Scritti sull'alienazione
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Scritti sull'alienazione

Per la critica della società capitalistica

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Per la critica della società capitalistica

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«Considerare la libera concorrenza quale ultimo sviluppo della libertà umana, e la negazione della libera concorrenza come negazione della libertà individuale, è un'insulsaggine. Non c'è niente di più falso. Si tratta solamente di uno sviluppo libero su base limitata – quella del dominio del capitale. Il libero sviluppo delle individualità è possibile con la riduzione del lavoro necessario della società a un minimo». Karl Marx, GrundrisseLa teoria dell'alienazione occupa un posto di rilievo nell'opera di Marx ed è stata a lungo considerata uno dei suoi contributi più significativi alla critica della società borghese. Mediante i concetti di lavoro estraniato, sussunzione del lavoro al capitale e feticismo delle merci, Marx disvelò le condizioni di sfruttamento della classe lavoratrice nella società capitalistica. Nel passato, la gran parte degli autori che hanno scritto su questa tematica si è erroneamente basata sulle sue opere giovanili. In questa antologia, al contrario, Marcello Musto ha selezionato e ricostruito, con grande rigore filologico e interpretativo, soprattutto le pagine degli scritti economici di Marx, nelle quali le sue riflessioni furono ben più approfondite e particolareggiate di quelle dei suoi primi manoscritti filosofici. L'interesse dei testi contenuti nel volume è accresciuto dalla combinazione della critica dell'alienazione con la descrizione della società post-capitalistica teorizzata da Marx. La denuncia della nuova schiavitù imposta dal capitale è completata, in alcuni casi, da preziose indicazioni sul profilo della società comunista, concepita da Marx come la forma possibile di emancipazione umana. Dall'insieme di questi brani emerge un autore secondo il quale la libertà e il libero sviluppo delle individualità non hanno minore importanza dell'uguaglianza e della dimensione collettiva. In occasione del bicentenario della nascita, Marx viene riscoperto, ancora una volta, e le sue opere ripubblicate in tutto il mondo. La riproposizione delle sue migliori pagine sulla critica dell'alienazione nella società capitalistica fornisce un prezioso strumento critico sia per la comprensione del passato che per la trasformazione del presente.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788868438579

