Il raccolto rosso 1982-2010
eBook - ePub

Il raccolto rosso 1982-2010

  1. 379 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il raccolto rosso 1982-2010

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Questo libro è un lungo viaggio cominciato quasi trent'anni fa. La prima immagine viene da Palermo: un altoparlante fissato al tettuccio di una piccola Fiat 127 che diffonde l'Inno alla Gioia di Beethoven e i braccianti che si scoprono il capo di fronte alla bara. Erano gli epici funerali del comunista Pio La Torre ucciso dalla mafia. Poi vennero Dalla Chiesa, Buscetta, Falcone, Riina, Provenzano, Borsellino, Andreotti, la più spaventosa catena di bombe e delitti che un paese d'Europa abbia conosciuto dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Era il "raccolto rosso": la mietitura con sangue. I tempi in cui sembrava che stesse per venire giù tutto, ma anche che avremmo potuto vincere e liberarci di Cosa Nostra. Enrico Deaglio ha ripreso il viaggio da dove lo lasciò nel lontano 1993, per raccontare il più imprevisto secondo tempo del film. Un lungo inganno perpetrato ai nostri danni, la trattativa segreta tra i vertici dello Stato e quelli della mafia, la Seconda repubblica nata nel sangue e sugli schermi della televisione. Qui compaiono attori che nel primo tempo non si erano visti sulla scena: Ciancimino jr., Berlusconi, Dell'Utri, Gardini, Mangano, gli enigmatici fratelli Graviano e il loro killer di fiducia Gaspare Spatuzza. Misteri, trattative, soldi che hanno accompagnato l'ascesa economica e politica del crimine: ovvero le tristissime conseguenze di una lontana guerra di mafia. Questa è una storia d'Italia che era destinata a rimanere sconosciuta.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il raccolto rosso 1982-2010 di Enrico Deaglio in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Scienze sociali e Criminologia. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2010
ISBN
9788865760055
Categoria
Criminologia
art
Un manoscritto tra i materassi
Palermo, 1987. Giravamo in elicottero sopra la città. Mare, giardini – la parola con cui i siciliani chiamano gli agrumeti – cemento; la sontuosa nettezza delle coste, il disordine sfacciato dei villini incompiuti.
Avevamo volteggiato anche sopra la famosa contrada Ciaculli e sul «fondo Favarella» del papa della mafia Michele Greco. Non distante dalla casa del papa, sulla strada che porta al quartiere Brancaccio, ci eravamo fermati sopra una villa. Dietro una grande inferriata, una costruzione pretenziosa, con archi, porticati, palme, cortiletti. Scendemmo di quota. La villa, non ultimata, appariva «vandalizzata»: i vetri erano rotti, gli infissi scardinati. Sul grande cancello di ferro battuto, con la vernice era stato scritto un insulto: «Suca».
«È la villa che si stava facendo costruire Totuccio Contorno» mi spiegò il pilota. «Da quando si è pentito, gliel’hanno sfregiata. È abbandonata, da anni non ci viene nessuno.»
Totuccio aveva fatto coscienziosamente il soldato della mafia, ma poi, all’inizio della «grande guerra», era diventato pericoloso per i suoi sodali. Per stanarlo avevano ucciso ben trenta persone a lui vicine, tra parenti e amici. Lo arrestarono a Roma nel 1982 e decise di parlare l’anno successivo, poco dopo Tommaso Buscetta. Le sue deposizioni al maxiprocesso mandarono in galera centinaia di mafiosi. Visse per un po’ protetto dalla polizia, poi se ne scappò e tornò a Palermo. Lui, la partita non la considerava affatto chiusa; inoltre voleva controllare che cosa ne era stato della villa, il sogno della sua vita. Probabilmente riuscì a vederla, prima di essere nuovamente arrestato. Con quell’insulto sul cancello padronale.
