Europa matrigna
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Sovranità, identità, economie

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Sovranità, identità, economie

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L'Unione europea non è il Santo Graal. Come tutte le creazioni umane ha pregi e difetti: gli inglesi, che hanno scelto di uscirne, stanno dimostrando quanto sia difficile e costoso rinunciare ai benefici che questa appartenenza comporta. Nonostante ciò, molti cittadini europei la criticano, a volte a giusto titolo a volte meno, senza tuttavia avere la percezione dei vantaggi che essa assicura. Prova ne è l'ondata di malcontento antieuropeista che sta montando in molti paesi dell'Ue. Partiti nazionalisti, sovranisti, a volte apertamente razzisti e xenofobi, non fanno più paura e, stando ai sondaggi, attirano un elettore su tre. La loro base è alimentata dalla rabbia e dalla sfiducia crescente verso i partiti tradizionali, ritenuti incapaci di rispondere alle richieste di cambiamento. Queste rivolte contro il vecchio ordine politico, contro un mondo globalizzato e senza confini dal quale si sentono esclusi, portano alla rivendicazione di un ritorno a sovranità nazionali chiuse nonché al rifiuto di una governance di Bruxelles. Così, l'Ue è percepita come una matrigna che avanza pretese senza dare nulla in cambio. La realtà però è ben diversa. Pochi politici hanno il coraggio di dirlo e i media tendono a inseguire il rumorio delle pulsioni eversive che fioriscono sui social invece di raccontare ciò che funziona o come funziona. Questo libro analizza i grandi temi del dibattito sull'Europa (l'identità nazionale, la sovranità, la questione demografico-migratoria e la crisi economica) e cerca, appoggiandosi anche sulla storia, di rispondere alle accuse che a essa vengono mosse da ogni parte. Pur avendo ben chiari i limiti dell'Unione europea, Thierry Vissol ci racconta che cosa può offrirci questa così bistrattata «matrigna», invitandoci a considerarla non tanto un problema ma come l'unico modo per preservare veramente la nostra identità e sovranità. Una grande opportunità, che necessita di lungimiranza, impegno e immaginazione.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788868439729

IV. Europa e identità europea

Parlare di Europa presuppone che esista un’entità che possa essere definita come tale e che sia pensata, descritta e definita come uno spazio con delle caratteristiche comuni al suo interno. Molti mettono in dubbio che un tale spazio esista o che – se esiste – la sua definizione sia variabile e le sue frontiere flessibili, come lo fu nella storia antica e nella storia moderna. Certo, c’è una differenza tra l’Europa – qualsiasi siano i suoi confini geografici – e l’Unione europea, nuova entità geografica e politica, inserita però nell’Europa continentale e parte fondante di quella che chiamiamo civiltà occidentale: una civiltà che ci è stata trasmessa dal mondo neolitico e celtico, dalla Grecia, dall’Impero romano, dalla cristianità, dall’Illuminismo, dal marxismo, dai movimenti socialisti e anarchici, dal fascismo, dal liberismo, dall’individualismo, dalla Rivoluzione industriale e dallo Stato di diritto, cioè da governi fondati sulle leggi. Quindi, questa entità che chiamiamo Europa – dal mito della attraente principessa fenicia Europa (originaria dell’Asia) ricercata senza successo da suo fratello Cadmo dopo essere stata rapita da Zeus e portata a Creta – è stata costruita su una storia continentale, culturale, politica: in breve su un intreccio di civiltà secolari, non sempre compatibili e spesso in conflitto tra loro, nonostante i molteplici tentativi di sintesi pacifiche o bellicose. Ed è questa storia complessa e certamente non lineare che costituisce un nucleo di memoria comune per la pluralità di individui, di civiltà e di culture che vivono delle appartenenze comuni, di un senso comune europeo. Tuttavia, perché tale nucleo di memoria comune, positivo e negativo al contempo, possa costituire un patrimonio comune, occorre che questa memoria sia accessibile e condivisa. È un imperativo che serve a costruire il suo presente e il suo futuro, a creare la sua identità moderna, con una condivisione delle sovranità nazionali, integrate in una sovranità europea, garante della sovranità dei suoi popoli. Un imperativo sempre più complesso da realizzare in un’Europa in crisi di fiducia e in un mondo inondato di strumenti elettronici di distrazione di massa che offrono flussi irresistibili di milioni di immagini, di informazione e di disinformazione difficili da identificare, imbevuti di una superficialità che genera regressione culturale e altresì politica. Di fatto, la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione (sic!) ha bloccato la trasmissione di molti elementi storici e culturali che l’accelerazione delle cose e la complessità crescente del mondo non permettono più di fissare nella memoria dei popoli.

