I sensi e il pudore
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I sensi e il pudore

L'Italia e la rivoluzione dei costumi (1958-68)

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I sensi e il pudore

L'Italia e la rivoluzione dei costumi (1958-68)

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«Tutta colpa della Merlin»: è questa l'accusa che ricorre nel dibattito pubblico in seguito all'approvazione della legge del febbraio 1958 che abolisce in Italia la regolamentazione della prostituzione. Sui giornali e per le strade non si parla d'altro, e in fin dei conti la legge è un ottimo pretesto per cominciare ad affrontare, in maniera sempre più diretta, un argomento rimasto a lungo tabù. Sono gli anni in cui si discute dello scandalo delle prostitute che, non più murate nelle case chiuse, circolano liberamente e sono considerate un pericolo per la morale degli italiani: il contatto con le «veneri vaganti», si dice, può corrompere i minori, provocare una recrudescenza della sifilide, la proliferazione del «terzo sesso», e in sintesi produrre una decadenza morale. Sono anche gli anni in cui clamorosi casi di cronaca portano alla luce l'esistenza di altre modalità messe in atto per proseguire uno sfruttamento delle donne che la legge Merlin non ha potuto frenare del tutto. Attraverso lo studio di carte processuali, atti parlamentari, fonti d'archivio inedite e articoli di giornale, il volume racconta il periodo a cavallo tra l'approvazione della legge e la rivoluzione del '68. Un periodo di grande fermento, di cambiamenti e innovazioni in ogni campo, incluso quello della moralità e della sessualità, in cui però spesso il «vecchio» fatica a cedere il passo al «nuovo»: ingenti risorse emotive e istituzionali sono profuse per dimostrare che gli italiani non sono ancora pronti a celebrare la fine di una sessualità «irreggimentata», che si ritiene tuteli la famiglia borghese tradizionale. Il caso della «Zanzara», scoppiato al Liceo Parini di Milano, mostra però come le spinte propulsive verso il nuovo esercitate dalle giovani generazioni siano inarrestabili: seppure arginata sotto i colpi di una legislazione penale in cui persistono elementi del regime fascista, poco si potrà fare per arrestare la marea. I gusti, le abitudini, i desideri degli italiani stanno ormai mutando, con buona pace della buoncostume.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788868438982
Categoria
Sociologia

V. Prostituzione tra vecchio e nuovo negli anni sessanta

1. Uno scenario complesso.

All’inizio degli anni sessanta, la prostituzione in Italia è profondamente cambiata ma soprattutto si è diversificata e ha via via assunto nuove forme e nuovi volti. La società civile reagisce e insorge con decine e decine di esposti che inondano gli uffici del ministero dell’Interno, provenienti dagli ambienti più diversi, laici e cattolici. Insorgono i padri e le madri di famiglia che vorrebbero preservare l’integrità e il pudore delle loro figlie e dei loro figli, insorgono le parrocchie che stilano petizioni, raccogliendo migliaia di firme all’uscita della messa domenicale. E insorge persino la Federazione degli albergatori di Rimini e Riccione che accusa la prostituzione da marciapiede e quella che si annida nei motel di contaminare gli spazi del turismo sano delle famiglie.
Accanto alla prostituzione vagante, esiste quella mascherata negli atelier di moda, nelle sartorie, nei centri massaggi, negli appartamenti privati gestiti da vecchie tenutarie riciclate, ma soprattutto emerge la realtà nuova delle ragazze squillo: una prostituzione che spesso risponde a una scelta consapevole di successo, che dà vita a una sorta di mercimonio elitario e aristocratico, autogestito e rivolto a clienti facoltosi. Talvolta, invece, si avvale di tenutarie centraliniste, il cui compito è rispondere al telefono e fissare gli appuntamenti per quelle ragazze la cui fase di iniziazione è ancora in atto e non è scontato che raggiungano la piena autonomia.
Di fronte a questo scenario variopinto, le istituzioni appaiono del tutto impreparate, e la reazione è quella che prende corpo in un ennesimo dibattito intorno a un disegno di legge di iniziativa governativa, che trae ispirazione dal progetto di legge presentato nel 1961 e mai discusso in aula per via dei pronunciamenti delle commissioni incaricate di studiarne i contenuti e le finalità. Niente di originale nel titolo del progetto di legge del 1963, che ricalca quello del 1961, ma il dibattito intorno ad esso si muove tra nuove sensibilità per l’educazione sessuale e vecchie attitudini verso la regolamentazione o quantomeno la registrazione delle prostitute, all’ombra di una necessità ineludibile di salvaguardia della salute pubblica.
Appariva necessario esaminare il problema della prostituzione in relazione alla nuova società che era mutata e che mutava, dove sempre di più si avvertiva l’urgenza di rilanciare i valori della famiglia, intesa come sostegno e propulsore affettivo delle nuove generazioni. La prospettiva della Federazione abolizionista internazionale rendeva giustizia agli sforzi compiuti dal Comitato italiano per la difesa morale e sociale della donna. Il 1966 si rivelò un anno cruciale, in cui i riflettori sulla prostituzione si riaccesero dopo anni in cui era stata oggetto della cronaca, spesso nera, ma senza assurgere allo stato di problema sociale, così come rappresentato invece dalle inchieste giornalistiche di quell’anno.

