Il diritto del duce
eBook - ePub

Il diritto del duce

Giustizia e repressione nell'Italia fascista

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il diritto del duce

Giustizia e repressione nell'Italia fascista

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Giustizia e repressione: quali rapporti hanno intrattenuto nel processo di sviluppo, consolidamento e crisi del regime fascista? Questo binomio rappresenta un'importante prospettiva a partire dalla quale ricostruire la storia di qualsiasi regime totalitario, e del fascismo in particolare, visto che in questo caso la storiografia ha insistito soprattutto sulla repressione, trascurando il fatto che il regime fascista ha coltivato un'idea e una cultura istituzionale della «giustizia» in parte nuove, in parte collegate alle fragili radici del principio di legalità dello Stato liberale. Attraverso l'analisi dei protagonisti istituzionali, dei codici, degli organismi giudiziari, delle logiche e delle pratiche politico-giuridiche, nei saggi che compongono questo volume si delinea il processo di torsione in chiave repressiva che gli organi di giustizia hanno subito durante il ventennio all'interno di un quadro di asserita legalità, evidenziando altresì l'influsso che i «discorsi della giustizia» hanno avuto sulle forme giuridiche, politiche, istituzionali del fascismo. Dall'istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato al ruolo della magistratura, dai codici Rocco alla giustizia della razza, dall'utilizzo dei manicomi giudiziari per la repressione del dissenso all'erosione dello Stato di diritto: il regime usa, aggiorna, strumentalizza i linguaggi e le rappresentazioni della giustizia ricorrendo a forme e procedure che valorizzano la logica del «processo» e della «giustizia». Ne emerge il quadro di una giustizia intesa come «sistema integrato» che ricomprende ideologie, dottrine e pratiche di prevenzione e di repressione e che ebbe, sotto il fascismo, un'indubbia «valenza costituzionale», secondo un modello che serviva a «reprimere» ma anche a istituzionalizzare il regime e a governare il «nuovo» Stato.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il diritto del duce di Aa. Vv., Luigi Lacchè in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a History e World History. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788868434205
Argomento
History
Categoria
World History

