Maschere grottesche
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Maschere grottesche

L'informe e il deforme nella letteratura dell'Ottocento

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Maschere grottesche

L'informe e il deforme nella letteratura dell'Ottocento

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«Nel pensiero dei moderni, il grottesco – scrive Victor Hugo nella Prefazione al suo Cromwell – ha una parte immensa. È dovunque: da un lato crea il deforme e l'orribile; dall'altro il comico e il buffonesco». Partendo dalla lettura di questo testo, il libro studia le metamorfosi della rappresentazione grottesca nella letteratura europea, e non solo, alla luce del trauma irreversibile provocato dalla Rivoluzione francese. Con la presa della Bastiglia si assiste a uno scatenamento irrefrenabile di forze distruttive che attaccano e uccidono ogni presunto colpevole, reale o fantasmatico che sia, il più delle volte prodotto da un'immaginazione sovraeccitata, come se i confini tra il possibile e l'impossibile fossero andati irrimediabilmente in frantumi. Dall'evento cruciale della decapitazione del re sotto la ghigliottina iniziano a diffondersi i germi dell'orrore che contagia, divora, deforma ogni cosa. Ed entra in scena il legame decisivo tra il sangue versato e la malattia, tra la violenza e l'aberrazione. L'attesa della morte, tanto reale quanto immaginaria, trascina la coscienza in un vortice di allucinazioni, sussulti visionari, deliri e incubi che dilatano la stabilità di ciascuna fisionomia psichica, estendendola verso direzioni sempre difformi rispetto alle norme codificate: grottesche, appunto. Proprio qui, in questo sottosuolo affollato di fantasmi e di lugubri oroscopi – perlustrato, intanto, dalla psichiatria di Esquirol e dei suoi successori – vengono a incrociarsi le traiettorie di alcuni tra i grandi protagonisti della narrativa ottocentesca: da Hoffmann a Poe, Nodier, Hugo, Balzac e Manzoni. Tutte traiettorie labirintiche, quanto le spirali tracciate da Piranesi nelle Carceri: figurazione esemplare di questo tracollo delle forme, destinate ormai a convivere con la propria ombra negativa, dove il tragico si intreccia con il mostruoso.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788868438210
Argomento
History
Categoria
World History

III. Il deforme in scena

Una certa quantità di esagerazione è essenziale a una appropriata rappresentazione della vita.
(E. A. Poe)

