Cooperative da riscoprire
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Dieci tesi controcorrente

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Dieci tesi controcorrente

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Piccole. Persino troppo per concorrere alla pari con altre forme d'impresa, per innovare, per partecipare con credibilità al dibattito pubblico, per anticipare bisogni oggi potenziali e domani necessari. Desuete. Lontane rispetto alle istanze di una digitalizzazione ampiamente invocata e di un'economia ormai condivisa, on demand, ritmata da un clic. Sottocapitalizzate. Meno efficienti delle imprese di capitali. Dipendenti dall'attenzione quasi assistenzialista che muove la mano pubblica. Favorite, privilegiate. Persino false. E per questo biasimabili a cadenza regolare nelle dichiarazioni pubbliche di chi, di volta in volta e al di là del colore, varca gli spazi del Parlamento. Parlare di cooperative porta inevitabilmente qui: nelle retrovie buie e incerte di una narrazione dominante, di una rappresentazione ampiamente ricorrente quanto scarsamente corrispondente all'originale. Vero e verosimile, percezione e realtà pare confondano persino chi, quotidianamente, anima il sistema cooperativo. Ma quanto c'è di vero? Quanto i detti corrispondono ai fatti? L'Istituto europeo di ricerca sull'impresa cooperativa e sociale (Euricse) se l'è chiesto, sin dalla sua fondazione. E alla mancanza di analisi empiriche a supporto delle tesi mainstream ha risposto con evidenze, numeri, disamine teoriche. In occasione dei suoi primi dieci anni di vita, Euricse ha quindi raccolto alcuni dei risultati delle ricerche più rilevanti prodotte in tempi recenti. L'ha fatto per dare consistenza alle parole. L'esito è una riflessione che getta nuove basi, meno emotive e più scientifiche, per capire il futuro di un sistema – quello cooperativo – che ha ancora più di una sfida da vincere e che ha tutto il potenziale per interpretare le trasformazioni che segneranno il nostro tempo e quello a venire.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788868439057

IV. Privilegiate perché non pagano imposte?

di Eddi Fontanari e Carlo Borzaga

1. Introduzione.

Una delle convinzioni più diffuse, sia tra i policy maker sia tra gli operatori economici, è che le cooperative godano di elevate e ingiustificate agevolazioni fiscali. E sono in molti a ritenere che si tratti di privilegi che causano situazioni di concorrenza sleale e riducono il contributo delle cooperative alla formazione delle entrate pubbliche. Un’opinione che a sua volta ha dato impulso a denunce e richieste di abolizione o quantomeno di revisione delle agevolazioni in sede nazionale e comunitaria, con ampia produzione di documenti e accaniti dibattiti. Riflessioni caratterizzate spesso da semplificazioni e confusioni.
Raramente, infatti, chi ha contestato o contesta il trattamento fiscale delle cooperative tiene in debita considerazione le caratteristiche di queste forme di impresa nonché la natura e la rilevanza quantitativa delle agevolazioni di cui godono. In primo luogo, si sottovaluta il fatto che alcune agevolazioni trovino fondamento nella previsione, da parte del legislatore, di precisi vincoli a carico delle cooperative che ne beneficiano, soprattutto del vincolo alla distribuzione tanto degli utili quanto del patrimonio. In secondo luogo, le agevolazioni riguardano solo alcune imposte, spesso marginali in termini di gettito e destinate a compensare alcuni limiti strutturali di un particolare tipo di imprese – le cooperative ma anche le piccole e medie imprese – o per incentivare determinati comportamenti. Infine, si confondono spesso due conseguenze assai diverse delle agevolazioni: la lesione del principio della parità di trattamento – e quindi il loro configurarsi come aiuto di Stato – e la riduzione, anche significativa nel caso delle grandi cooperative, del gettito fiscale e quindi del contributo alle finanze pubbliche. Quest’ultima conseguenza – quella forse più rilevante in un paese con un debito pubblico particolarmente elevato – deriva però da una convinzione mai sottoposta a verifica: ovvero che la distribuzione del valore ai fattori sia la stessa in tutti i tipi di imprese. Se così non fosse, non è detto che sarebbero le imprese più agevolate a contribuire meno delle altre al bilancio dello Stato.
Il limite principale di questo dibattito è la mancata verifica degli effetti reali di tali agevolazioni, in particolare del paventato «grave detrimento» che causerebbero all’erario pubblico. Infatti non risultano esistere, a oggi, analisi serie e oggettive volte ad analizzare l’effettivo contributo delle cooperative in generale e, in particolare, di quelle italiane alle finanze pubbliche, sia in assoluto sia rispetto alle altre imprese. Non si è dunque a conoscenza di studi che quantifichino il gettito fiscale delle diverse forme di imprese e che tengano conto di tutti i tipi di prelievo, non solo di quelli per i quali le cooperative godono di qualche agevolazione.
Per individuare empiricamente e quantificare con precisione se le cooperative siano o meno avvantaggiate da un punto di vista fiscale, è necessario prendere in considerazione non le singole imposte – in particolare quella sugli utili non distribuiti ai proprietari – ma la «pressione fiscale» complessiva a cui sono soggette. Solo così è possibile tenere conto dell’ammontare complessivo delle risorse variamente trasferite dalle imprese alle casse dello Stato. In questo modo si sommano alle imposte calcolate sul reddito d’impresa anche quelle gravanti sui redditi da lavoro e i relativi contributi sociali, riuscendo così a includere anche gli effetti dell’eventuale diversa distribuzione del reddito ai fattori di produzione. In altri termini, calcolando la pressione fiscale complessiva è possibile quantificare la percentuale del valore generato dall’impresa che viene versato nelle casse pubbliche, indipendentemente dagli aggregati su cui è calcolata e dalla sua destinazione (se all’Inps o al Tesoro)1.
Questa verifica è oggi possibile con riferimento all’economia italiana attraverso l’analisi congiunta dei bilanci depositati presso le camere di commercio e resi disponibili nella banca dati Aida - Bureau van Dijk e delle informazioni fornite dall’Istat (Istat 2015) che permettono di disaggregare il costo del lavoro risultante dai bilanci tra la parte che viene versata alle casse pubbliche e la retribuzione netta. Grazie all’impiego di questo dataset, è quindi possibile calcolare in particolare la pressione fiscale che grava sia sulle cooperative sia sulle Società per Azioni attive in Italia (escluse le società bancarie e assicurative) con bilancio disponibile in tutti gli anni dal 2009 al 2015.

