Scioperare nel Duemila
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Le Officine ferroviarie di Bellinzona e la memoria operaia

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Le Officine ferroviarie di Bellinzona e la memoria operaia

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È il 7 marzo del 2008 quando la direzione delle Ferrovie federali svizzere (Ffs) annuncia un piano di privatizzazione che prevede la soppressione di 120 posti di lavoro e lo smantellamento progressivo delle Officine Cargo di Bellinzona. La risposta, inaspettata, è durissima: 430 operai di quel sito industriale entrano immediatamente in sciopero, dando il via a un vasto movimento di protesta che coinvolge tutta la regione. A dieci anni di distanza, un gruppo di storici ragiona sul valore di quello sciopero e ne descrive in queste pagine le tappe come spunto per una riflessione più ampia sulle trasformazioni avvenute negli ultimi anni nel mondo del lavoro. Per la sua dimensione, lo sciopero delle Officine è stato un evento eccezionale, che ha prodotto una vasta quantità di documenti capaci di illuminare un intero contesto sociale, politico, culturale, economico. Le fonti scritte e orali – rapporti sindacali, reportage, fotografie, racconti di operai – permettono senz'altro di conservare la memoria di quell'evento, ma aiutano anche a ripensare la stessa categoria di sciopero nel paese in cui, stando all'immaginario collettivo, sembrerebbe non avere diritto di cittadinanza. Il libro si conclude con un'intervista al regista Danilo Catti, pensata come una presentazione del suo documentario Giù le mani, qui allegato in dvd. In questa pellicola, poi proposta al Festival di Locarno 2008, Catti si è calato nei panni di un osservatore partecipante, stando quindi a stretto contatto, giorno e notte, con gli operai e la cittadinanza in fermento. In un'epoca dominata da una forte ideologia anti-operaia e anti-sindacale, lo sciopero delle Officine segna un traguardo: ha saputo trovare il linguaggio e gli strumenti adatti per dare di sé un'immagine di forza, trasversalmente seduttiva rispetto agli schieramenti politici, conquistando così una grande attenzione anche a livello internazionale.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788868439002
Categoria
Sociologia

IV. Il racconto di un cantone in sciopero

di Paolo Barcella e Nelly Valsangiacomo

1. Alle origini del conflitto.

A partire dagli anni ottanta, come accennato negli interventi precedenti, si è assistito anche in Svizzera all’avanzata dei processi di deregolamentazione e liberalizzazione che avrebbero profondamente modificato tanto le aziende quanto gli enti pubblici. La classe dirigente elvetica avanzava forti richieste di trasformazione nelle regole e nei processi produttivi, avviando una fase di ristrutturazioni. La flessibilità del lavoro appariva in questo quadro la principale richiesta, là dove ci si attendeva dalla stessa un contributo decisivo nell’ottica di ottimizzare l’uso degli equipaggiamenti e di adeguare la produzione alla domanda. Quelle misure gestionali e di organizzazione del lavoro andavano a comporsi in un quadro ideologico che sarebbe stato di riferimento per tutti i partiti svizzeri di governo, presentandosi come grimaldello per l’innovazione dell’amministrazione pubblica e la decentralizzazione dei servizi connessi ai quali si chiedeva un allineamento alle regole del mercato e ai meccanismi della concorrenza, dando sempre più importanza ai «risultati» e alla redditività. Il New Public Management si imponeva come modello di gestione pubblica: enti come le Poste e le Ferrovie federali svizzere venivano trasformati in società per azioni. Talvolta, anche a seguito di una privatizzazione, la Confederazione rimaneva comunque proprietaria degli enti, ma il cambiamento era comunque epocale, soprattutto per l’impatto sulla forza lavoro. Come si è visto, nel 2001 la legge sul personale federale eliminava la figura del «funzionario», lavoratore alle dipendenze dello Stato.