IX. Il segreto politico nella giurisprudenza del Tribunale speciale per la difesa dello Stato

di Alessandra Bassani e Ambra Cantoni*

1. Introduzione.

Nonostante l’apparente evidenza, il Tribunale speciale per la difesa dello Stato costituisce nel regime fascista un istituto caratterizzato da una profonda ambiguità1: ambigua ne è la composizione, rispetto alle finalità «istituzionali» dell’organo, perché se il fine principale è la tutela dello Stato/regime e dei suoi rappresentanti e scopi, come giustificare il massiccio utilizzo della Milizia volontaria, recente «legalizzazione» del problematico e infido magma squadrista e anch’essa recante un’impronta confusa quanto al suo reclutamento?2
Ambigua ne è la natura di organo giurisdizionale, proprio in relazione alla proclamata eccezionalità e temporaneità, aspetto sul quale molteplici si dimostreranno le contraddizioni del regime, perché se si vuole identificare il partito con le istituzioni, il tribunale che lo/le difende non può essere temporaneo, quando lo Stato, e il partito, certo non lo sono; e se Mussolini non si fida della magistratura ordinaria, allora non si fida della compiuta fascistizzazione di essa dopo le riforme della seconda metà degli anni venti3. Se nel 1931 la ritiene invece compiuta, perché prorogare (si badi: solo prorogare, contro l’opinione di molti «fedeli», che lo vorrebbero permanente, primo tra quali Silvio Longhi) il Tsds, e non affidare la tutela delle istituzioni alla magistratura fascistizzata e ai codici ormai fascisti?4
E profondamente ambigua ne è la procedura, che chiama in servizio un vetusto codice militare di guerra in un clima di totale rinnovamento delle strutture del rito penale che verrà a conclusione di lì a poco e che comunque sarà dal Tsds ignorato. Tale scelta corrisponderebbe a una logica che è stata spiegata sul piano storico: la «normale» eccezionalità della Corte, che si inserisce in una consolidata tradizione ereditata dal regime liberale, si manifesta proprio nella procedura adottata: «agli organi di giustizia militare strumentalizzati a fini politici si sostituisce un organo di giustizia politica che opera con strumenti di carattere militare» e tale scelta fu infatti consapevole e meditata dallo stesso guardasigilli5. Emerge tuttavia palese, anche dalle parole dello stesso Rocco, come nel 1931 la definitiva realizzazione delle riforme penali del fascismo avrebbe dovuto riassorbire in uno i due livelli di legalità o consentire una scelta consapevole e definitiva di sdoppiamento che consegnasse la difesa dello Stato a un organo che sembrava offrire al regime un «marchio» dalla forte caratterizzazione identitaria: quasi un brand, per usare una terminologia di marketing utile a porre in rilievo la valenza propagandistica dell’operazione attuata da Rocco tra il 1926 e il 1931.
Ma soprattutto ambigua fino alla totale opacità di intenti, e alle realizzazioni di tali intenti, ne è la competenza: e qui sta il punto del presente saggio. Perché il procacciamento e la rivelazione dei segreti politici, lo spionaggio, hanno carattere rivelatore di tale polivalente ambiguità di fondo del Tribunale speciale e si pongono in una zona grigia di confine fra il reato tecnicamente politico e quello comune divenendo l’anello che collega, e unisce, le due sfere di rilevanza penale in una sola, quella del penale politico fascista totalizzante, che colpisce il reo non perché, oggettivamente, delinque, ma perché, soggettivamente, è «contro»6. Il fascismo, con tipico opportunismo, utilizza e sviluppa qui concetti e suggestioni espresse in precedenza, con finalità certo diverse, dalla Scuola positiva: basti leggere la Relazione di Enrico Ferri al Progetto preliminare di codice penale del 1920-21 che gli era stato commissionato da Ludovico Mortara, allora guardasigilli:
Ma è soprattutto nello stabilire la norma legislativa che il delinquente deve passare in prima linea […]. Onde questa constatazione che è il punto di arrivo per l’azione giudiziaria è invece il punto di partenza per l’opera del legislatore. […] Ogni delitto prima di essere un ente o un rapporto giuridico è l’azione di un uomo. […] In conseguenza, i provvedimenti di difesa sociale contro la delinquenza devono essere adattati non tanto alla obbiettiva gravità maggiore o minore del delitto – come si è fatto finora da tutte le legislazioni penali – quanto alla maggiore o minore pericolosità del delinquente7.
L’opacità richiamata era implicita fin dalla nascita dell’organo, che non per nulla vede le proprie competenze fissate da una legge apposita che «reimpiega» il codice Zanardelli, modificandone, forzandone e strapazzandone gli articoli, ampliandone lo spettro punitivo in un’aperta anticipazione della riforma penale del 1930 che, sostituendo con la «personalità» la «sicurezza dello Stato»8, crea un nuovo e diverso concetto di delitto politico9, inteso a tutelare nel modo più ampio ogni aspetto della vita e dei beni dello Stato e che confonde sempre più le categorie della rilevanza penale e i motivi che vi sono sottesi. Tuttavia, le intrinseche contraddizioni si manifestano nel 1931, quando un nuovo codice penale, un nuovo codice di rito e delle nuove Corti d’assise non bastano a far sentire sicuro il regime quanto alla difesa della personalità dello Stato: «Non sembra opportuno lasciare al criterio mutevole dei tribunali ordinari la valutazione di fatti di carattere politico, che spetta ad una magistratura essenzialmente politica»10. Tuttavia la proroga sarà solo quinquennale, poi rinnovata nel 1936, negli anni del consenso, mentre nel 1941 essa sarà a tempo indeterminato11 e si accavallerà ad ampliamenti monstre della competenza che costituiranno solo l’implosione, accelerata dalle difficoltà belliche, di un processo di avvitamento paranoico del regime intorno alle proprie paure, delle quali quella del tradimento costituisce fin dall’inizio una delle più esemplificative12.