2. L’evoluzione della normativa.

Prima di illustrare i risultati della ricerca che sta alla base di questo capitolo, è utile ripercorrere brevemente l’evoluzione delle norme fiscali applicate alle cooperative. Malgrado siano ancora in molti a ritenere che le cooperative italiane abbiano sempre goduto – e godano tuttora – di importanti benefici fiscali, uguali per tutte le tipologie, in realtà nel corso degli ultimi decenni il trattamento fiscale delle cooperative è stato modificato più volte e in modo significativo. A guidare queste revisioni sono state prima la volontà di sostenere lo sviluppo di queste forme di impresa, poi la volontà di adeguare la normativa italiana alle indicazioni europee.
In Italia è la Costituzione (art. 45) a sancire la «funzione sociale» delle cooperative e a prevedere che le politiche pubbliche debbano promuoverne la diffusione. Si spiega così il decreto del capo provvisorio dello Stato, meglio conosciuto come «decreto Basevi» (d.lgs. C.P.S. n. 1577/47). Il provvedimento ha tradotto in pratica la funzione sociale prevista dalla Costituzione, imponendo alle cooperative un limite alla distribuzione dei dividendi e un divieto totale di distribuzione sia delle riserve durante la vita sociale sia dell’intero patrimonio residuo in caso di scioglimento. Riservando solo a queste cooperative la «protezione costituzionale» si è voluto, da un lato, garantire lo scopo non lucrativo di queste imprese e, dall’altro, promuovere la loro patrimonializzazione, compensando le loro difficoltà a ricorrere al mercato dei capitali.
Questo peculiare sistema di vincoli era in grado di giustificare un eventuale trattamento fiscale di favore, rispetto a quello delle imprese convenzionali anche alla luce dell’art. 53 della Costituzione italiana, il quale stabilisce che il non possesso del reddito, come nel caso della non distribuibilità degli utili, costituisce il presupposto per la decadenza del requisito alla base dell’assoggettamento alla tassazione.
Anche se già dal 1920, con l’entrata in vigore dell’art. 7 del regio decreto 1759/1919, le cooperative tra braccianti agricoli godevano della non tassabilità degli utili non distribuiti, solo nel 1971 – con la legge n. 127 e successivamente con il d.p.r. n. 601/73 – viene riconosciuta l’esenzione totale del reddito d’impresa dalle imposte sulle società a tutte le cooperative che si impegnino in statuto al rispetto di quanto previsto dal decreto Basevi. Ma già nel 1977 (legge n. 904) il campo di applicazione dell’esenzione viene ristretto alle sole somme destinate alle riserve indivisibili, «a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci». Sempre in ottica di sostegno del modello cooperativo, con la legge n. 59/92 viene limitata in parte la discrezionalità delle cooperative nella destinazione dell’utile, imponendone l’assegnazione obbligatoria per almeno il 20% a riserva legale e per il 3% ai fondi mutualistici previsti e istituiti dall’art. 12 sempre della stessa legge del 1992. Anche nella parte di utili destinata ai fondi mutualistici è prevista la totale esenzione da tassazione.
Questo trattamento di relativo favore – relativo perché comunque condizionato alla non distribuibilità di utili e patrimonio – è stato messo in discussione a partire dalla fine del secolo scorso ed è coinciso con la crescita della rilevanza economica delle cooperative. Tra il 2001 e il 2005 vennero presentati in sede europea numerosi ricorsi da parte di alcuni competitor italiani. Queste impugnative avevano come oggetto proprio il regime fiscale preferenziale, ma non per tutte le cooperative, bensì per le Banche di credito cooperativo e le cooperative di consumo. In risposta a questi contenziosi, la commissione avviò una procedura per verificare se il trattamento fiscale delle cooperative configurasse o meno una violazione della disciplina in materia di aiuti di Stato. Questi ricorsi – unitamente a una serie di altre ragioni, tra cui una maggioranza di governo non favorevole alle cooperative – portarono alla decisione di modificare il sistema di tassazione di tutte le cooperative. Con l’art. 6 della legge n. 112/02 – «Progressivo adeguamento ai principî comunitari del regime tributario delle società cooperative» – l’esenzione totale dall’imposta sugli utili prevista dalla legge n. 904/77 fu limitata alla sola riserva minima obbligatoria (20%), mentre per la parte restante la non tassabilità fu limitata al 60% nel caso delle agricole e al 39% per tutte le altre cooperative. A eccezione delle cooperative sociali che continuarono a godere della totale esenzione dalla tassazione sul reddito d’impresa. Questo provvedimento rimase in vigore nel 2002 e 2003, l’anno della riforma generale del diritto societario.