2. Nuove forme di prostituzione: la scoperta delle ragazze squillo.

La prima inchiesta sulle ragazze squillo è del 1959, a cura di Gianni Corbi e Mino Guerrini. Un’inchiesta su questo nuovo fenomeno che, ancora poco avvertito, stava cambiando il volto della prostituzione in Italia1. A Milano, nel palazzo di giustizia, quarantasette uomini e quattro donne si erano dati il compito di condurre un’indagine dal titolo sintetico: «Sui problemi relativi all’applicazione della legge n. 75». A presiedere la commissione di studio era stato chiamato il primo presidente della Corte di appello, Manlio Borrelli, e ne facevano anche parte i deputati Giuseppe Brusasca e Cesare Degli Occhi, giuristi come Adolfo Beria di Argentine, direttore generale del Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, Domenico Pisapia, ordinario di diritto penale dell’Università di Modena, il vicequestore di Milano, Paolo Zamparelli; tra i medici, il senatore Domenico Macaggi, presidente dell’Accademia internazionale di medicina sociale e legale, e Pietro Malcovati, direttore dell’Istituto provinciale di maternità a Milano, e sociologi come Giovanni Maria Bertin, preside della facoltà di Magistero a Bologna. Il loro compito sembrava circoscritto a un’inchiesta simile a quella condotta in Francia dopo l’approvazione della legge Richard o a quella che da oltre un anno si stava svolgendo in Spagna dopo l’abolizione delle case chiuse.
Ma i membri del congresso che si accingevano all’indagine dovettero rapidamente accorgersi che il loro compito non poteva limitarsi alle 5000 prostitute da poco uscite dalle 567 case chiuse sparse in tutto il paese, ma doveva estendersi all’emergere di un fenomeno rivoluzionario, nonché alla ben più complessa realtà delle ragazze squillo.
A fronte delle 200 prostitute vaganti che, secondo il capo della squadra mobile di Milano, erano presenti in città prima e dopo la legge Merlin, le ragazze squillo, sebbene ancora in attesa di essere censite, ammontavano, secondo i dati ricavati dalle segnalazioni della questura, delle assistenti sociali e delle associazioni benefiche, a 10000 nel solo capoluogo lombardo.
Gianni Corbi e Mino Guerrieri condussero un’inchiesta a Milano e in Lombardia, spingendosi fino all’Emilia. La scelta dell’area era dettata non solo dalle dimensioni che il fenomeno sembrava aver raggiunto in quelle regioni, ma soprattutto dal fatto che Milano è considerata la città pilota d’Italia, il terreno più adatto, stando ai sociologi, per percepire e misurare le modificazioni che via via prendono corpo nei costumi e nella psicologia degli italiani. La Lombardia è il centro da cui partono le nuove mode, che decreta il successo delle linee delle automobili, delle opere letterarie, dei nuovi metodi pubblicitari, è l’area in cui si adottano i nuovi stili di vita che si diffondono nel resto del paese.
Le ragazze squillo di Milano, quindi, erano la spia di un fenomeno che di lì a poco si sarebbe diffuso in Italia, nelle città più ricche e, con maggiore fatica e in un periodo più lungo, in quelle più povere.
Era facile contattare una squillo a Milano. Nei bar, nei ristoranti, nelle rubriche di persone delle più diverse classi sociali, dal commerciante all’industriale, dallo studente universitario al sarto per signora, si trovavano i numeri delle ragazze e anche qualche dato particolare sul loro aspetto fisico e sulla loro disponibilità. Anche in altre città sarebbe stato facile avere un appuntamento, ma l’indirizzo era certamente quello di una «professionista» navigata o di una casa di appuntamento. Mentre a Milano il solo mezzo di contatto era il telefono, e dagli indirizzi che i due giornalisti riuscirono a recuperare risalirono a volti di ragazze che abitavano in anonimi palazzi di periferia, donne con la pelliccia di visone e auto di lusso, dattilografe e commesse che arrotondavano lo stipendio con appuntamenti settimanali e figlie della Milano bene appassionate di rock and roll e jazz. Il compito che la commissione di studio si apprestava a svolgere non era certo dei più facili: si trattava di analizzare un fenomeno esteso a tutte le categorie sociali, dalle famiglie operaie a quelle alto-borghesi.