Le Ffs, in particolare, venivano trasformate in società anonima di proprietà della Confederazione, ma gestita dal management attraverso un contratto di prestazione, con la nuova legge sulle ferrovie. L’insieme delle attività veniva suddiviso in servizio trasporti – merci e viaggiatori –, infrastrutture e immobili: le Officine di Bienne e di Bellinzona si sarebbero occupate del traffico merci (Cargo), settore che nelle strategie della direzione generale assumerà sempre meno valore rispetto a quello passeggeri. Insieme alle esternalizzazioni, veniva avanti la nuova organizzazione del lavoro che penetrava alle Officine trasformate in Profit-Center nella forma del kaizen, ripensato in un ambiente industriale e culturale occidentale: diversi processi di «razionalizzazione» prevedevano lo studio dei corpi al lavoro, l’azzeramento delle scorte, la produzione su richiesta, l’esternalizzazione di alcuni servizi di manutenzione, l’estrema flessibilità degli orari di lavoro accompagnata dalla riduzione del numero di operai e dal contenimento complessivo dei salari. I lavoratori interinali aumentavano progressivamente anche presso l’Officina, dove inizialmente si sosteneva dovessero avere il solo scopo di rispondere a momenti di aumento del volume di lavoro, mentre già dal 2002 apparivano come presenze costanti e alternative ai lavoratori dipendenti.
All’interno delle Officine, i punti di vista critici nei confronti dell’insieme di questi processi erano numerosi, più o meno teoricamente fondati e argomentati: ma certamente si trattava di processi vissuti dalla maggioranza degli operai con un certo grado di disagio o anche, in qualche caso, con un deciso fastidio, alimentando di anno in anno il clima conflittuale nel quale maturerà l’«esplosione» incarnata dallo sciopero del 20081. La deregolamentazione, la flessibilità, i controlli introdotti con il kaizen vengono vissuti come fattori di declassamento del lavoro operaio, che perde dignità, autonomia ed è sempre meno un fattore di identificazione. Del resto, come ha scritto Loris Campetti in un recente volume,
il lavoro come identità presuppone creatività, professionalità, libertà, tendenzialmente esclude la presenza del padrone […]. Ma il lavoro è nei fatti identitario anche quando la sua centralità è percepita in forma totalizzante da chi lo vive innanzitutto come strumento di trasformazione collettiva della società. Il lavoro, in questo caso, è tutto: è dignità perché tutelato dai diritti conquistati, è ruolo sociale e familiare, è liberazione2.
I processi vissuti nei decenni precedenti lo sciopero appaiono in molte interviste esattamente come una sorta di svuotamento del lavoro da quella sua funzione identitaria: le trasformazioni tecniche e organizzative producevano un deciso mutamento nella cultura dei lavoratori, nella società di cui erano parte.
«Con l’organizzazione precedente, noi avevamo tutta la tecnica centralizzata a Berna… gli specialisti dei freni, delle radio degli impianti di sicurezza erano tutti là, quindi anche per noi, come Officina, era comodo. Quando c’era un problema normale, che riuscivamo a gestire noi, facevamo da soli. Quando invece c’era un problema più importante, più grosso, allora veniva gestito dalla centrale di Berna, la quale teneva conto anche dei problemi che abbiamo noi a Bellinzona, di quelli che avevano a Yverdon… e lì si creava una sinergia. E invece, con la divisionalizzazione, si è rotta questa relazione, questa sinergia: la divisione passeggeri ha dovuto crearsi i suoi specialisti, mentre la divisione Cargo anche ha creato i suoi specialisti che però erano il doppio. Dopo è successo che la divisione passeggeri era quella più grande, quella più ricca, praticamente ha preso tutti gli specialisti che c’erano prima di Berna. Alla Cargo invece era più difficile, perché c’erano più problemi finanziari, si guardava più ai costi, e lì avevamo delle lacune, proprio negli specialisti. Tanto che adesso si torna a mettere di nuovo tutto assieme e si vedono i vantaggi […]. Dal punto di vista della direzione la divisionalizzazione serviva per rendere responsabile finanziariamente ogni divisione. La Cargo era responsabile finanziaria del suo operare, quindi avrebbe dovuto coprire i costi dei veicoli della manutenzione, della tecnica, tramite i traffici merci, eccetera. Ma il mercato della Cargo è un mercato molto difficile dove c’era già e c’è sempre più concorrenza, concorrenza della strada, alla quale si è aggiunta la concorrenza delle ferrovie, quindi i guadagni son sempre stati molto piccoli e la Cargo, anche quando l’economia andava bene, ha sempre fatto cifre rosse. E questo ha avuto una ripercussione sui costi e sui risparmi, anche dal punto di vista dello sviluppo di una struttura che potesse seguire tutti i problemi tecnici in modo adeguato. […]. In effetti hanno sbagliato a divisionalizzare anche tutta la tecnica e la manutenzione dei veicoli ferroviari»3.