Il tradimento è il tratto che unisce le fattispecie previste dai codici militari del 1941 che vengono sottratte ai tribunali militari per essere affidate, ennesimo strappo al giudice naturale ormai inavvertito, al Tsds. Alla paura del disastro «economico» si collegano invece i reati in materia di scambi, valute e commercio dell’oro attribuiti al Tribunale speciale nel 1939. Ma la più evidente distorsione delle sue competenze si ha tra 1940 e il 1942, quando gli viene affidata un’impressionante serie di reati comuni, che vanno dall’omicidio allo stupro fino al furto, qualora siano commessi «profittando delle circostanze dipendenti dallo stato di guerra». Come sottolinea Manzini, la «politicità» di questi reati è costituita dalla mancanza di solidarietà verso lo Stato in un momento di difficoltà: il reo anzi «cerca e trova nello stato di guerra un incitamento o un’agevolazione alla delinquenza»13, di fronte a una tale perversione14 il regime si arrocca nel suo mastio perché non si sente sicuro nel proprio territorio.
Ma perverso è anche chi tradisce, chi rivela segreti che lo Stato ritiene fondamentali per esercitare proficuamente le proprie funzioni politiche: ecco in quale senso lo spionaggio è reato che rivela ab origine le contraddizioni nelle quali il regime è posto dalle proprie insicurezze15. Restando in ogni caso chiaro che lo spionaggio ha natura di reato tecnicamente politico16, i modi della sua repressione, intrecciati alla vicenda del Tsds, costituiscono l’altra faccia della medaglia rispetto al volto che si vuole ordinato del regime, il quale tende a rimuovere angosce inconfessate: di non avere davvero eliminato ogni opposizione, di non riuscire a controllare ogni aspetto della vita dello Stato, di non realizzare il benessere promesso agli italiani, di venire tradito da cittadini non educati e non convinti. Questo il senso del mantenere un organo come il Tribunale speciale in un regime di proroga a tempo, stretto nella morsa tra l’affermazione della sua inutilità, in un contesto di piena affermazione della rivoluzione fascista nella società italiana, e la sua necessità, come spazio sicuro e controllato di realizzazione dell’ordine del regime contro le distorsioni date dalla perversità di chi non ne capisce e non ne accetta l’ineluttabilità.
La repressione della violazione del segreto politico costituisce un’evidente spia della organicità del Tribunale speciale rispetto al doppio livello di legalità che ha consentito la prosecuzione della dialettica interna al sistema penale tra garanzia dell’individuo/difesa dello Stato17. Il paradigma emergenziale, esacerbato dalla forza dell’organizzazione partitica comunista e nutrito dagli attentati del 1926, in un crescendo non sappiamo quanto casuale o provocato che innescò un corto circuito nella paranoia che è caratteristica di ogni regime totalitario, non determina infatti una scomparsa dell’eccezione e un riassorbimento del secondo livello di legalità nel sistema penale18; esso anzi permane, come illustrato sopra, con caratteristiche di temporaneità che esaltano quel «tratto aporetico» del sistema penale per il quale la legalità dell’emergenza svolge una funzione di tutela dello Stato anche «contro la persona»19.
Tale «temporaneità permanente» crea perplessità soprattutto in relazione alla centralità del Tribunale speciale nella macchina repressiva del regime e alla sua «spiccata rilevanza costituzionale»20. In tale contesto erano infatti giustificate le numerose richieste fatte da esponenti del fascismo di normalizzare la Corte, soprattutto da quando era dipendente dal capo del governo, rendendola definitiva e devolvendole tutti i reati più gravi oltre a quelli politici, azzerando in tal modo le Corti d’assise, ritenute poco affidabili nonostante la riforma21. Tuttavia Mussolini non accede agli inviti di ammettere con chiarezza che il Tsds è in realtà il tribunale organico al regime22 ma gli conferisce, nella «giustizia politica» di repressione, un ruolo di «hub strategico»23, svolto attraverso lo smistamento dei casi da affidare alla giustizia ordinaria24, così ponendolo, ancora una volta, ambiguamente, su un sottile crinale tra l’insopprimibile diffidenza verso la magistratura e la vanagloriosa affermazione della sua fedeltà25.
Allora è vero in fondo che lo spazio della giustizia nella dialettica con la politica resta mitico e ineliminabile, quanto meno nel contesto italiano?26 Va considerato, in questo schema, che non può prescindersi dal dato oggettivo per il quale il momento in cui, nel 1931, il Tsds viene posto sotto la direzione del capo del governo e diviene diretta emanazione della volontà di Mussolini, sembra segnare la fine dello spazio autonomo e performante della giustizia. L’insistenza di Mussolini nel mantenere una parvenza di specialità e provvisorietà al Tsds manifesterebbe un legame inconscio con il sistema liberale di dialettica fra politica e giustizia e altresì una necessità evidente a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Tra giustizia e repressione: i volti del regime fascista
  6. I. Lavoratori ribelli e giudici eversivi. Sciopero e licenziamento collettivo nella giurisprudenza di Cassazione tra 1900 e 1922
  7. II. I processi ai «maggiori esponenti di idee contrarie al governo nazionale» prima dell’istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato
  8. III. I reati contro lo Stato e l’intreccio tra fascismo e democrazia negli anni venti e trenta del Novecento: vilipendio, libello sedizioso e la sospensione della legalità
  9. IV La magistratura e la politica della giustizia durante il fascismo attraverso le strutture del ministero della Giustizia
  10. V. Il confino di polizia, la «Schutzhaft» e la progressiva erosione dello Stato di diritto
  11. VI. Il diritto penale totale. «Sistema di valori» o mera repressione?
  12. VII. La grazia e la giustizia durante il fascismo
  13. VIII. Per una storia del Tribunale speciale: linee di ricerca tra vecchie e nuove acquisizioni
  14. IX. Il segreto politico nella giurisprudenza del Tribunale speciale per la difesa dello Stato
  15. X. La follia nei processi del Tribunale speciale per la difesa dello Stato
  16. XI. Il Tribunale del popolo durante il dominio nazista (1934-45)
  17. XII. La giustizia della razza. I tribunali e l’art. 26 del r.d. 1728 del 17 novembre 1938
  18. XIII. I tribunali speciali della Repubblica sociale italiana
  19. Gli autori