Quando tornammo a terra, all’aeroporto di Boccadifalco, il colonnello Trozzi, di Pescara, mi mostrò l’album in cui erano ricordati tutti i servizi resi dagli elicotteristi della polizia: avevano ritrovato dispersi del terremoto in Irpinia, salvato naufraghi, trasportato bambini da operare urgentemente. Il tutto era custodito in tanti ritagli di giornale conservati sotto la plastica. Nell’ultima pagina dell’album, un breve testo, scritto con una grafia molto incerta. Eccolo:
Giovinotti e signorini che dovete maritari, un consiglio da pigliari per non farivi inchanari. Che una giovani sfortunata per non avere nessun prezzo fu da un giovani inchanata. Il suo innamuratu è pattitu per la Merica, ma dopo cinque anni è tornatu in Italia per sposare unaltra giovani, e lora la ragazza era già stata inchanata, si prepara un bel vestitu ma da giovani eleganti e un mazzi di fiori e si presenta ladavanti ma con modi preziosi e parlandoci damore nel petto gli sparò. Così lei in galera e lui morto. Così siamo pari.
«Strana storia, vero?» mi disse Trozzi. «Questo foglio l’ho trovato nel corso di una perquisizione alla ricerca di un latitante. Entrammo in una casa abbandonata, un “covo freddo”, a Ciaculli, vicino a dove siamo stati poco fa. Non c’era nient’altro di particolare in quella casa. Il foglio scritto a mano e i materassi per terra.»
Già, i materassi: «si va ai materassi», «siamo ai materassi». L’espressione viene dal film Il Padrino. Quando le famiglie mafiose cominciano le loro periodiche guerre, occorre che i soldati cambino indirizzo e si tengano pronti. In anonimi appartamenti vuoti, dove ci sono solo materassi per terra. Lì si aspetta. Doveva essere stato così anche in quel «covo freddo» di Ciaculli: tre o quattro uomini in una stanza, con i materassi per terra. Per proteggere qualcuno. Per sorvegliare qualche movimento. Oppure chiusi dentro perché a rischio di essere ammazzati.
Quelle poche righe – il «manoscritto di Ciaculli» – costituiscono uno dei pochi scritti provenienti dal mondo della mafia. Chissà di chi parlava l’estensore. Di sua sorella? Di un suo cugino? Di una storia che non lo riguardava, ma che lo aveva colpito?
E l’autore del manoscritto di Ciaculli, che fine avrà fatto? Il testo è databile ai primi anni ottanta, ai tempi della «grande guerra» di Palermo. Si può immaginare che fosse un giovane, ma probabilmente non un giovanissimo. Di scarsissima istruzione, però affascinato dallo scivolare della penna sulla carta. Me lo immagino triste, fatalista. Forse è in una delle fotografie di mafia, quelle che mostrano cadaveri sulle strade o riversi dentro le automobili. Forse è scomparso, un desaparecido. In Sicilia, i cadaveri che contano sono solo quelli eccellenti. La «malacarne» può scannarsi a piacimento. Di tutti quei morti l’Italia non ha mai voluto occuparsi. Vengono da un altro mondo, che con il nostro ha pochi contatti. Appaiono sui giornali, quando appaiono, in poche righe. Vengono «da sotto», si ammazzano tra di loro. Sono sepolti con riti antichi. In un cimitero di Reggio Calabria ho visto una tomba in cui il morto, un ragazzo, è raffigurato a cavallo. Era un ragazzo di malavita, ammazzato. Gli piaceva molto andare in motocicletta, così, per nobilitarlo, i parenti lo hanno messo in groppa a un destriero.