«Prima c’era anche la possibilità di imparare bene la professione, di capirla. Poi purtroppo non è più stato così, è cambiato radicalmente anche da noi il sistema. Oggi si pensa solo, come dico, che l’importante è avere un foglio di carta dove ci sono scritti i vari punti e dove è elencato, per esempio, come si fa una professione o come si fa un lavoro. E poi loro [i responsabili del degrado del lavoro] son convinti che quando io andrò via, lei arriva, le consegnano questo foglio e lei impara da quello a fare un lavoro ineccepibile. O no? Cioè son queste le cose che adesso stanno prendendo piede purtroppo… ma noi abbiamo un lavoro abbastanza specialistico e questo va costruito con l’esperienza delle persone e con certe professionalità. Oggi non puoi continuare a pensare che facendo giù pezzi di carta poi si riesca a trasmettere quello che la persona ha dentro. Professionalmente, ma anche culturalmente. Lì è stato un po’ lasciato da parte tutto questo e io vedo che in venticinque anni è peggiorato molto, adesso sono addirittura un dirigente team, il quale personalmente ha perso di attrattività… io l’ho fatto quasi un po’ per… quasi costretto, perché non volevo tra virgolette lasciare in mano a una qualche persona incompetente la responsabilità di sala prove»4.
«È successo non tanto tempo fa di decidere che la parte dettaglio, i perni, le cose tornite, le cose piallate, fresate, di piccola entità… dovevano essere fatte fuori. Da ditte esterne. […]. Perché di primo acchito doveva sembrare un miglioramento di redditività, cioè, in Officina costavano troppo, fuori costano meno, no? Questa era l’idea di base. Per far sì che l’operaio in Officina si dedicasse esclusivamente alla manutenzione. […]. Il lavoro più o meno c’era, non è che il lavoro è regredito, anzi… magari per un certo periodo è anche aumentato. Vuol dire che l’operaio si assume un carico di lavoro crescente. Ammettendo che i primi tempi non era proprio così impegnativo, no? Non era così impegnato l’operaio, diciamo aveva le sue belle pause, no? Queste pause sono diminuite, sempre più diminuite, fino che è subentrato anche questo kaizen che ha cominciato a copiare la situazione giapponese, che poi era discutibile perché si parlava di impiantare in un’officina di manutenzione un discorso fatto in fabbriche dove producevano, dove l’ottica del lavoro era differente…»5.