La legge di riforma del diritto societario introdusse a tutela della funzione sociale delle cooperative un ulteriore vincolo sulla distribuzione di utili e patrimonio, aumentando la quota da portare obbligatoriamente a riserva dal 20% al 30%, e aggiunse l’obbligo di riservare ai soci almeno il 50% dei servizi prodotti o, per le cooperative di lavoro, dei salari erogati (denominato anche «vincolo mutualistico»). A seguito di questa nuova previsione, le cooperative sono ora classificate in due categorie – «a mutualità prevalente» e «diverse» – a cui corrispondono sia obblighi sia benefici fiscali diversi.
Negli anni successivi alla riforma, si sono susseguite diverse ulteriori modifiche del regime fiscale dei due tipi di cooperative, che hanno interessato, di volta in volta, tutte o solo alcune tipologie cooperative e gli utili portati a riserva, obbligatoriamente o volontariamente. Attualmente, per le cooperative a mutualità prevalente, l’esenzione fiscale si applica, oltre che al 90% degli utili portati alla riserva minima obbligatoria (il 27% dell’utile per tutte le cooperative e il 63% per le Banche di credito cooperativo)2, a un ulteriore 50-53%3 degli utili delle cooperative agricole e della pesca, a un ulteriore 30% di quelli delle cooperative di produzione e lavoro nonché al 5% di quelli delle cooperative di consumo. Soltanto le cooperative sociali hanno mantenuto una detassazione pressoché totale degli utili non distribuiti. Infine nelle cooperative a mutualità non prevalente l’esenzione è prevista solo per il 30% degli utili annuali.
È del tutto evidente che i provvedimenti che si sono succeduti hanno colpito, senza ragionevole giustificazione, soprattutto la cooperazione di consumo. Questo atteggiamento punitivo del legislatore nei confronti di tale forma di cooperazione è confermato da un ulteriore intervento, rivolto alla categoria a mutualità non prevalente. La legge n. 116/2014 ha infatti ridotto, solo per queste cooperative, l’agevolazione sul 30% degli utili portandola al 23%.
Come è già stato sottolineato, questa progressiva e significativa riduzione delle agevolazioni fiscali previste per le cooperative è stata influenzata (e guidata) dalle raccomandazioni comunitarie giunte in seguito ai ricorsi avanzati da concorrenti e giudici italiani. Ricorsi che hanno portato nel 2008 all’apertura di una procedura di infrazione per violazione del divieto di aiuti di stato (SA 24877 [E1/2008]), con la chiusura amministrativa del caso, nel 2014, proprio grazie alle modifiche legislative intervenute dal 2008.
Troppo tardi per interrompere il processo di riduzione delle agevolazioni è intervenuta la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea dell’8 settembre 2011. La pronuncia, contr...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Cooperative da riscoprire
  6. Introduzione. di Carlo Borzaga
  7. I. Nane e marginali? di Gianluca Salvatori
  8. II. Sottocapitalizzate e bisognose di finanza? di Eddi Fontanari
  9. III. Poco efficienti perché democratiche? di Carlo Borzaga e Silvia Sacchetti
  10. IV. Privilegiate perché non pagano imposte? di Eddi Fontanari e Carlo Borzaga
  11. V. Lavorare nelle coop: occupazioni di serie b? di Chiara Carini e Sara Depedri
  12. VI. Imprese vere o sussidiate da denari pubblici? di Giulia Galera
  13. VII. Non solo «worker buyouts»: la capacità di creare occupazione nella crisi. di Chiara Carini
  14. VIII. Quando la cooperazione riscopre la comunità. di Jacopo Sforzi
  15. IX. C’è la sharing economy: le cooperative sono superate? di Riccardo Bodini, Gianluca Salvatori, Flaviano Zandonai
  16. X. Per una riattualizzazione delle Banche di credito cooperativo. di Ivana Catturani e Silvio Goglio
  17. Bibliografia
  18. Gli autori