1. Breve storia della creazione dell’Europa come entità geografica.

Un breve excursus nella storia della creazione intellettuale e culturale di questa entità chiamata Europa permetterà di introdurre quello che alcuni chiamano la sua «identità», ma che ne è senza dubbio parte integrante. Secondo Parmenide l’essere può essere pensato «in quanto esistente», cioè l’Europa esiste nel momento in cui è stata nominata. È stato Omero, più di trenta secoli fa, il primo a qualificare col nome di Europa la parte del mondo fino ad allora conosciuto ad ovest di Troia. Tuttavia, l’epica di Giasone e degli Argonauti, anteriore all’epica omerica, non è soltanto una mera fantasia mitologica. Per alcuni storici, potrebbe essere la prima descrizione geografica dell’Europa – anche se nel testo non troviamo il termine «Europa» – o, piuttosto, delle rotte commerciali percorse dai Micenei e dai popoli delle civiltà del Vicino Oriente alla ricerca, tra le altre ricchezze, di pellame, oro, ambra e stagno. Sarebbe quindi la storia del primo viaggio organizzato in Europa alla ricerca di un Eldorado – il Vello d’oro della Colchide – e come tale rappresenta un’esplorazione geografica del mondo «degli altri». In effetti, il Vello d’oro non era solo una leggenda mitologica, ma anche, più pragmaticamente, il risultato della tecnica, la più semplice conosciuta e utilizzata a quel tempo, per estrarre l’oro che lambiva le rive di fiumi (come il famoso fiume Pattolo in Anatolia che fece la fortuna di Creso). Per altri questo viaggio sarebbe un ritorno nel Baltico e nella Scandinavia dei discendenti dei popoli di queste regioni dove fioriva nel II millennio a.C. una brillante civiltà del bronzo, ma dove il tracollo dell’optimum climatico nel XVII secolo a.C. portò molti di questi popoli a migrare verso sud e verso la Grecia, e in particolare a Creta, dove avrebbero fondato la civiltà micenea. Che sia giusta l’una o l’atra versione (o entrambe), esistono diverse interpretazioni delle strade percorse da Giasone e dal suo equipaggio. Nella tradizione di Orfeo qui considerata – che un’attenta analisi testuale rende credibile –, Giasone viaggia dal Mediterraneo probabilmente navigando il fiume Tanai (l’attuale Dnepr) fino al Mar Baltico, importante fonte di ambra (Isole Elettriche), e prosegue a Occidente verso l’Oceano settentrionale, quindi torna indietro o lungo le rive del Reno e del Rodano per raggiungere il Mediterraneo o lungo le coste della Cornovaglia (da dove veniva importato lo stagno), oppure ancora circumnaviga l’Irlanda, e poi scende verso Portogallo e Spagna per rientrare nel Mediterraneo attraverso le Colonne d’Ercole. Questo viaggio potrebbe essere considerato come il mito fondatore dello spirito di curiosità europeo e come uno dei fattori, costitutivi dell’omogeneità europea, che ossessionerà l’inconscio europeo, riemergendo con le crociate, con l’espansione occidentale del XVI secolo e l’imperialismo del XIX secolo.
I primi a definire, anche se in modo approssimativo, le frontiere dell’Europa furono Anassimandro ed Erodoto. Anassimandro (610-546 a.C. circa), filosofo presocratico, è considerato il primo cartografo europeo, il primo a concepire un modello meccanico del mondo, cosa che rappresenta una rivoluzione cosmologica secondo lo storico della scienza Karl Popper.
I confini dell’entità Europa, una delle tre regioni del mondo con Asia e Libia, saranno delimitati a ovest e a nord dall’Oceano, al sud dal Mediterraneo, a est dal Mar Nero e dal fiume Fasi (in greco antico Phasis, adesso Rioni, principale fiume della Georgia che sbocca nel mare Nero). Un secolo dopo Erodoto farà una descrizione simile dello spazio europeo ma con dei confini più precisi: dal Ponto Eusino (il Mar Nero) alle colonne di Ercole, dal Mare del Nord al Don o Dnepr, abitata prevalentemente nella sua parte centrale e occidentale dai Celti. Pausania (115-180 d.C.) nella sua Descrizione della Grecia scrive: «Questi Galli abitano la parte più remota dell’Europa, vicino a un mare vasto non navigabile fino al suo termine, che ha flussi e riflussi e dove vivono creature molto diverse da quelle di altri mari. Attraverso il loro paese scorre l’Eridano [il Danubio], sulle rive del quale le figlie del Sole si dice piangano il destino a cui andò incontro il loro fratello Fetonte. Ciò avvenne molto tempo prima che il nome “Galli” entrasse in voga; perché anticamente si chiamavano Celti fra di loro e Celti venivano chiamati anche da altri» (libro I, IV, 1). Grazie al commercio del sale, abbondante nelle miniere di Hallstat (nelle Alpi austriache, vicino Salisburgo) e alla loro abilità nel lavorare il ferro, i Celti si espansero nella maggior parte del continente europeo tra l’800 e il 450 a.C. Non è sicuro che all’epoca i Greci si ritenessero europei, ma di certo Strabone (63 a.C.-24 d.C. circa) così li definì nel suo Geografia. Da Eratostene (250 a.C. circa) a Tolomeo (87-150 a.C.), i seguaci di Erodoto descrissero l’Europa e la raffigurarono con sempre maggiore precisione. Molti utilizzarono il lavoro del greco-cartaginese di Massilia, Pitea, sostenitore della sfericità della Terra e inventore della latitudine, il quale, per precisare l’area geografica dell’Europa, si spinse fino al Mar Baltico.
