Storia del popolo albanese
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Storia del popolo albanese

Dalle origini ai giorni nostri

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Storia del popolo albanese

Dalle origini ai giorni nostri

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I sentieri che conducono all'attuale Albania partono dal mondo illirico, destinato a entrare in contatto, durante l'età antica, con i Greci, per essere poi dominato dai Romani. Da lì in avanti, gli albanesi conosceranno invasioni fugaci e stagioni d'eroismo, segnate in particolare, nel corso del Quattrocento, dalla mitica figura fondativa di Giorgio Castriota Scanderbeg. Seguiranno lunghi secoli di dominazione turca. L'indipendenza, sancita nel novembre 1912, dischiuderà la via a travagli nuovi, in un'Europa in guerra e tra nemici sempre aggressivi con l'Albania. Antico e duraturo il legame con l'Italia, specie con Napoli e Venezia; quella stessa Italia che, nel suo tardo sogno colonialista, annetterà lo Stato balcanico nel 1939. Dopo la fine della guerra, l'Albania entrerà nella sfera di gravitazione sovietica: saranno gli anni dell'esperimento stalinista di Enver Hoxha, seguiti, dopo la caduta del regime, dal ribollente caos del primo decennio di riconquistato pluralismo, e infine dagli attuali segni di ripresa. Unico Stato ateo al mondo durante il periodo conclusivo del regime, l'Albania è una terra in cui convivono quattro confessioni religiose. La quotidianità delle popolazioni montane è stata segnata per secoli da codici consuetudinari oggi ancora non del tutto dismessi. C'è, tuttora, una porzione d'Albania oltre confine (Kosova, Macedonia, Montenegro, Grecia settentrionale), mentre numerose antiche colonie albanesi punteggiano, orgogliose di sé, l'Italia del Sud. Il libro ripercorre tutti questi sentieri, e altri ancora, per offrire un quadro completo della realtà albanese, in un originale e inedito sforzo di sintesi.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788868438371
Argomento
Storia

1. La storia di due nomi

Paese […] pieno di nomi leggiadri.
Platone
A nominare per primo qualche cosa di albanico fu forse Polibio, il quale (Storie, II, 11, 15) parla di Árbon, città dell’Illiria. Lo segue, non già Strabone, la cui Albanía è quella caucasica, ma, nel II secolo d.C., Claudio Tolomeo, che colloca gli Albanói1 e la loro città di Albanópolis a oriente di Líssos (Alessio, Lezhë). Passano circa ottocento anni, e di Albanói, Albanítai, Arbanítai prendono a parlare Michele Attaliate, Anna Comnena e Giorgio Acropolita. Tenue e soltanto fonico il legame tra i lemmi antichi e quelli degli storiografi bizantini? Il fatto che tali voci siano comparse solo allora ha indotto molti studiosi a sentenziare che solo allora fosse comparsa anche la stirpe che denotano. Ora, giacché nessuno ha dato mai testimonianza d’immigrazioni albaniche in quei luoghi, né di allora né di quando che fosse, e giacché i popoli non nascono dalla terra né scendono dagli astri, chiara risulterà al lettore la perizia e l’imparzialità degli studiosi in questione. Ondeggiando tra il tema alb e il tema arb, comunque, il nome di Albania (Arbëria) era in sostanza nato, e vivo e solo rimase a designare l’insieme delle terre albaniche fino agli inizi del Settecento. Qui la voce Shqipëria ne prese il posto, ma non lo cassò del tutto, se è vero che esso seguitò ad essere utilizzato in questo o quel luogo, in relazione a questo o quel villaggio o territorio. Arbëria, invece, è oggi l’insieme dei paesini albanesi d’Italia, così come arbresh2 è il nome di chi li popola. Il lemma Shqipëria è ignoto tra gli arbreshë.
Ma da dove il toponimo Shqipëria? Infondata l’ipotesi che lo vuole derivato dal neogreco skippétton («piccolo schioppo»). Restano in campo tre tesi: quella che dice Shqipëria e Shqiptàr3 provenire dal latino excipere, che vuol dire, tra le tante altre cose, «comprendere»: e in questo caso gli schipetari sarebbero quelli che, tra un Settentrione e un Oriente slavi e un Meridione greco, s’intendono appieno tra loro e soltanto tra loro. La seconda, cara a Faìk Konìca4, pretende che il nome in questione venga da shkëmb, che vuol dir «masso», «rupe», «roccia». L’ultima lo fa derivare da shqiponjë («aquila»), animale totemico di tribù. A voler dirci certi che Pirro fosse un protoalbanese (si veda capitolo II), piacerà ricordare che, dopo una vittoria sui Macedoni, i suoi lo chiamarono «aquila». Uccidere un’aquila, in Albania, fu sempre un malo gesto. E un’aquila nera a due teste fa fiera mostra di sé nel rosso sangue del vessillo del Kastriota (Castriota) e della bandiera della moderna Repubblica d’Albania5.
 