«Sì, il kaizen lo abbiamo fatto anche noi ed è un tasto dolente, nel senso che è ridicolo che una ditta deve sborsare soldi per quel genere di cose… perché ormai lo fanno per burocrazia, non so… comunque è una ditta che viene a costare milioni che viene a dirti: “Oggi metti a posto il tuo scaffaletto, cambi quel pezzo rotto, se ce ne sono rotti, pittura la macchina che poi mettiam su questo e quello…”. È una cosa che una volta c’era anche senza kaizen: per esempio, ogni venerdì dopo pranzo tutti pulivano il reparto… lui puliva la macchina, uno puliva per terra, faceva ordine nello scaffale, cioè veniva fatto tipo un mini kaizen… però comunque al venerdì era sempre pulizia e quelle cose lì… venivano automatiche. A un certo punto non lasciano più neanche il tempo di pulire una macchina, perché devi fare roba urgente di qua, roba urgente di là… il kaizen lì, forse è brutto dirlo, comunque fa parte dei business che devono girare perché è così, non lo so io… dico io è. […] Gli interventi degli specialisti del kaizen deleteri… cioè, uno che lavora resta scioccato… possibile che se devo montare sei sedie con delle viti, loro dicono che se ne monti una alla volta alla fine impieghi meno tempo… cioè se prendi in mano il trapano una volta, e prendi le viti e avviti sei sedie in un colpo solo, il trapano lo prendi una volta e lo depositi una volta, è una cosa elementare, facendo come dicono loro devi prenderlo, avvitare, spostar la sedia, prenderne un’altra, prenderlo… cioè… è normale, abbiam fatto anche delle prove… prove vere… sul tempo di smontaggio è delle B-24, quelle lì con le rotelle… a smontarle una alla volta ci si mette tot, smonti e fai finito, prendi un’altra e fai finito, fanne sei in un colpo solo e guadagni… ci metti veramente molto meno, parti da in cima fai, sviti tutti i bulloni, e poi togli tutti i coperchi, metti tutto su un carrello, togli tutte le viti, togli tutto… cioè veramente… è elementare no… loro però giocavano sul fatto che se ne fai una alla volta, quella una lì viene già lavorata dal prossimo… se dai carro per carro, lavora il prossimo, carro per carro… son quelle teorie che usano quando voglion farti credere che l’acqua va in su. Certo, può andare in su ma con un motore… sennò di regola va in giù»6.
«Dopo è stato introdotto massicciamente il kaizen e tutte queste teste calde di periti aziendali… questi periti sono entrati in gran massa alle Officine [e] hanno riempito gli uffici: non c’era più posto per loro e addirittura si sono fatti uffici per questi tipi. Loro arrivavano tutti i giorni nelle Officine, nell’officina dove si lavora a guardare cosa facevi e ti davano il tempo di lavoro e ti stavano dietro con il cronometro. Ciò che a me mi infastidiva alquanto… […] nella forgia, però, non sono mai arrivati, perché non sanno neanche come si accende, com’è. Ecco e allora così… e dopo lì è stato il degrado e perché lì questi tipi avevano il compito di controllare, ma non ti davano mai abbastanza tempo per fare il lavoro, e allora alla fine ti dicevano bon, allora questo lavoro lo facciamo fare in privato perché qui non rende. E di lì che molti lavori che facevamo alle Officine sono andati nel privato»7.
«Poi è arrivato il kaizen, sì. Il kaizen è stato introdotto negli ultimi due anni, forse nel 2006. [Su di noi], come servizio tecnico, non ha avuto influenza. Ha avuto più influenza sull’Officina. Ma, diciamo, secondo me il problema del kaizen a Bellinzona è particolare… perché il kaizen è stato introdotto anche nelle altre officine, a Yverdon, a Olten, però lì la situazione di base era diversa. Perché le altre officine erano in una situazione di crescita, cioè il lavoro aumentava. Quindi razionalizzando il posto di lavoro, razionalizzando le attrezzature eccetera il risultato era positivo… se si razionalizzavano dieci veicoli, nello stesso posto l’anno dopo si riusciva a fare la revisione di qu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. I. Gli scioperi in Svizzera
  7. II. L’Officina di Bellinzona tra realtà e rappresentazione: una cronologia
  8. III. Un cantone in sciopero: le fonti
  9. IV. Il racconto di un cantone in sciopero
  10. V. «Giù le mani», un documentario dentro lo sciopero