Mafie e libere professioni
eBook - ePub

Mafie e libere professioni

Come riconoscere e contrastare l'area grigia

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Mafie e libere professioni

Come riconoscere e contrastare l'area grigia

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Nell'attuale fase storica, che pure ha conosciuto un impegno straordinario nel contrasto alle mafie, vi è un elemento che non ha trovato risposta adeguata. Si tratta del rapporto tra le aree mafiose e le libere professioni, un insieme di comportamenti vischiosi e collusivi, ormai densamente accertati nelle sedi investigative e giudiziarie. Vi sono ambiti nei quali le mafie, per lo sviluppo della loro attività criminale, hanno bisogno di specifiche competenze tecnico-professionali: basti pensare al riciclaggio, alla stesura di perizie, alla contrattualistica, alla partecipazione ad appalti pubblici. Si tratta di fenomeni posti in evidenza dalla Commissione parlamentare antimafia, che insieme alla Conferenza dei rettori, e al coinvolgimento degli ordini e dei collegi professionali, ha portato avanti un fondamentale lavoro d'inchiesta e dato avvio a un proficuo processo di collaborazione. Le relazioni che le mafie intessono nell'area grigia sono approfondite nel volume: gli autori ne analizzano la casistica attraverso lo studio dei provvedimenti giudiziari e dei procedimenti disciplinari degli organi. Molte le criticità che emergono. La più rilevante è l'istituto della cosiddetta «pregiudiziale penale», in base alla quale, allo scopo di tutelare il lavoro del professionista finché il fatto contestato non venga accertato con sentenza definitiva, è imposta la sospensione dei procedimenti disciplinari. Per contrastare i fenomeni collusivi, il libro formula una serie di proposte concrete, fondate su basi scientifiche, su presupposti culturali condivisi, facilmente comunicabili e trasferibili nel dibattito politicoistituzionale, con il fine di stimolare una proposta legislativa. È necessario ispessire la qualità etica e il rigore deontologico dei liberi professionisti, provvedendo a un adeguato percorso formativo, a partire dall'università, e aumentando il potere di sanzione.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Mafie e libere professioni di Stefano D’Alfonso,Aldo De Chiara,Gaetano Manfredi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Geschichte e Weltgeschichte. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788868438562
Argomento
Geschichte

I. Liberi professionisti e mafie.
Per un modello sistematico di contrasto

1. Compromissione dei professionisti e ragioni della ricerca.
Le ragioni che ci hanno indotto a indagare il tema della compromissione dei liberi professionisti con le mafie sono, almeno apparentemente, facilmente intuibili.
Anche limitandosi alle sole fonti giornalistiche, possono essere ricordate inchieste giudiziarie che hanno interessato liberi professionisti i cui servigi sono stati prestati a vantaggio di associazioni mafiose.
In questo particolare contesto di devianza, quando vengono oltrepassati i confini legali e deontologici si è soliti utilizzare diverse categorie e definizioni del fenomeno, a partire da quelle di portata più ampia, quali «area grigia» o «colletti bianchi» (quando assume un’accezione negativa, per esempio se sono accertate collusione o contiguità), per arrivare ad altre di più specifica qualificazione, quale, ad esempio, «borghesia mafiosa».
Il concetto di «area grigia», utilizzato anche nella letteratura internazionale con espressioni quali grey zone o grey area, descrive la difficoltà di distinguere i confini tra lecito e illecito (Sciarrone 2011, p. 404). Si fa quindi riferimento a processi di valutazione di comportamenti e servizi professionali prestati in più ambiti. Se si pensa a quelli di natura economica, abbiamo esempi di attività interessate in ogni settore, dal primario al terziario. Ogniqualvolta impresa e organizzazione mafiosa si intrecciano, occorrono servizi professionali. Diverse potranno essere le forme, le modalità e le tipologie di responsabilità, diretta o indiretta, in capo all’imprenditore, in mercati in cui «radicalmente» cambiano le regole del gioco (Consiglio - De Nito 2015, par. 2), ma comunque occorrerà l’ausilio dei professionisti. Tale esiziale connubio trova nelle espressioni «mafia imprenditrice» o «impresa mafiosa» una rappresentazione dell’agire mafioso, incentrato «sugli affari, non solo quelli illeciti ma anche sulle connessioni o commistioni tra lecito e illecito» (Visconti 2014, p. 1). Si tratta solo di un esempio. La cronaca giudiziaria è, infatti, variegata, e ci racconta di professionisti, quali ad esempio commercialisti, avvocati, ingegneri, notai, medici, coinvolti in attività illegali, o apparentemente legali, direttamente o indirettamente ricollegabili a organizzazioni mafiose.