La Sicilia, la Calabria, la provincia di Napoli, negli ultimi dieci anni sono state il teatro di una strage. Ho provato a mettere in colonna i morti delle guerre, dei regolamenti di conti, delle faide, delle «lupare bianche» e sono arrivato – si fa fatica a crederlo – a un totale di diecimila persone. Una guerra civile che l’Italia è riuscita a tenere nascosta, ma che non ha paragoni con nessun’altra parte d’Europa. La guerra irlandese, con i suoi tremila morti in vent’anni, appare poca cosa. La lotta per l’indipendenza dei Paesi Baschi ancora più minuscola.Ai bordi dell’Europa,la stessa Intifada palestinese, peraltro ogni giorno seguita, quasi istigata, è ben più piccola e circoscritta della strage nel sud dell’Italia. C’è voluta la guerra civile nella ex Jugoslavia per costringerci a ricordare come cominciano le guerre e come poi sia impossibile fermarle. Da noi nessuno ha voluto vedere, o capire. Nessuno ha pensato che si dovesse intervenire. Quei «morti degli altri», quei morti lontani hanno però fatto da concime alla ricca Italia degli anni ottanta. Hanno proceduto di pari passo aumenti di faide e aperture di sportelli bancari; regolamenti di conti ed espansione edilizia; lupare bianche e centri commerciali, sottoscrizione di Bot, consumi e benessere crescente.
Questo libro si occupa del periodo che va dal 1982 al 1993, racconta di quello che ho visto percorrendo i gironi bassi. Racconta della mafia e del lungo inganno, del lungo sonno, del furbo silenzio che ne hanno consentito l’ascesa. Solo ora scopriamo che la mafia ha cambiato la nostra vita. In peggio. Scopriamo anche che il sud della mafia e il nord delle tangenti sono mondi pericolosamente contigui. In queste pagine compaiono uomini che – per scelta, per caso o per mestiere – sono venuti a trovarsi, dimenticati o abbandonati, su un fronte di guerra non dichiarato, a far la parte dei disturbatori. Compaiono assassini sfrontati, vittime inconsapevoli, spettatori con troppi alibi. Molte persone sono morte in silenzio, e dopo brevi lamenti o deprecazioni sono state dimenticate. Altre sono state esaltate solo dopo la morte. Non tutte hanno una lapide. Ci sono anche i protagonisti di una nuova, aggressiva e cupa Italia, di una nuova classe sociale nata senza storia dal cimitero della guerra civile del sud. I loro tic, le loro ambizioni, in genere modeste, ma perseguite con ferocia. I percorsi del loro denaro.
Raccolto rosso (Red Harvest) è un romanzo dello scrittore americano Dashiell Hammett, scritto nel 1929. La trama è semplice. Un detective arriva nella cittadina mineraria di Personville dove, anni prima, il padrone aveva assoldato una banda di gangster per porre fine a uno sciopero dei minatori. Questi avevano svolto il compito, ma poi non se n’erano andati come da contratto. Al contrario, piano piano si erano presi la città. Quando il detective arriva, l’uomo che l’aveva assunto per fare pulizia è stato appena assassinato. Il detective potrebbe quindi andarsene, ma rimane. Nota che i poliziotti hanno la divisa in disordine, la barba lunga; che gli abitanti chiamano Personville «Poisonville», la città del veleno. Scopre che i gangster stanno cominciando a litigare tra di loro. Nei primi capitoli si susseguono una ventina di omicidi e compare una ragazza che ama solo i soldi, possiede un fascino irresistibile e ostenta calze smagliate. Il detective entra nella contesa e dà una mano alla progressione dei delitti, fino alla «tabula rasa» finale: il raccolto rosso. Rosso sangue, appunto. Il libro ebbe molto successo negli Stati Uniti, dove è considerato un classico dell’indagine sulla «corruzione e sulla violenza presenti nella società americana». In Italia è stato pubblicato con il titolo Piombo e sangue e non è molto conosciuto. Era presente però nelle librerie di Leonardo Sciascia e di Giovanni Falcone; e a tutti e due, senza sapere l’uno dell’altro, accadde di prevedere un futuro «raccolto rosso».
