L'Italia delle donne
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L'Italia delle donne

Settant'anni di lotte e di conquiste

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L'Italia delle donne

Settant'anni di lotte e di conquiste

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Lunga è la strada per la piena assunzione del legame donne e democrazia. La battaglia per i diritti delle donne, fin dagli inizi del Novecento, ha avuto un carattere transnazionale, ma è stata più faticosa nel nostro paese. Il successo della partecipazione delle donne al voto per le prime elezioni dell'Italia repubblicana non sarebbe stato possibile senza quel risveglio femminile determinato dalla lotta di Liberazione, dall'organizzazione in partiti politici e dall'associazionismo. Un gruppetto sparuto, quello delle ventuno costituenti, che, pur appartenendo a schieramenti politici diversi, seppe applicare un gioco di squadra su temi come l'uguaglianza, la famiglia, il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, la parità salariale, l'accesso delle donne alle professioni. Furono le nostre madri costituenti a costituzionalizzare i diritti, a porre la prima pietra di leggi fondamentali per la vita quotidiana della nazione e per la sua modernità. Esse furono nutrici della pace e del sogno, ancora da realizzare, di un'Europa di popoli e di istituzioni garanti dei diritti delle donne. I saggi raccolti in questo volume, che vedono il contributo di studiose e protagoniste della politica italiana, ripercorrono le tappe principali del difficile cammino delle donne verso la partecipazione politica e l'acquisizione di una piena cittadinanza, mettendo in risalto il valore delle protagoniste di quelle battaglie civili e stimolando una riflessione sui compiti lasciati in eredità alla buona politica.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788868438418
Argomento
Storia