Il ruolo dei professionisti ha assunto forme diverse così come multiformi sono le prestazioni tecnico-professionali d’ausilio alle organizzazioni mafiose per il conseguimento di finalità varie. Si riscontrano vicende legate a: notai condannati per concorso esterno nel delitto associativo; commercialisti condannati per il delitto di riciclaggio con aggravante mafiosa ai sensi del cosiddetto «articolo 7», per aver commesso atti finalizzati all’occultamento di capitali provenienti da attività criminali; avvocati incriminati per favoreggiamento aggravato, per esempio per aver acquisito e propalato notizie concernenti procedimenti penali al fine di eludere le investigazioni o di favorire la sottrazione all’arresto; medici impegnati nel cancellare le tracce di un latitante cui hanno prestato cure sanitarie o nel fornire false generalità nelle cartelle cliniche per occultarne l’identità; psichiatri che redigono perizie infedeli o dispensano consigli per avvalorare la certificazione di patologie psichiatriche utilizzabili per sostenere l’incompatibilità con il regime di detenzione; ingegneri che supportano clan nelle diverse fasi in cui si articolano le procedure di evidenza pubblica al fine di garantire l’assegnazione di opere pubbliche.
Ognuna di queste vicende giudiziarie e molte altre trovano spazio sulle pagine di testate nazionali e locali, confermando un fenomeno tanto diffuso quanto noto. La narrazione del fenomeno attraverso inchieste o filoni giornalistici è utile, in quanto sollecita l’attenzione delle istituzioni e della società a una criticità sistemica che avvantaggia le mafie nuocendo al corretto funzionamento, e non solo, dei mercati, delle istituzioni ma, più in generale, della società.
Qualche riferimento lo si può rinvenire anche nella letteratura d’inchiesta. In questo caso, però, il tema solo raramente è approfondito nella specificità della «zona grigia» e dei «professionisti al servizio della mafia» (è il caso di Amadore 2007) o con puntuale analisi di una singola categoria professionale (De Rosa 2011, su medici e camorra). Più frequentemente è richiamato tangenzialmente a fenomeni di portata più ampia, come il tema della capacità effettiva degli ordini professionali di contrastare fenomeni di corruzione lato sensu dei propri iscritti (Stefanoni 2012, pp. 154-6).
Per quanto la cronaca svolga un’importante funzione di emersione di una criticità che non può essere certo sottovalutata, soprattutto in considerazione dell’evoluzione delle mafie, progressivamente meno violente e sempre più imprenditoriali, occorrono approfondimenti che siano frutto di ulteriori forme di trattazione, ispirate a differenti metodologie; servono analisi più specifiche in considerazione del fatto che siamo in presenza di un sistema di collusione e, a volte, di contiguità molto più complesso di quanto prima facie possa apparire.
Per avere un’idea chiara di quanto oggi accade occorre considerare una prima necessità di fondo. I rapporti dei professionisti con le organizzazioni mafiose non possono essere studiati «in vitro», isolati dal contesto in cui si alimentano. Le cause sono diverse ed è indispensabile porle in evidenza. Anche perché in discussione vi sono le ragioni stesse di questa ricerca e le premesse qualificanti gli obiettivi che sia le istituzioni sia la società nel suo complesso devono porsi per contrastare il sistema mafioso in cui, volontariamente ma talvolta anche inconsapevolmente, possono trovarsi a operare i liberi professionisti. Attraverso le parole espresse da chi rappresenta e conosce bene la propria realtà professionale, ci viene spiegato come il professionista accolga con soddisfazione la proposta di un incarico importante da parte di un’impresa che richiede l’assistenza legale per un numero significativo di cause o per l’acquisto di un immobile; diventa poi difficile comprendere se si sia o meno di fronte a un mafioso o quale possa essere la provenienza di quel denaro. Evidentemente si tratta di dinamiche note e molto complesse. Ma la legge aiuta in questo. Assicura le condizioni affinché il professionista possa cautelarsi e mira a garantire la realizzazione dell’interesse generale avversando talune pratiche illegali. Il riferimento è in particolare alla normativa antiriciclaggio, che prevede strumenti di controllo in grado di fare attivare dai professionisti segnali di allerta alle autorità preposte (audizione Calabrò 2017).