1 Sui dittonghi dei nomi greci traslitterati abbiamo preferito porre l’accento là dove la voce cade per davvero.
2 Si pronuncia arbrèsh, e può pure scriversi arbëresh, mantenendo il segno grafico di una «ë» che non pronuncia più nessuno.
3 Shqiptar è attestato «per la prima volta come nome di persona in documenti del tardo XIV secolo», fa notare Noel Malcolm in Storia del Kosovo. Dalle origini ai giorni nostri, ed. it. a cura di M. Pagliano, Bompiani, Milano 1999, p. 60.
4 Cfr. F. Konica, Vepra (Opere), Dudaj, Tiranë 2001, 5 voll., II, pp. 185-7.
5 Per tutta la questione si veda il capitolo intitolato «Il nome del popolo», in E. Çabej, Gli albanesi tra Occidente e Oriente. Sulla nascita della letteratura albanese, trad. it. di A. Molla, Besa, Nardò s.d., pp. 9-23.

2. Dalla preistoria a Roma

Ormai chiunque fabbrica sulla sabbia delle leggende pelasgiche, condanna egli stesso la sua opera alla noncuranza dei critici.
Gaetano De Sanctis
Nei tempi in cui i dotti tracciavano per i loro popoli le linee della più nobile delle ascendenze, i dotti d’Albania e d’Arbëria sostenevano, bona fide e non certo per ozio, che gli albanesi della modernità discendessero da quei Pelasgi che Omero chiama «divini» (Iliade, X, 428). Fare discendere gli albanesi dai Pelasgi valeva fare di essi i più antichi abitatori del Mediterraneo. E lo erano davvero – a dare ascolto al mito! Il quale narra, tra l’altro e soprattutto, che il primo uomo partorito dalla terra dell’Attica, e partorito prima che la luna venisse ad adornare il cielo, fu un avventurato mortale chiamato Pelasgo, d’ogni pelasgo, appunto, progenitore1.
La preistoria predica invece per il Paleolitico l’assenza, sostanzialmente condivisa con gli interi Balcani, dell’Homo erectus e l’attestata presenza di quello di Neanderthal. Il Mesolitico vide l’introduzione, nelle zone costiere dell’attuale Albania, dei caprovini, mentre il Neolitico si rivela pienamente ceramico, per i non pochi ritrovamenti che testimoniano un intenso mutare della civiltà nel tempo2. Nell’Albania settentrionale si attesta il ritrovamento di mazzuoli litici e di scuri di rame e di bronzo «provvedute di un occhio per l’ammanicatura»3. Anche a Feniq sono stati ritrovati oggetti risalenti all’Età del bronzo nonché alla prima Età del ferro.
La storia dei Balcani si dipana tutta sullo scivoloso terreno del «c’ero prima io!». Per dimostrare questo primato si ricorre alle testimonianze più antiche, le quali però in verità dimostrano ben poco. Già Strabone, infatti, lamenta l’assoluta assenza di precisione dei poeti nel denotare questo o quel popolo, questa o quella terra. Il tutto è complicato – è Strabone stesso a dirlo – dal malvezzo che specie gli autori tragici hanno di chiamare un popolo con il nome di un altro. Ecco dunque i Troiani, i Misi e i Lidi essere chiamati Frigi; i Lici essere chiamati Cari; ed ecco che Sofocle appella, seguendo il costume tragico, Cilicia la Panfilia4. Il problema perdura nei secoli; anzi, nei millenni, e poesia non è imputabile di nulla. Intorno al 1650 l’arcivescovo di Durazzo (Durrës), Mark Skura, lamenta5 l’islamizzazione «della città di Durazzo in Macedonia». Ma Pjetër Bogdani (Pietro Bogdano) sa fare di più. Riesce infatti, nel titolo del Cuneus prophetarum, a chiamare epirotica la lingua albanese, e sé macedone6.
In altri tempi, quella dell’ascendenza pelasgica fu tesi in cui molti credettero: Malte-Brun, che ritiene i Pelasgi progenitori di molti popoli tra i quali pone il nostro; Giuseppe Crispi, che al pelasgico associava il frigio, ne faceva derivare l’antico macedone, e lo identificava con l’attuale albanese; e poi Dorsa, Schneider, Schleicher, Stier; il Camarda, che fa pelasgici l’albanese e il greco affratellandoli molto più del dovuto; Stanislao Marchianò, e con lui altri ancora. Vi credette il De Rada, che alla questione dedicò i suoi Antichità della nazione albanese, Conferenze sulla lingua albanese, Pelasghi e Albanesi, Caratteri della lingua albanese e suoi monumenti nell’età preistorica. In un po’ tutti questi autori, pur se divisi da specificità di metodo e profondità di dottrina, il filo del ragionamento è uno. Si parte da una parola albanese assai