1. Cartografie del grottesco.

«La deformazione – scrive Hugo nel 1866 – ha le sue linee»1, e lo scrittore lavora la materia allo stesso modo in cui l’arenaria incide sulla pietra fisionomie irregolari e proteiformi:
Il grès è il minerale più gradevole e col più strano impasto che ci sia. Sta alle rocce come l’olmo agli alberi. Non c’è aspetto che questo non assuma, o fantasia che non abbia; non c’è sogno che non renda reale; possiede ogni figurazione, fa qualunque smorfia. Sembra animato da un’anima plurima. Scusate ciò che dico a proposito di questa cosa. Nel grande dramma del paesaggio, interpreta una parte propriamente fantastica; a volte è maestoso e austero, a volte buffonesco; si piega come un lottatore, si aggomitola come un clown; è una spugna, un pudding, una tenda, un capanno, un ceppo d’albero […]. L’antichità che amava le allegorie perfette, avrebbe dovuto fare in grès la statua di Proteo2.
Niente vieta, a questo punto, di considerare il «grés» come un’icona della raffigurazione grottesca in cui le diverse forme convergono e si sovrappongono, integrandosi ma, nello stesso tempo, modificandosi radicalmente. L’artista, simile a uno stregone, si impadronisce della sostanza inerte, la scuote, la galvanizza; prolunga con la sua immaginazione le linee tormentate, i profili tumefatti, le figure anarchiche congelate nella natura e, tramite effusioni o dilatazioni improvvise realizzate di volta in volta con tecniche diverse, riproduce la mostruosità naturale trasformandola in una maschera. L’effige, costruita con rigore, è nello stesso tempo emblema di uno slittamento imprevedibile; nato dallo scontro fra l’arbitrio e la forma, riporta alla luce l’immagine del caos e del disordine.
Il deforme costituisce, allora, il nucleo originario dell’atto creativo intento a catturare «la terribile incertezza del sogno» congiunta – afferma Hugo – «al principio delle cose»3, quando esse non hanno ancora assunto tratti precisi e definiti ma al contrario oscillano «dall’informe al difforme»4. Cristallizzare questo attimo è il nuovo obiettivo dell’arte romantica, che avverte l’urgenza di capovolgere e di trasgredire l’equilibrio professato dall’estetica classica, attribuendo un corpo all’informe e una forma al difforme. In tal modo le agonie della storia possono lasciare la loro impronta e manifestare le lacerazioni provocate dalla Rivoluzione francese attraverso una mimesi paradossale, che secondo Friedrich Schlegel finisce per costituire la sua estrema essenza:
Si può considerare la Rivoluzione francese come il più grande e notevole fenomeno della storia degli Stati, come un terremoto quasi universale, una smisurata inondazione del mondo politico oppure come l’archetipo delle rivoluzioni, come la rivoluzione tout-court. Questi sono i punti di vista comuni. Ma la si può anche considerare come il fulcro e il culmine del carattere nazionale francese, là dove i suoi paradossi si concentrano; come il terribile grottesco dell’epoca in cui i suoi più profondi pregiudizi e le sue più violente vendette si sono mescolate in un terribile caos, si sono intrecciati nel modo più eccentrico possibile, in una mostruosa tragicommedia dell’umanità5.
L’occhio di Hugo sembra immergersi nel terribile caos degli eventi descritto da Schlegel, registrare la devastazione e i disastri che una simile esplosione ha prodotto, soffermandosi, con pathos ossessivo, sui supplizi da essa provocati, come se la tortura del corpo che la ghigliottina aveva tentato di annullare nella realtà riaffiorasse di colpo sulla scena dell’immaginario. Il grottesco restituisce in effige la profanazione del sacro e riporta alla ribalta il terrore del sepolcro che si dirama lungo la traiettoria indicata da Bodei, dove «l’amorfo, l’asimmetrico, il disarmonico, lo sfigurato, il ripugnante e il diabolico»6 risultano i connotati peculiari della fenomenologia ottocentesca del «brutto». Proprio seguendo questa strada il caos può diventare una sorgente di creatività, mentre il divino finisce per contaminarsi con l’orrore e il prodigio ha la possibilità di assumere le sembianze del mostruoso.
Non c’è da stupirsi, allora, dello scalpore che suscitò nel 1827 la Prefazione a Cromwell di Hugo, tanto da funzionare, agli occhi della nuova generazione di scrittori rivoluzionari e anticonformisti per programma, disposti ad affermare l’idea di una cultura, a loro dire, romantica – ricorda Gautier, con una certa commozione frammista a entusiasmo – «come le Tavole della Legge sul Sinai, e i suoi argomenti ci sembravano senza replica»7. Proviamo a entrare in quella specie di decalogo per trarne alcune indicazioni per il nostro itinerario. Si tratta di un saggio carico di responsabilità su quello che si sarebbe svolto negli anni a venire, anche se le idee esposte non sono sostenute da un ragionamento rigorosamente sistematico, ma, al contrario, sembrano lasciate liberamente convivere e respirare senza essere ricondotte con ingegnose forzature a un solo denominatore. L’epicentro è costituito da una polemica contro il classicismo. Le sue regole ormai conformi a una logica astratta e rigorosa devono irrimediabilmente piegarsi, in questa prospettiva, a un’altra logica che si serva di strumenti diversi per rappresentare il dramma moderno. Il nuovo attrezzo è individuato nel grottesco, «la più ricca sorgente che la natura possa mettere a disposizione dell’arte»8, a cui viene affidata una potente deflagrazione dell’universo monolitico e monumentale edificato lungo i secoli dall’epica degli antichi. La prima scossa tellurica che ha profondamente mutilato quegli imponenti e marmorei edifici, fino a creare una voragine irreversibile è l’avvento del cristianesimo, che costituisce agli occhi di Hugo la grande rivoluzione copernicana della storia. Ascoltiamolo:
Il cristianesimo conduce la poesia alla verità. Sulla sua scia, la musa moderna vedrà le cose in un colpo d’occhio più profondo e più vasto. Avvertirà che non tutto nella creazione è umanamente bello, che il brutto vi esiste a fianco del bello, il difforme vicino al grazioso, il grottesco al contrario del sublime, il male col bene, l’ombra con la luce. Si chiederà se la ragione angusta e relativa dell’artista deve avere la meglio sulla ragione infinita, assoluta del creatore; se spetta all’uomo rettificare Dio; se una natura mutilata risulterà più bella; se l’arte ha il diritto di sdoppiare, per così dire, l’uomo, la vita, la creazione, se ogni cosa si muoverà meglio quando le verranno tolti muscoli ed energia; se, infine, l’incompletezza è il mezzo che rende possibile l’armonia9.
Hugo, attraverso un formidabile cortocircuito fra il grottesco e il brutto, getta le fondamenta per una diversa concezione estetica dell’opera d’arte in netto contrasto con la tradizione precedente. Questo principio antagonistico, che ha l’effetto di disinnescare la staticità simmetrica delle forme confinate in una rigida suddivisione tra generi, estranei a ogni possibile promiscuità, risulta indispensabile per realizzare la commistione fra elementi contrapposti che già Schlegel aveva a suo tempo considerato il tratto dominante del genere romantico10. Hugo trova la legittimazione di un simile procedimento nella duplicità creaturale dell’uomo rivelata dal cristianesimo. Da quell’antitesi ontologica, e al contempo antropologica, si irradia una catena infinita di opposizioni, che appare il prolungamento di una inconciliabile dicotomia originaria attorno a cui gravita il groviglio romantico declinato nelle sue variegate tonalità. L’arte, al pari della natura, riproduce al suo interno le anomalie e le catastrofi; la genesi e l’apocalisse della creazione divina.
Così la Rivoluzione francese sembra aprire un vortice nell’ordine cronologico della temporalità storica provocando una sorta di «risorgiva»11 – avrebbe detto Francesco Arcangeli – che riporta alla luce la forza dirompente del grottesco: connaturato alla civiltà cristiana, per quanto sopito da tempo.
Il patetico non sarà, dunque, più considerato «estetico solo quando sublime» secondo l’indicazione di Schiller che, rielaborando alcune intuizioni di Kant, postula l’autonomia della coscienza morale rispetto alla dimensione sensibile. In tal modo l’eroe tragico, e di pari passo lo spettatore, resta immune dalla sopraffazione del dolore in virtù della sua capacità di resistenza che gli consente di sorvegliare l’impatto emotivo, come se la sofferenza, per venire rappresentata, avesse bisogno di essere soffocata dalla «ragione»12. Al contrario, nell’ottica di Hugo, il principio dinamico del dramma romantico, fondato sul conflitto insanabile tra anima e corpo, diventa il nucleo di un campo gravitazionale da cui trae origine la «rappresentazione della realtà»13 che «scaturisce dalla combinazione assolutamente naturale di due tipi, il sublime e il grottesco»14. Tale amalgama ricodifica completamente i parametri della forma classica, ormai logora, riplasmandoli sulla base di canoni del tutto innovativi e destabilizzanti: «Il grottesco, il brutto e il deforme»15 irrompono sulla scena devastando l’immaginario colossale o monumentale dietro cui prima si nascondevano. Una volta decretata la fine di ogni loro dissimulazione, il grottesco imporrà la sua presenza sovversiva fino a oscurare, in parte, il sublime, che si ritroverà così inevitabilmente compromesso con «le passioni, i vizi e i crimini»16 dell’umanità.
L’ostracismo estetico che aveva prima d’ora incontrato una simile mescolanza di protocolli, tale da provocare i più imprevedibili innesti e ibridazioni all’interno di una stessa opera, mette in luce uno dei contrassegni più comuni della scrittura romantica: l’intreccio indissolubile fra mimesi documentaria del reale e fantasia; fra osservazione dettagliata e immaginazione sfrenata. In questo binomio attorno a cui oscilla la raffigurazione drammatica della vita esiste – scrive Federico Bertoni – «una sorta di oltranza rappresentativa che tende semp...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Maschere grottesche
  6. I. L’eco della Rivoluzione francese
  7. II. Geografie dell’incubo
  8. III. Il deforme in scena
  9. IV. Ritrarre l’eccesso
  10. V. Corpi che non mentono
  11. Bibliografia
  12. Elenco delle illustrazioni