Può essere utile ricomprendere il fenomeno all’interno del quadro conoscitivo più generale in cui si colloca. Preliminarmente occorre evidenziare che per capire e contrastate le mafie si deve partire dagli elementi precipuamente criminali, non senza però intrecciarli con le dimensioni sociali, economiche e politiche del fenomeno. È in questa triplice dimensione che si articolano il contesto di radicamento e operatività delle mafie, le loro strutture di opportunità, la continuità storica nel tempo e nello spazio. «La forza della mafia», come è stato osservato e ampiamente condiviso in molte sedi, matura «nelle culture e nei comportamenti complici e funzionali» (Dalla Chiesa 2014, p. 40), si alimenta al suo esterno e si irrobustisce attraverso il cosiddetto «capitale sociale» (Sciarrone 2009, pp. 325 e 46). È in questo humus che crescono i collegamenti con la borghesia e, in particolare, con i liberi professionisti che, per cultura e capacità tecnica mal riposte, contribuiscono attraverso i propri servizi alle richieste di attività funzionali alle organizzazioni mafiose (ad esempio in materia di appalti, attività imprenditoriale, tutela legale).
Il fenomeno deve anche essere osservato dal punto di vista delle organizzazioni criminali. Riprendendo quanto puntualmente e recentemente osservato in occasione dell’analisi delle reti criminali a Roma e nel Lazio (Martone 2017, pp. 9 sgg.), le mafie sono socialmente radicate in alcuni territori o settori della società locale, che ne riconoscono la reputazione; operano come un’impresa finalizzata alla regolazione violenta dei mercati e all’accumulazione di capitali nei settori illegali e legali, locali ed extra-locali; detengono una certa autorità, di tipo politico-istituzionale, esercitata in concorrenza o in cooperazione con le istituzioni dello Stato. Sono dunque da considerarsi un fenomeno di società locale, il cui radicamento territoriale si esprime nel ricorso specializzato alla violenza (agita, minacciata, concreta o simbolica) ma anche nelle relazioni sociali con i «colletti bianchi». Questa chiave di lettura induce a porre attenzione al versante esterno delle organizzazioni mafiose, alle relazioni collusive con politici, rappresentanti degli enti locali, funzionari pubblici, professionisti e imprenditori. Specialmente osservando la dimensione d’impresa del fenomeno. La vocazione imprenditoriale espressa dai mafiosi nei mercati legali amplifica la loro attitudine alla promozione di relazioni collusive all’interno di questi spazi liminari, siano essi afferenti all’economia pubblica o ai mercati privati. In particolare, nelle regioni di non tradizionale presenza mafiosa, le mafie tradizionali tendono a spostarsi primariamente attraverso il riciclaggio e il reinvestimento dei capitali nell’economia legale, con la conseguente promozione di relazioni di collusione e complicità con attori esterni. È evidente, da questo punto di vista, l’importanza di poter accedere ai servizi di professionisti disponibili a fornire le proprie competenze tecniche.
Il professionista, inoltre, può offrire il proprio contributo anche quando non eserciti la libera professione bensì ricopra ruoli nelle pubbliche amministrazioni o sia titolare di un mandato elettivo. Non di meno, e tale aspetto non può essere sottovalutato, nell’esercitare un ruolo più o meno attivo nell’organizzazione mafiosa, può integrare la propria rete professionale (Centonze 2013, pp. 161-95), sociale e della clientela con quella più ampia dei mafiosi, svolgendo una funzione di «mediazione finalizzata alla corruzione dei funzionari pubblici» (Amadore 2013, p. 71) o di messa a sistema delle proprie relazioni «con esponenti delle istituzioni, della magistratura, della politica» (Curcio, Relazione Dna 2014, p. 128).