somigliante ad una greca o latina, e si dimostra che la parola greca o latina altro non è che il risultato evolutivo di una parola pelasgica rimasta più pura in albanese. Talvolta, a giustificare un lemma greco o latino son messe in gioco due parole albanesi. Paradigmatico il caso del greco Aphrodíte, spiegato con l’albanese (e perciò col pelasgico) afër ditës, che vuole dire «vicino al giorno». I Pelasgo-albanesi (così si giunse a chiamarli) avrebbero poi allietato di sé anche le terre italiche, fondandovi non poche città. Sarno, in Campania, sarebbe una di esse. «La parola Sarno appartiene all’idioma albanese, e consta dei due elementi Sar, voce del verbo Zër, che dinota incominciare, aver origine, e dalla voce No, preposizione accorciata di Nën, e significa sotto. […] Dalla unione delle suddette due voci si ha il seguente significato: Che incomincia, che ha origine, o che sorge sotto: alla quale preposizione è facile intendere il suo dipendente Monte, perché il monte è alla vista di tutti»7. Ci si potrebbe divertire a lungo in questo modo, ma sarebbe sadismo: volgare, poi, giacché Albania andava pure rifatta, gli strumenti d’indagine dell’epoca non erano affilati quanto i nostri, gli studiosi albanesi possono aver peccato per amore di etnia ma non per gretto nazionalismo8.
La teoria della derivazione pelasgica è oramai soffocata da quella che vuole gli albanesi discendenti dagli Illiri. Soffocata, ma non spenta del tutto, se è vero che ancora nel 1988 Saverio Salomone scriveva un libro per tornare a proporre la pelasgicità del nostro popolo9. Vi è poi chi fa derivare gli Illiri dai Pelasgi stessi, riportando la cosa al punto di prima, ma con una complicazione in più. È il caso, a tacer d’altri, di Nermin Vlora Falaschi, la quale, ispirata poetessa e buona autrice di romanzi, in uno studio intitolato Protolingua e pelasgo-illiro-etrusco10, sintetizza decenni di impegno e di pubblicazioni. E qui, dobbiamo ritornare ad essere sadici.
Le tesi portanti di Vlora Falaschi, che s’appella a studiosi preteriti o coevi, sono: i Pelasgi costituiscono il nostro orizzonte: più in là nulla sappiamo. Se ne concluderebbe che di essi sappiamo ogni cosa. Furono essi gli «inventori dell’alfabeto fonetico», asserisce la Vlora Falaschi. Benché ci pesi, è nostro dovere ricordare che il primo alfabeto fonetico fu codificato a Parigi sul finire del secolo XIX. I Pelasgo-illiri abitarono il Basso Lazio. Ne è prova il fiume Liri, il monte Liri, la città di Liri. Liri, infatti (ma va pronunciato lirì), in albanese vuol dire «libertà». È vero, ma che cosa mai prova? Più interessante è invece la decifrazione proposta dalla Vlora Falaschi dell’iscrizione etrusca arno se n yi na ie cume resa, che ella rende nell’attuale albanese arno se në yj na je kumtime reze-ve, ossia «creatore poiché nelle stelle per noi sei commemorazione degli Etruschi», e spiega come segue: «Creatore, poiché Tu appartieni alla dimensione divina, noi Etruschi Ti commemoriamo». Non ci par male, a mettere da parte gli arcignoti Pelasgi11. Il resto, però, non regge. «Gli Etruschi chiamavano se stessi Resa ed Etruria i loro territori», dice la nostra autrice. Non è proprio così, giacché, se gli Etruschi chiamavano sé stessi con voci somiglianti a «Resa», «Etruria» non è parola etrusca. Per lei, comunque, Resa si spiega con l’albanico rreze, che vuol dir «raggio», ed Etruria con E Truria che, venendo da tru («cervello»), starebbe per «...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Premessa
  6. 1. La storia di due nomi
  7. 2. Dalla preistoria a Roma
  8. 3. L’Albania cristiana
  9. 4. Dagli ori di Bisanzio al primo luccicare della Mezzaluna
  10. 5. Il primo moto dell’identità
  11. 6. Tra i turchi e la Regina dei mari
  12. 7. L’eroe
  13. 8. Gli arbreshë
  14. 9. Sotto il calzare della Mezzaluna
  15. 10. Tra le sbarre di un diritto non scritto
  16. 11. I decenni della luce negata
  17. 12. La nascita di uno Stato
  18. 13. Fan Noli e Zogu
  19. 14. L’occupazione italiana e la seconda guerra mondiale
  20. 15. L’Albania di Enver Hoxha
  21. 16. La transizione di Ramiz Alia
  22. 17. Oggi
  23. 18. Kòsovo o Kosòva?
  24. Conclusione
  25. Bibliografia