art
IL TEATRO DELLA GUERRA
I luoghi di cui si parla nel libro, teatro di una guerra ancora per molti versi sconosciuta. Rispetto all’inizio degli anni ottanta, in cui la mafia si voleva esclusivamente concentrata nelle province di Palermo e Agrigento, si nota la diffusione del campo di battaglia su tutta l’isola. Sono segnalate alcune localizzazioni importanti nella storia che viene raccontata: i piccoli, ma strategici centri di Salemi, Corleone, Palma di Montechiaro, Canicattì, Castelvetrano, Alcamo, Montelepre, Gela. Dal paese di Siculiana le frecce indicano il percorso del clan Cuntrera-Caruana verso Venezuela, Canada, Svizzera. Da Trapani e Castellammare del Golfo, la via delle locali famiglie mafiose verso gli Stati Uniti. Sulla costa sudorientale evidenziano le zone di approdo della morfina proveniente dall’Oriente, destinata alla raffinazione nell’isola, e poi all’esportazione. Le frecce su Palermo seguono il flusso di ritorno finanziario del traffico di eroina.
art
1. Beethoven in piazza Politeama
«Ciao, compagno La Torre!»
Palermo, maggio 1982. In piazza Politeama d’improvviso silenziosa, la cerimonia si preannuncia con l’arrivo di una Fiat 127 che avanza lentamente. Sul tetto ha un altoparlante che diffonde le note della Nona di Beethoven. L’Inno alla Gioia, la grande civiltà della musica, ma anche la colonna sonora del film Arancia meccanica.
Passano alcuni minuti e compare il corteo funebre. Ora echeggiano le note dell’Inno del Lavoro e dell’Internazionale, suonati da una banda musicale composta di uomini tutti straordinariamente piccoli. Ed ecco le due berline nere ornate di cordoni, conchiglie, angeli di gesso, tutti dorati. Camminano appaiate, coperte di corone di fiori. Seguono i sindaci comunisti siciliani con la fascia tricolore, i corazzieri, un gruppo – non folto – di dirigenti nazionali del Pci, una rappresentanza di operai siderurgici con il caschetto giallo.
Ai lati della strada, i braccianti con larghi gesti si tolgono la coppola e tenendola a braccio teso in aria, gridano: «Addio La Torre!», «Ciao, compagno La Torre!».
All’incrocio con via Michele Amari, le due berline delle pompe funebri si fermano. Per un attimo, il metallo verniciato di nero, gli orpelli dorati, i caschi gialli degli operai dell’Italsider di Taranto e il corpo di una ragazza dalla schiena inarcata – la testa di capelli bruni rovesciati all’indietro singhiozzando – compongono un gruppo statuario del dolore. Un attimo, il tempo di far passare sulle strisce pedonali un gruppo rispettoso di turisti olandesi, in sandali e calzettoni spessi di lana. Fotografano compunti l’apoteosi del folklore del sud: il comunista ammazzato dalla mafia, i contadini con le coppole che seguono a passo lento, il mistero che perdura.
In Sicilia si va in vacanza d’estate o quando ammazzano qualcuno di importante. Questa volta hanno ammazzato Pio La Torre, segretario regionale del Pci siciliano. È successo il 30 aprile. La Torre e il suo autista Rosario Di Salvo stanno attraversando il quartiere della Zisa a bordo di una Fiat 132, quando vengono affiancati da una motocicletta. Partono raffiche di mitra. Di Salvo estrae la rivoltella e spara anche lui, ma i suoi colpi vanno a vuoto. I due uomini vengono ritrovati coperti di sangue, con un’espressione irritata sulla faccia. Di Salvo ha una gamba rigida che esce dal finestrino. Dopo mezz’ora arriva una telefonata anonima che rivendica l’attentato a nome dei Gruppi proletari organizzati, o qualcosa del genere. Domani è il Primo Maggio. Primo Maggio rosso.
Era da trent’anni che in Sicilia non veniva ammazzato un dirigente comunista. In piazza Politeama parla Luciano Lama. Avrebbe dovuto parlare in piazza Duomo a Milano, ma l’hanno dirottato qui: è teso, spaesato. Ad ascoltarlo ci sono poche migliaia di persone e lui non riesce a entrare nel clima. Il suo discorso è pieno di problematiche padane, inflazione, cassa integrazione, trattative con la Confindustria. La gente è raccolta sotto il palco, mentre alla fine della piazza, all’inizio di via Ruggero Settimo, i clacson spingono una coda pigra di automobili che escono dalla città per la gita in campagna.