Il professionista, pur trattandosi di un fenomeno di dimensioni minori, può essere lui stesso un esponente dell’associazione mafiosa, fino a ricoprirne ruoli da leader. In questo caso è richiamabile il concetto di «borghesia mafiosa». Siamo in presenza di una modalità nota e approfondita, che può rientrare nel modello sociologico della mobilità e ascesa sociale, con relativo superamento del binomio mafia-classi disagiate (Santoro 2008, pp. 74-5). Tale rappresentazione trova suffragio anche in alcune recenti analisi della magistratura di settore, che pure registra un imborghesimento generazionale delle mafie. È stato in particolare rilevato che «i figli ed i nipoti delle famiglie di ’ndrangheta di terza e quarta generazione sono, al contempo, professionisti – con uno stile di vita e delle relazioni sociali adeguate a tale posizione – e uomini di ’ndrangheta a tutto tondo» (Curcio, Relazione Dna 2014, p. 112). Tra i casi annoverabili vi è quello dell’architetto «ben inserito nelle vicende economiche, sociali e politiche della città» e reggente di un mandamento mafioso, condannato a vent’anni di reclusione (de Lucia, Relazione Dna 2014, p. 725).
Ma quali sono le ragioni che spingono il libero professionista a lasciarsi attrarre, più o meno consapevolmente, o addirittura che lo inducono a cercare di entrare nel networking mafioso (Sciarrone 2009, p. 51)?
La prima è di natura economica. Puntando su questa semplice e scontata aspirazione, l’organizzazione mafiosa può trarre le mosse per ottenere vantaggi che vanno ben al di là del mero soddisfacimento delle proprie esigenze di expertise, per appagare singole o articolate necessità. Un’organizzazione mafiosa è tanto più forte quanto più riesce a tessere quella fitta rete di rapporti necessaria per agire anche in ambiti sociali, istituzionali e commerciali nei quali difficilmente potrebbe operare senza un’adeguata intermediazione. Vi sono contesti in cui il «marchio» di criminale impedisce, infatti, la creazione di relazioni dirette; così come i modi rozzi e «la presenza» non rassicurante ostacolano l’interlocuzione con il mondo legale o apparentemente tale. Vale a dire che l’antica locuzione pecunia non olet in molti contesti non è sufficiente ad aprire le porte.
Vi è una specifica componente del mondo delle professioni che non può essere tralasciata: quella dei giovani professionisti, in taluni casi maggiormente sensibili alle sirene delle mafie rispetto ai colleghi anziani. Le motivazioni possono essere diverse. Non vi sono solo i guadagni ma anche le non sottovalutabili sensazioni di sicurezza e di orgoglio assicurate dall’accrescimento della propria attività professionale. Come abbiamo avuto modo di apprendere, ad esempio per le professioni legali in ambito penalistico (intervista 1), si registrano casi di giovanissimi avvocati che danno la loro disponibilità a fornire assistenza continuata, alla stregua di una consulenza di lungo periodo, agli affiliati del singolo clan, in particolare a quelli di minor peso nell’organizzazione, mentre i boss prediligono avvocati con maggiore esperienza e riconosciute capacità, altamente professionali anche nell’approccio con il cliente e, in generale, deontologicamente corretti. All’assistenza legale prestata dai giovani avvocati al di là delle regole deontologiche corrispondono compensi bassi per la singola attività legale e un alto rischio di compromissione che può giungere sino al compimento di reati di favoreggiamento (ad esempio prestandosi al ruolo di messaggeri tra detenuti e clan o propalando notizie riservate ai capi clan concernenti singoli assistiti al fine di assicurarsi che non vi sia il rischio di una collaborazione con la giustizia). Si tratta, evidentemente, di fatti molto gravi, che, pur rappresentando un’eccezione rispetto al lavoro quotidianamente svolto dai professionisti, destano enorme preoccupazione, e per diverse ragioni: oltre che per gli effetti che di volta in volta possono determinare, anche per il rischio del diffondersi della vulgata del «così fan tutti», a cui le mafie, così come gli autori di sistematica corruzione e malamministrazione, fanno riferimento per giustificare, e quindi vestire come legittimi, comportamenti che invece sono inequivocabilmente contrari alla legge e al corretto vivere civile.
Situazioni come queste devono essere analizzate non solo proiettandole all’interno di strategie atte a sanzionarne gli autori, ma anche in funzione di una più neutrale comprensione delle ragioni sottese. Non può essere sufficiente, infatti, contrapporre la minaccia delle sanzioni alla capacità dei mafiosi di «allacciare relazioni, instaurare scambi, creare vincoli di fiducia, incentivare obblighi e favori reciproci» (Sciarrone 2009, p. 51); occorrono invece analisi delle cause a partire dalle quali proporre soluzioni che guardino alla necessità di rivedere il quadro generale in cui si collocano le professioni liberali pur senza prescindere dal particolare.
