  6. 4. La prossima svolta L’ascesa del resto del mondo
  7. 5. Le alternative alla via occidentale
  8. 6. Rinvigorire l’Occidente
  9. 7. Governare un mondo che nessuno controlla
  10. Note
  11. Bibliografia