Chi era e come viveva una ragazza squillo? I giornalisti tentarono di rispondere a questa domanda, disegnando il ritratto della prima ragazza squillo che incontrarono. Flora, una giovane di 22 anni, cresciuta in collegio fino a 18 anni, arrivata a Milano per cercare lavoro come hostess in una compagnia aerea. Sfumata questa possibilità, si impiegò come cassiera in un teatro e vi restò fino a quando un impresario di spettacoli teatrali la invitò a cena. Quella sera guadagnò più che in tre mesi di lavoro: centomila lire. Da allora capì che esisteva un modo diverso di vivere e anche abbastanza comodo. Non era ancora una ragazza squillo arrivata, sofisticata e libera di scegliere i clienti, ma non era neppure all’inizio della carriera. Aveva già superato quegli sbarramenti che contrassegnavano l’iniziazione di una squillo: case d’appuntamento, protettori e mezzane. Lavorava in proprio e amministrava se stessa. Lavorava da due anni, era consapevole di non fare alcunché di illegale, ricevendo a casa propria o recandosi a casa d’altri. Doveva solo essere riservata e discreta, fare attenzione a non incorrere in certe situazioni che potevano far intervenire la polizia o dare fastidio ai vicini, come schiamazzi notturni. La prima regola era tenersi lontana dalle case d’appuntamento, in quanto venivano prese di mira dalla polizia, ed evitare gli alberghi, a meno che non fossero di lusso. Non aveva una tariffa fissa, dipendeva dal tipo di prestazione richiesta e dal fatto che il cliente fosse un occasionale o un abituale (in quest’ultimo caso, talvolta, era stata costretta a fare credito). In media aveva ogni giorno dai due ai tre clienti, con una tariffa che oscillava dalle 10 alle 50000 lire a incontro. Aveva un amante fisso, un industriale, del tutto ignaro della vita che lei conduceva, il quale ogni mese le faceva consegnare dal suo amministratore un assegno di 350000 lire. Era immune dai due grandi pericoli che insidiano la vita di una squillo: l’amore per un uomo senza scrupoli, che induceva spesso le ragazze a rinchiudersi nelle case, costringendole a consegnargli tutti i proventi, la paura provocata dalle insidie della notte, dalle retate della polizia, o dall’invidia delle concorrenti, che obbligava spesso la ragazza a cercare il sostegno di un protettore, quasi sempre malavitoso2. La carriera di Flora, priva di aspetti drammatici, non poteva dare la misura della complessità che la prostituzione aveva assunto in Italia.
Era una storia molto diversa da quella, di qualche anno prima, delle due sorelle abruzzesi, Edvige e Franca, cadute nella rete delle sfruttatrici e nel giro delle case di appuntamento. Allora, per la prima volta, era stata usata in Italia l’espressione «ragazza squillo». Era il 1954 e il mondo della prostituzione clandestina milanese sembrava sul punto di essere annientato. Per qualche mese, a Milano, tutto rimase fermo, tutti erano terrorizzati, e molte ragazze dedite alla nuova prostituzione dovettero trovare occupazioni alternative. Gli atti del procedimento penale istruito dalla I sezione del Tribunale di Milano, uno di quei documenti freddi e redatti nello stile burocratico e anonimo con cui gli uffici giudiziari raccoglievano le deposizioni e le confessioni, racconta la vera storia dell’affare Spinelli, assumendo toni drammatici quasi come quelli di un romanzo. Era stato il padre delle due ragazze a denunciare al procuratore della Repubblica Gino Alma:
Credevo che mia figlia Edvige facesse la sarta e che l’altra figlia Franca facesse la cameriera. A un certo punto, mi accorsi che sbagliavo. Ho obbligato le mie figlie a dirmi tutta la verità. Presentai immediatamente denuncia al commissariato di corso Sempione, ma non avendo avuto notizia di eventuali provvedimenti mi sono rivolto direttamente alla procura della Repubblica. Le mie figlie sono disposte a fornire i particolari per chiarire meglio quella situazione in cui io stesso sono rimasto all’oscuro fino a un mese fa3.