Da quanto sinora osservato si può dedurre che i professionisti non devono essere «lasciati soli». Occorre domandarsi, soprattutto per quei contesti territoriali in cui maggiore è il rischio di contatto con i gruppi criminali, se i professionisti dispongano di strumenti e di una rete di protezione istituzionale per contrastare minacce o respingere l’offerta di vantaggi da parte di chi ha sviluppato grandi capacità di avvicinamento e penetrazione nel tessuto sociale ed economico. Come avremo modo di osservare, sono molti i soggetti istituzionali, e non, che dovrebbero o potrebbero sostenere questo ruolo.
2. Esigenze di sistematizzazione e valorizzazione del «potenziale antimafia».
Il tema dei rapporti tra professionisti e organizzazioni criminali nell’«area grigia» è stato raramente approfondito in contributi scientifici, e quando ciò è avvenuto lo si è fatto parzialmente e da parte di pochi studiosi afferenti prevalentemente alle sole scienze sociologiche. Muoversi su un terreno insufficientemente arato richiede in misura maggiore un approccio che oltre a guardare agli specifici contenuti consideri anche il quadro d’insieme all’interno del quale tutto si ricompone.
Se guardiamo al nostro oggetto di studio nella prospettiva di una concreta azione antimafia, possiamo indicare nuovi soggetti istituzionali con un significativo «potenziale antimafia» a oggi non espresso. Ciò vale in particolare per gli ordini e i collegi professionali e per le università.
Questi enti per loro natura sono in grado di assumere il ruolo di nodi di reti istituzionali antimafia e, con specifico riferimento all’università, anche una funzione di interscambio con i protagonisti delle reti sociali dell’antimafia.
Non è semplice, allo stato dell’arte, fornire indicazioni, in quanto si tratta di soggetti la cui posizione nell’arcipelago dell’antimafia non è, a nostro avviso, sufficientemente riconoscibile e riconosciuta nell’accezione moderna di «contrasto sistematico» che di seguito si richiama. Con riferimento alla ricerca universitaria, ciò significa che nonostante la significativa produzione scientifica, in termini sia qualitativi che quantitativi, fatte salve le esperienze di interscambio con le istituzioni, l’importante produzione scientifica finisce quasi sempre per alimentare se stessa all’interno di una sorta di hortus conclusus accademico.
Non di meno è la società che ha bisogno di comprendere a fondo, di riconoscere il fenomeno mafioso e il modo in cui si manifesta per difendersi e contrapporsi. E per raggiungere questo obiettivo sono necessarie ricostruzioni serie, che non siano mera riproposizione di concetti o, peggio ancora, di luoghi comuni e l’applicazione di metodologie che fondino su basi.
Per comprendere meglio quanto si afferma possono essere ricordate le parole di chi, nella costruzione di un possibile Manifesto dell’Antimafia, partendo dalle affermazioni di Giovanni Falcone, osserva criticamente che, a fronte di «un esercito di professionisti» mafiosi che sulla base di conoscenze approfondite di contesto definisce strategie dinamiche di adattamento e sviluppo, la mafia continua a essere poco conosciuta «da vicino» dalla società italiana (Dalla Chiesa 2014, p. 19).
Al mutare dei tempi tale giudizio conserva la sua attualità. Accanto alla letteratura scientifica che ha ampliato il dibattito sui temi delle strategie mafiose nei nuovi contesti economici della globalizzazione e dell’informatizzazione di molti processi, tra questi quelli finanziari, ritroviamo espressi gli stessi concetti nelle sedi giudiziarie e investigative nazionali e internazionali. Nel nostro paese le mafie, attraverso le diverse organizzazioni che operano sui territori tradizionali e non, continuano a esprimere una forte capacità di radicamento e di sviluppo all’interno di un quadro sistemico composto da tanti tasselli quanti sono i settori in cui operano, intrecciando relazioni con la società, con le istituzioni e il mondo d...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione. Mafie e criticità del sistema delle professioni: le ragioni della ricerca
  6. I. Liberi professionisti e mafie. Per un modello sistematico di contrasto
  7. II. La malaprofessione
  8. III. L’antimafia nel «sistema delle professioni». La circolazione delle informazioni
  9. IV. Etica e legalità vs. mafie: il ruolo dell’università
  10. Conclusioni. Verso un «Codice delle professioni»
  11. Appendice
  12. Gli autori