Introduzione

di Marcello Musto

1. Le origini del concetto.

L’alienazione può essere annoverata tra le teorie più rilevanti e dibattute del XX secolo e la concezione che ne elaborò Marx assunse un ruolo determinante nell’ambito delle discussioni sviluppatesi sul tema. Tuttavia, diversamente da come si potrebbe immaginare, il percorso della sua affermazione non è stato affatto lineare e le pubblicazioni di alcuni inediti di Marx, contenenti riflessioni sull’alienazione, hanno rappresentato significativi punti di svolta per la trasformazione e la diffusione di questa teoria.
Nel corso dei secoli, il termine alienazione fu utilizzato più volte e con mutevoli significati. Nella riflessione teologica esso designò il distacco dell’uomo da dio; nelle teorie del contratto sociale servì a indicare la perdita della libertà originaria dell’individuo; mentre nell’economia politica inglese venne adoperato per descrivere la cessione della proprietà della terra e delle merci. La prima sistematica esposizione filosofica dell’alienazione avvenne solo all’inizio dell’Ottocento e fu opera di Georg W. F. Hegel (1770-1831). Nella Fenomenologia dello spirito (1807), infatti, egli ne fece la categoria centrale del mondo moderno e adoperò i termini di Entäusserung (rinuncia) ed Entfremdung (estraneità, scissione) per rappresentare il fenomeno mediante il quale lo spirito diviene altro da sé nell’oggettività. Tale problematica ebbe grande importanza anche presso gli autori della Sinistra hegeliana e la concezione di alienazione religiosa elaborata da Ludwig Feuerbach (1804-1872) nell’Essenza del cristianesimo (1841), ovvero la critica del processo mediante il quale l’uomo si convince dell’esistenza di una divinità immaginaria e si sottomette a essa, contribuì in modo significativo allo sviluppo del concetto.
Successivamente, l’alienazione scomparve dalla riflessione filosofica e nessuno tra i maggiori autori della seconda metà dell’Ottocento vi dedicò particolare attenzione. Lo stesso Marx impiegò il termine in rarissime occasioni nelle opere pubblicate nel corso della sua esistenza, e questo tema risultò del tutto assente anche nel marxismo della Seconda Internazionale (1889-1914)1.
Tuttavia, a cavallo tra i due secoli, alcuni pensatori elaborarono alcuni concetti che, successivamente, furono associati a quello di alienazione. Nei libri La divisione del lavoro sociale (1893) e Il suicidio (1897), ad esempio, Émile Durkheim (1858-1917) formulò la nozione di «anomia», con la quale intese indicare quell’insieme di fenomeni che si manifestavano nelle società in cui le norme preposte a garantire la coesione sociale entravano in crisi in seguito al forte sviluppo della divisione del lavoro. I mutamenti sociali intervenuti nel XIX secolo, con le enormi trasformazioni del processo produttivo, costituirono anche lo sfondo delle riflessioni dei sociologi tedeschi. Nella Filosofia del denaro (1900), Georg Simmel (1858-1918) dedicò grande attenzione al predominio delle istituzioni sociali sugli individui e all’impersonalità dei rapporti umani, mentre in Economia e società (1922) Max Weber (1864-1920) si soffermò sui concetti di «burocratizzazione» e di «calcolo razionale» nelle relazioni umane, considerati l’essenza del capitalismo. Questi autori, però, reputarono tali fenomeni come eventi inevitabili e le loro considerazioni furono sempre guidate dalla volontà di rendere migliore l’ordine politico e sociale esistente, e non certo da quella di sovvertirlo con un altro.