Stonehenge a Portella della Ginestra
Il Primo Maggio, i comunisti del palermitano lo festeggiano per tradizione su un vasto pianoro tra Piana degli Albanesi e San Giuseppe Jato, chiamato Portella della Ginestra. È un appuntamento che risale agli anni venti, quando il fondatore dei Fasci Siciliani, Nicola Barbato, saliva su un sasso e parlava ai contadini vestiti a festa, venuti insieme alle famiglie dai paesi con muli e cavalli. Barbato morì nel 1924 e il sasso si chiama da allora «il sasso di Barbato».
A Portella, il Primo Maggio del 1947 ci fu la famosa strage. Alla Camera del lavoro di Piana degli Albanesi si possono ancora incontrare alcuni sopravvissuti alla sparatoria, che la storia di quel giorno l’avranno raccontata mille volte.
«Erano gli uomini del bandito Giuliano; spararono dal monte Pizzuta, indossavano tutti degli impermeabili bianchi, in modo da apparire tutti uguali, tutti la stessa persona – chi dice per non farsi riconoscere, chi dice perché tra di loro c’erano degli americani, o gente dello Stato. All’inizio pensammo che fossero dei mortaretti, poi vedemmo cadere un cavallo. Poi sentimmo gente che gridava. Tutti scappavano o si nascondevano. I cadaveri rimasero nel pianoro per ore, insieme ai feriti che si lamentavano, fino a quando arrivò un camion della cooperativa.»
Piana degli Albanesi è rimasta comunista; alle elezioni si comporta come una Bologna del sud. I comunisti di Piana partecipano a tutte le manifestazioni del partito, dicono che ci vorrebbe Stalin per mettere le cose in ordine. A chi viene da Roma chiedono se può intervenire per certe loro pratiche pensionistiche, bloccate al ministero da un «covo di neri».
Quest’anno, a causa dell’omicidio di Pio La Torre, la manifestazione a Portella è stata sospesa. Si farà il 30 maggio. Ma la trattoria di Piana, la roba l’aveva già comprata. «Povero cristiano lui che l’hanno ucciso, ma meschina anch’io che non ho lavorato» si lamenta la proprietaria. Da quattro anni, nel trentennale della strage, il luogo dove caddero i braccianti è diventato un sacrario. Sono stati posti dei massi, alti fino a tre metri, di marmo locale. Intorno cresceranno delle ginestre, davanti è stato asfaltato un grande piazzale per parcheggiare le auto. Il luogo è diventato una Stonehenge politica-preistorica-moderna.
Fa freddo. Una nebbia scozzese è calata sulla vasta conca. Ai suoi lati, misteriose salgono dal niente due immense costruzioni in cemento. Due ciclopiche curve da ottovolante, appena abbozzate. Quando cemento si unirà a cemento, costituiranno le uscite di San Giuseppe Jato e Altofonte della nuova strada a «scorrimento veloce» Palermo-Sciacca. Si sussurra che non servano a nulla; qualche spiritoso dice che però garantiranno una via di fuga veloce alle Bmw dei mafiosi, oppure collegheranno rapidamente con Palermo gli sportelli bancari della Cassa rurale di Altofonte, una banca che straripa di depositi da eroina.
Il sacrario è stato eretto, ma ancora non si sa chi ordinò la strage di Portella della Ginestra. Certo furono gli uomini di Salvatore Giuliano a sparare. Ma i «mandanti»? Chi ha fatto sparire i «memoriali» con la verità? Chi ha consegnato Giuliano morto allo stato? E chi ha ucciso in carcere Gaspare Pisciotta, che aveva gridato di voler finalmente raccontare la «vera» verità?
...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Presentazione
  3. Primo Tempo 1982-1993
  4. Secondo Tempo 1994-2010
  5. Titoli di coda protagonisti, musiche, effetti speciali di Andrea Gentile
  6. Ringraziamenti