È interessante notare che le descrizioni e le mappe di Tolomeo rimasero invariate per circa quindici secoli, al punto che fu pubblicato nel XVII secolo un codice di 216 pagine, con gli studi geografici, matematici, le osservazioni e 27 mappe del cartografo egiziano, conservato nella biblioteca dell’Università di Valencia. Tuttavia, ciò che interessa maggiormente non è tanto la longevità degli studi e delle carte di Tolomeo, quanto le due seguenti osservazioni. Innanzitutto, dall’avvio della cartografia c’è un evidente mancanza di dibattiti su ciò che costituiva e distingueva lo spazio europeo, nonostante l’incertezza delle sue frontiere orientali. In secondo luogo, i metodi usati da Tolomeo e da gli altri cartografi per produrre le loro mappe e le ragioni per le quali vi era il bisogno di crearle contribuiscono alla comprensione dei popoli di cui rappresentano il territorio.
13. Rappresentazione ottocentesca delle diverse mappe storiche d’Europa, disegnate dai grandi geografi dell’antichità: Eratostene, Strabone e Tolomeo. Nel mondo di Tolomeo (II secolo) non è un caso che l’Egitto che si trovi quasi al centro. © Collezione dell’autore.
13. Rappresentazione ottocentesca delle diverse mappe storiche d’Europa, disegnate dai grandi geografi dell’antichità: Eratostene, Strabone e Tolomeo. Nel mondo di Tolomeo (II secolo) non è un caso che l’Egitto che si trovi quasi al centro. © Collezione dell’autore.
Una descrizione geografica o una mappa non viene redatta solamente per l’interesse intellettuale del suo autore. Una mappa risponde a esigenze e richieste commerciali, politiche, militari e ideologiche. Disegnare una carta geografica è un modo per definire e, a volte, appropriarsi di territori, proprietà, ricchezze, e di conseguenza per proteggere tali acquisizioni. È anche un modo per distinguere «NOI» e «LORO», quello che è nostro e quello che è loro. Le carte geografiche sono strumenti della burocrazia e del potere politico in tutte le società, come dimostrano, ad esempio, le mappe cinesi sottoposte all’imperatore già 3000 anni fa e la norma imposta sotto la dinastia Zhou affinché venisse tracciata una carta di ogni principato, o ancora la famosa mappa scoperta dall’umanista tedesco Konrad Peutinger alla fine del Quattrocento (la Tabula Peutingeriana). Quest’ultima era una copia del XIII secolo di un originale romano del 300 d.C. (probabilmente sotto l’imperatore Teodosio). Raffigurava non solo i 200000 chilometri di strade che portano dall’Inghilterra alla Cina, ma anche le città, i fiumi, i mari, le foreste e le catene montuose. Era disegnata a uso delle truppe e dei commercianti, sottoforma di un lungo documento di 6,82 metri per circa 34 centimetri di larghezza che poteva essere diviso in pezzi, arrotolato e inserito in un portamappa di cuoio, facilmente trasportabile. Il modo in cui è presentata una mappa indica anche la centralità territoriale dell’autorità per la quale è stata disegnata. Non a caso, dal Cinquecento in poi le mappe europee rappresentano l’Europa al centro del mondo, mentre il planisfero di al-Sharīf al-Idrīsī1 nel Libro di Ruggero (1154) farà lo stesso con la penisola arabica.