Edvige Spinelli non aveva ancora vent’anni; si presentò così al procuratore della Repubblica:
Abito a Milano da oltre tre anni. Dal momento del nostro arrivo, ho cominciato subito a lavorare: prima in una fabbrica di giocattoli, poi in una sartoria e in seguito in un maglificio. Nel settembre del 1952, io e la mia famiglia abitavamo in una pensione di via Solferino. Verso il Natale di quell’anno, le padrone della pensione, Angela Moroni e Antonietta Maccia, mi dissero che compiangevano la mia situazione familiare, in realtà assai misera, e mi consigliavano di arrotondare il nostro modesto bilancio e di provvedere in modo migliore al bisogno di mia madre ricoverata in clinica. Su loro suggerimento dissi al padrone della ditta in cui lavoravo che ritornavo al paese; e invece restai alla pensione tutti i giorni. Mio padre non poteva accorgersene perché usciva al mattino e tornava solo alla sera. Così cominciò la mia nuova vita. Le prime volte le padrone della pensione mi fecero andare a letto con uomini che desideravano soltanto vedermi spogliata e non mi facevano altro. Poi mi consigliarono di non comportarmi così passivamente con i clienti, perché qualcuno si era lamentato. Accettai i loro consigli, divenni più esperta. Le signore anzidette raccomandavano per altro ai clienti di non violare la mia verginità perché non volevano noie. Infatti mi avevano in precedenza fatto visitare, dato che non credevano alla mia integrità, ed erano entrate in possesso di un certificato da mostrare ai clienti. La mia tariffa variava dalle 5000 alle 20000 lire: io ne ricevevo soltanto 25004.
La terza persona che si presentò davanti al magistrato fu Franca Spinelli e aveva 17 anni:
Anche nei miei confronti la signora Maccia e la signora Moroni cominciarono gli approcci per indurmi al loro volere. Mi promisero facili guadagni con poca fatica e mi fecero avvicinare dagli uomini nella stessa pensione di via Solferino. Facevano in modo che io non sapessi nulla di mia sorella e mia sorella nulla di me: quando qualche cliente mi voleva, le padrone della pensione mandavano fuori Edvige con qualche pretesto e così facevano anche con me, quando capitava un cliente per mia sorella. Ricevevo metà delle somme riscosse dalle padrone. I clienti rispettavano la mia verginità. Una delle padrone m’insegnò pian piano come dovevo comportarmi con loro, che cosa dovevo fare.
Mi spiegò anche quel che dovevo dire quando mi trovavo vicino a un uomo. Comunque, non ero soddisfatta di quel che succedeva. Avevo allora appena 15 anni e ad un certo punto cercai di smettere. Ma le padrone mi minacciarono dicendo che m’avrebbero fatta finire in una casa di correzione. Impaurita da tale prospettiva, tacqui e continuai5.
La stampa quotidiana di tutta Italia riportò il memoriale di Edvige e Franca. Molte persone coinvolte nella denuncia sparirono, compreso l’ex fidanzato di Edvige, Giorgio Patrizio Del Vecchio, sposato con due figli e imputato, tra gli altri reati, di «seduzione con promessa di matrimonio». Al settimanale «Le Ore» giunsero lettere che convalidavano l’accusa a carico di persone già indiziate e di nuovi personaggi di questo mondo, intorno al quale gravitavano almeno ottocento ragazze, di cui il quindici per cento minorenni6.
Questo fu l’inizio della prima inchiesta giudiziaria su un caso di ragazze squillo in Italia. È anche la sola parte che l’opinione pubblica ha conosciuto, sia pure in modo più velato, e ha accettato come un...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Premessa
  6. I. La prostituzione regolamentata e la legge Merlin
  7. II. Chiesa e moralità pubblica nell’Italia degli anni cinquanta
  8. III. Un processo per «tratta delle bianche»
  9. IV. Tutta colpa della Merlin
  10. V. Prostituzione tra vecchio e nuovo negli anni sessanta
  11. VI. Il fragore dei sensi