Parte prima

Le costituzionaliste dei diritti

Le donne e le più importanti leggi di attuazione della Costituzione

di Livia Turco

1. La Costituzione italiana e la promozione della cittadinanza femminile.

Lo studio delle riforme legislative costituisce un punto di vista prezioso e ancora poco esplorato in modo sistematico per realizzare una ricostruzione storica del rapporto tra le donne e le istituzioni e dell’impatto che le battaglie sociali, culturali e politiche delle donne hanno avuto sulla legislazione e sulle vicende politiche del nostro paese. Il fondamento di tale rapporto risiede nella Costituzione: c’è un legame molto profondo tra l’impostazione della Costituzione e la promozione della cittadinanza sociale, culturale e politica delle donne, poiché la Costituzione è stata ed è il fulcro teorico e pratico della cittadinanza femminile. Le donne costituenti, le associazioni femminili, le donne parlamentari sono state le «costituzionaliste dei diritti» perché si sono impegnate fin dal momento dell’entrata in vigore della Costituzione nella traduzione dei principi costituzionali in norme e leggi di riforma. Credo sia un fatto rilevante sul piano storico, politico e culturale che le prime leggi di riforma depositate in Parlamento nella prima legislatura repubblicana abbiano come protagoniste le donne e siano relative a temi cruciali della condizione femminile, come la tutela sociale della maternità e l’abolizione della regolamentazione della prostituzione: la legge Teresa Noce ed altri per la tutela sociale della maternità e la legge Lina Merlin per la lotta contro lo sfruttamento della prostituzione.
La nostra Carta costituzionale è il fondamento teorico e pratico della cittadinanza femminile, in particolare grazie a due cambiamenti paradigmatici: 1) il passaggio dall’individuo alla persona; 2) il passaggio da una visione formale a una visione sostanziale dell’uguaglianza alla cui definizione contribuirono in modo determinante le donne costituenti. La Costituzione del 1948 rientra in quella famiglia di costituzioni europee del secondo dopoguerra – a cui appartengono anche quelle francese, tedesca e spagnola – che condividono non soltanto un’identica origine (scaturiscono dal superamento del fascismo, dal rifiuto del dispotismo e della guerra) ma hanno fondamentali caratteri comuni che permettono di considerare i rispettivi regimi politici come differenti declinazioni della medesima forma storica di Stato, lo Stato costituzionale. Le implicazioni di questa contestualizzazione sono rilevanti per radicare la cittadinanza femminile nel cuore profondo dell’idea di Costituzione novecentesca e consentono di proiettare la vicenda dell’emancipazione femminile su uno sfondo che oltrepassa i confini degli Stati nazionali per abitare un processo più ampio che è identificabile con quello europeo.
Lo Stato costituzionale innova radicalmente la concezione dell’individuo e dello Stato, e il rapporto tra di loro previsto nelle Costituzioni dell’Ottocento e, per quanto ci riguarda, nello Statuto albertino. La cultura giuridica del XIX secolo era basata su un’antropologia che ruotava attorno a due figure: lo Stato e l’individuo. Lo Stato si concepiva naturalmente forte e autorevole quando anche non autoritario; l’individuo era considerato una figura privata. Per «individuo» s’intende: borghese, proprietario e, naturalmente, maschio. Com’è noto l’Ottocento riceve in eredità questa concezione di individuo dalla Rivoluzione francese. La ventata rivoluzionaria aveva relegato la donna nella sfera privatissima della famiglia. Così che l’accorato appello di Olympe de Gouges, autrice della Déclaration de droits de la femme et de la citoyenne, mise in risalto la radicale contrapposizione e la sostanziale alterità venutasi a creare tra una sfera pubblica dominata da un soggetto radicalmente nuovo, cioè il corpo politico, e una sfera privata basata invece sulla più antica delle formazioni sociali, ossia la famiglia. La rivoluzione pensa dunque queste due comunità – il corpo politico e la famiglia – in termini antitetici. La costruzione rivoluzionaria del rapporto tra uomo e donna, pertanto, non si pone nei termini di una subalternità della seconda rispetto al primo, quanto piuttosto in quelli di una presenza civile e politica del primo e di un’assenza civile e politica della seconda, che rimane confinata nella famiglia, luogo del privato. Un luogo, tuttavia, improntato a un rapporto autoritativo: se, infatti, tutte le principali codificazioni ottocentesche individuano nel marito il «capo della famiglia», il Codice civile italiano del 1865, ricalcando la disciplina del Codice napoleonico del 1804, si spingeva ben più in là, grazie all’infame istituto dell’autorizzazione maritale, così formulato nell’articolo 134: «La moglie non può donare, alienare, beni immobili, sottoporli ad ipoteca, contrarre mutui, cedere o riscuotere capitali, costituirsi sicurtà, né transigere o stare in giudizio relativamente a tali atti, senza autorizzazione del marito»; con due uniche eccezioni, legate alla condizione soggettiva della moglie e previste dall’articolo 135: la condizione di separazione per colpa del marito e l’esercizio da parte della moglie della mercatura. Se è vero dunque che il Codice civile rappresentava la vera e propria Costituzione ottocentesca poiché mirava ad assicurare all’individuo borghese i due principali strumenti di azione, ossia la proprietà e il contratto, appare con tutta evidenza come la donna, cui veniva negata la possibilità di stabilire contratti e quindi di trasferire proprietà, venisse di fatto esclusa dalla vita pubblica e relegata ancora una volta ai margini di quella società liberale che continuava imperterrita a rappresentarsi come incamminata verso un radioso e inarrestabile futuro di progresso.
Uno dei cambiamenti radicali contenuto nelle Costituzioni novecentesche è di natura antropologica e consiste nella sostituzione dell’individuo (concretamente declinato, come si è detto, come individuo europeo, maschio, borghese e proprietario) con la persona, che è anteriore allo Stato. Questo concetto di persona, che ha un suo fondamento autonomo e viene prima della dimensione pubblica e statale, rappresentava al momento della stesura della Costituzione un patrimonio comune delle diverse culture politiche, anche se fu il pensiero di Mounier e del personalismo cristiano a essere il più influente. Risulta illuminante in proposito il dialogo svoltosi tra Dossetti e Togliatti nella I Sottocommissione proprio su questo tema. Affermare l’anteriorità della persona rispetto allo Stato, ammetteva Dossetti, conferiva sì alla Costituzione «una impostazione ideologica, ma di una ideologia comune a tutti» (seduta del 9 settembre 1946). Gli rispose prontamente Togliatti che, nonostante le divergenze che lui e Dossetti avrebbero potuto avere «nel definire la personalità umana», poteva esservi intesa sul fatto «che il fine di un regime democratico [fosse] quello di garantire un più ampio e libero sviluppo della persona umana».