2. La riscoperta dell’alienazione.

La riscoperta della teoria dell’alienazione avvenne grazie a György Lukács (1885-1971). In Storia e coscienza di classe (1923), riferendosi ad alcuni passaggi del libro I di Il capitale (1867) di Marx, in particolare al paragrafo dedicato al «carattere di feticcio della merce» (Der Fetischcharakter der Ware), egli elaborò il concetto di reificazione (Verdinglichung o Versachlichung), ovvero il fenomeno attraverso il quale l’attività lavorativa si contrappone all’uomo come qualcosa di oggettivo e indipendente e lo domina mediante leggi autonome e a lui estranee. Nei suoi tratti fondamentali, però, la teoria di Lukács era ancora troppo simile a quella hegeliana, poiché anch’egli concepì la reificazione come un «fatto strutturale fondamentale»2. Così, quando negli anni sessanta, soprattutto dopo la comparsa della traduzione francese del suo libro3, questo testo tornò a esercitare una grande influenza tra gli studiosi e i militanti di sinistra, Lukács decise di ripubblicare il suo scritto in una nuova edizione introdotta da una lunga Prefazione autocritica, nella quale, per chiarire la sua posizione, affermò: «Storia e coscienza di classe segue Hegel nella misura in cui […] l’estraneazione viene posta sullo stesso piano dell’oggettivazione»4.
Un altro autore che, nel corso degli anni venti, prestò grande attenzione a queste tematiche fu Isaak Ilijč Rubin (1886-1937). Nel suo scritto Saggi sulla teoria del valore di Marx (1924), egli sostenne che la teoria del feticismo costituiva «la base dell’intero sistema economico di Marx e, in particolare, della sua teoria del valore»5. Per l’autore russo, la reificazione dei rapporti sociali rappresentava «un fatto reale del capitalismo»6, ovvero era «una vera e propria “materializzazione” dei rapporti di produzione, e non […] una semplice “mistificazione” o […] un’illusione ideologica. Si tratta[va] di uno dei caratteri strutturali dell’economia nella società attuale. […] Il feticismo non [era] solo un fenomeno della coscienza sociale, ma dell’essere sociale stesso»7. Nonostante queste intuizioni, lungimiranti se si considera il periodo in cui furono scritte, l’opera di Rubin non riuscì a favorire la conoscenza della teoria dell’alienazione, poiché, essendo stata tradotta in inglese soltanto nel 1972, conobbe una tarda ricezione in Occidente.
L’evento decisivo che intervenne a rivoluzionare in maniera definitiva la diffusione del concetto di alienazione fu la pubblicazione, nel 1932, dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 (1844), un inedito appartenente alla produzione giovanile di Marx. Da questo testo emerse il ruolo di primo piano conferito alla teoria dell’alienazione durante un’importante fase dello sviluppo della sua concezione: la scoperta dell’economia politica8. Marx, infatti, mediante la categoria di lavoro alienato (entfremdete Arbeit)9 non solo traghettò la problematica dell’alienazione dalla sfera filosofica, religiosa e politica a quella economica della produzione materiale, ma fece di quest’ultima anche il presupposto per potere comprendere e superare le prime10. Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, l’alienazione venne descritta come il fenomeno attraverso il quale il prodotto del lavoro «sorge di fronte al lavoro come un ente estraneo, come una potenza indipendente dal producente»11. Per Marx, «l’espropriazione dell’operaio nel suo prodotto non ha solo il significato che il suo lavoro diventa un oggetto, un’esistenza esterna, bensì che esso esiste fuori di lui, indipendente, estraneo a lui, come una potenza indipendente di fronte a lui, e che la vita, da lui data all’oggetto, lo confronta estranea e nemica»12.
Accanto a questa definizione generale, Marx elencò quattro differenti tipi di alienazione che indicavano come nella società borghese il lavoratore fosse alienato: a) dal prodotto del suo lavoro, che diviene un «oggetto estraneo e avente un dominio su di lui»; b) dall’attività lavorativa, che viene percepita come «rivolta contro lui stesso […] [e] a lui non appartenente»; c) dal genere umano, poiché la «essenza specifica dell’uomo» è trasformata in «un’essenza a lui estranea»; e d) dagli altri esseri umani, ovvero rispetto «al lavoro e all’oggetto del lavoro»13 realizzati dai suoi simili.
Per Marx, diversamente da Hegel, l’alienazione non coincideva con l’oggettivazione in quanto tale, ma con una precisa realtà economica e con uno specifico fenomeno: il lavoro salariato e la trasformazione dei prodotti del lavoro in oggetti che si contrappongono ai loro produttori. La diversità politica tra le due interpretazioni è enorme. Contrariamente a Hegel, che aveva rappresentato l’alienazione quale manifestazione ontologica del lavoro, Marx concepì questo fenomeno come la caratteristica di una determinata epoca della produzione, quella capitalistica, ritenendone possibile il superamento mediante «l’emancipazione della società dalla proprietà privata»14. Considerazioni analoghe furono sviluppate nei quaderni di appunti contenenti gli estratti dall’opera Elementi di economia politica (1821) di James Mill (1773-1836):
il […] lavoro sarebbe libera manifestazione della vita e dunque godimento della vita. Ma nelle condizioni della proprietà privata esso è alienazione della vita; infatti io lavoro per vivere, per procurarmi mezzi per vivere. Il mio lavoro non è vita. In secondo l...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. Manoscritti economico-filosofici
  7. Estratti dal libro di James Mill Elementi di economia politica
  8. La sacra famiglia
  9. L’ideologia tedesca
  10. Lavoro salariato e capitale
  11. Discorso per l’anniversario di «The People’s Paper»
  12. Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica
  13. Il capitale, libro I, capitolo VI inedito
  14. Il capitale, libro I
  15. Il capitale, libro III