Come influì questa centralità della persona umana nella definizione e promozione della cittadinanza femminile? La persona, rispetto all’individuo, mette al centro la dimensione relazionale, la complessità dei rapporti umani e degli ambiti umani e sociali entro cui essa si sviluppa. La persona è includente, si riferisce alla pluralità delle condizioni sociali e culturali. La stessa formulazione dell’articolo 2 della Carta costituzionale, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo «sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità», dimostra come il costituente italiano avesse chiarissimo che la persona umana ha almeno due dimensioni: quella individuale, privata, del proprio sé; quella relazionale, pubblica, del sé rispetto agli altri. Che questa seconda dimensione fosse indispensabile lo testimonia proprio quel riferimento allo svolgimento della personalità da compiersi all’interno della sfera relazionale, nel quale la parola «personalità» sembra stare a indicare l’essenza più profonda del concetto di persona. Anteriorità della persona nei confronti dello Stato significa riconoscere un autonomo fondamento della persona, un autonomo fondamento delle sfere di vita in cui la persona si forma e vive, sfere che sono capaci di dotarsi di regole, di pensieri, sono portatrici di linfe che entrano in rapporto dialettico con lo Stato e la sfera pubblica, definendo le regole della convivenza in modo condiviso. La persona – la sua dimensione relazionale che si svolge nei diversi ambiti della vita, distinti ma tra loro non più contrapposti in termini di valore e di promozione della cittadinanza sociale e politica – costituisce un fondamento importante della cittadinanza femminile perché comprende la differenza sessuale, valorizza la sua capacità di legame umano e sociale, pone l’accento sulla pluralità delle sfere di vita e sulla complessità del soggetto donna.
L’articolo 2 – «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» – costituisce, dunque, non solo una profonda innovazione antropologica che fonda nuove relazioni sociali e private ma rappresenta altresì la fonte di una costante apertura verso le nuove sfide che la promozione della dignità umana comporta, anche in relazione allo sviluppo tecnologico, che incide sulle fondamentali dimensioni umane come la procreazione oppure sul mutamento del modo di essere famiglia. Grazie anche a molte sentenze della Corte costituzionale, la Costituzione si è sviluppata e in questi settant’anni l’essere umano soggetto di diritti scritto nell’articolo 2 ha consentito la promozione di nuovi diritti.
Altrettanto importante è l’articolo 3 sulla cui formulazione incisero in modo rilevante le costituenti con l’introduzione da loro proposta delle espressioni «distinzione di sesso» ed «eguaglianza di fatto», coerente con una visione della società che deve garantire l’eguaglianza di dignità umana e sociale, superare le discriminazioni, promuovere le pari opportunità tra le persone e i sessi, nonché una emancipazione delle persone e delle donne non solo sul piano giuridico ma su quello sostanziale. Fondamentale per la promozione della cittadinanza femminile è il secondo comma dell’articolo 3: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». In questo articolo sono previsti la promozione della partecipazione politica e il ruolo attivo dei cittadini nella dimensione pubblica; sarà importante constatare quanto, nel corso dei decenni, sia stata faticosa la promozione delle donne nelle istituzioni e al contempo quanto sia stato cruciale per ottenere buone riforme il ruolo dei movimenti, delle associazioni, dei sindacati, dei partiti politici che erano soggetti popolari. Proprio in questa dimensione sociale, civica, di partecipazione popolare le donne sono state protagoniste fondamentali, e hanno inciso sul legislatore portando alla conquista di riforme determinanti. Vanno sottolineati anche come decisivi nel definire i fondamenti della cittadinanza sociale e politica delle donne gli articoli 10 e 11, che esprimono una vocazione internazionale, europeista, pacifista della Costituzione medesima: «L’ordinamento giuridico si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute» (art. 10); «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo» (art. 11). La nostra Costituzione sfida il dogma della sovranità nazionale dello Stato, sollecita la costruzione del processo europeo, l’Unione europea, gli Stati Uniti d’Europa. Quest’orizzonte europeo e internazionale è particolarmente prezioso per la promozione della cittadinanza femminile che nel tempo, come vedremo, ha tratto impulso proprio dai trattati internazionali e dalle direttive europee.
Una volta scritti in modo chiaro e pregnante i principi costituzionali per promuovere la cittadinanza femminile, e più in generale dare avvio al cambiamento sociale e culturale in essi contenuti, essi dovevano essere tradotti in norme. Il passaggio dai principi costituzionali alle norme giuridiche costituisce motivo di dibattito ampio all’interno della dottrina costituzionale. Una parte della classe politica e della cultura costituzionalistica considerava la Costituzione come un documento ridondante in cui le norme davvero «giuridiche» erano poche e molte, al contrario, erano le dichiarazioni meramente di principio, sminuendo così il valore normativo della Carta. Ad avvallare tale tesi contribuì una celebre sentenza delle Sezioni unite penali della Corte di cassazione del 7 febbraio 1948, che distingue le norme costituzionali in prescrittive e programmatiche. Smontare questo pregiudizio culturale per affermare un approccio di tipo opposto – finalizzato cioè a prendere sul serio la Costituzione – fu dunque un’opera complessa e per nulla ovvia cui si dedicò un’intera generazione di giovani costituzionalisti cresciuti professionalmente negli anni trenta. L’elaborazione di costoro divenne patrimonio comune non solo della dottrina ma anche dei pratici del diritto e, in primo luogo, della magistratura. Vanno ricordate in tal senso due tappe fondamentali. In primo luogo, l’istituzione della Corte costituzionale e la volontà mostrata da subito dal giudice delle leggi di non percepire il proprio ruolo in modo passivo e formale ma di costruirsi invece uno strumentario dogmatico adeguato allo scopo, a partire ad esempio dalle sentenze interpretative. La seconda tappa è datata 1965, anno in ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. La lunga marcia delle donne italiane
  6. Parte prima Le costituzionaliste dei diritti
  7. Parte seconda Cittadinanza femminile: temi e problemi
  8. Le autrici