Una mappa permette quindi di definire se stessi rispetto agli altri. Il fatto stesso di essere capaci di identificare un territorio altrui e di differenziarlo dal proprio crea un altro fattore di omogeneità. Una mappa permette inoltre ai suoi utilizzatori di introdurre elementi ideologici e simbolici attraverso le illustrazioni delle varie parti delle terre descritte e di attribuire fattori d’identità a ognuno di questi elementi. Tali elementi simbolici permettono anche di costruire una gerarchia di valori, come avvenuto soprattutto nella storia della cartografia europea fin dal medioevo. È interessante notare che dagli albori della religione cristiana le mappe in forma di «T» e di «O», simboli di questa religione, sono state ampiamente usate, come per esempio per le imitazioni cristiane della Orbis Terrarum voluta da Agrippa in cui, per ovvi motivi politici, i tre continenti allora conosciuti avevano la stessa dimensione. Il mappamondo di Isidoro, vescovo di Siviglia (570-636 d.C.), pubblicata nel libro XIV delle Etymologiae – una summa che è considerata la prima enciclopedia della cultura occidentale – rifacendosi alla Genesi menziona i tre figli di Noè in quanto progenitori dei popoli dei tre continenti: Sem per l’Asia, Jafet per l’Europa e Cam per l’Africa. Venne introdotta in questo modo una chiara gerarchia degli abitanti del mondo, dando a Jafet l’esplicito diritto di sfruttare l’Africa, poiché Cam, a causa del suo comportamento irriverente, fu condannato dal padre a servire i suoi fratelli.
Fu Gerardo Mercatore (1512-1592) a dare un impulso definitivo alla cartografia europea. Dopo vari tentativi nella compilazione di un mappamondo (a forma di cuore, per esempio), nel 1569 pubblicherà una mappa del globo terrestre utilizzando una nuova proiezione di sua invenzione, la proiezione di Mercatore, particolarmente utile per la navigazione e quindi per le esplorazioni e la colonizzazione del mondo da parte degli europei, perché più precisa e conforme ai bisogni dei navigatori, in quanto includeva gli angoli del globo terrestre. Non a caso l’Europa era al centro del mappamondo e, così rappresentata, la sua superficie sembrava molto più estesa di quanto non fosse in realtà: era più grande dell’America del Sud ad esempio, quando sappiamo che la superficie di questo continente è il doppio dell’Europa. Una visione terribilmente attuale, perché dà all’Europa una centralità e una dimensione che non ha, cosa che non tutti gli europei ancora sanno. È così che Mercatore contribuì a fissare nell’immaginario collettivo europeo un’idea di superiorità sul resto del mondo, e questo anche grazie alle carte geografiche, che contribuirono a formare l’immagine del mondo e quella che l’uomo si fa di sé. Di fatto, a partire dall’Ottocento e dalle grandi campagne di colonizzazione, gli europei sono sempre più eurocentrici: il che significa pensarsi come portatori di civiltà e progresso e di una missione educativa di cristianizzazione dei popoli, ritenuti arretrati e inferiori. Sarà ancora Mercatore a pubblicare la prima carta murale dell’Europa (1554) e il primo atlante dell’Europa nel 1571. La maggioranza delle carte è illustrata con simboli, allegorie o rappresentazioni dei popoli o dei paesi. Un’attenta analisi comparativa delle illustrazioni contenute nelle mappe, indipendentemente dalla loro origine, fornirebbe un punto di vista interessante per analizzare come i geografi europei vedessero gli altri, e anche come gli altri, in modo particolare gli arabi, vedessero gli europei.
Il cartografo tedesco Arno Peters sarà il primo a disegnare, nel 1973, una carta rispettosa delle reali superfici dei continenti e degli Stati. In questa mappa l’Europa è ridotta a una piccola penisola e non è più al centro del mondo. Questa decentralizzazione corrisponde a una realtà più obiettiva e al ridimensionamento del ruolo del nostro continente nel mondo (oltre che al rischio di una sua marginalizzazione se prosegue lungo la via della sua disintegrazione in quanto spazio politico comune). Sulle moderne mappe delle vie della seta, l’Europa non è più al centro del mondo come lo fu per alcuni (invero pochi) secoli – dal Seicento all’inizio del Novecento, quando l’Europa conquistò il mondo –; ma al centro del mondo c’è nuovamente l’Asia, com’è stato per millenni2. Alessandro il Grande non è andato alla conquista dell’Occidente europeo ma dell’Oriente. Per i Romani erano più importanti la parte orientale del mondo e l’Africa del Nord che non l’Europa settentrionale al di là dei limes, come aveva ben capito l’imperatore Costantino. Quello che è rimasto dell’Impero dopo la caduta di Roma furono Costantinopoli e la sua parte orientale. Durante il medioevo l’Europa accuserà un ritardo se paragonata ai paesi asiatici e dell’islam, in cui università e intellettuali permetteranno ai loro omologhi europei di riscoprire le proprie radici greco-romane e una medicina o delle scienze matematiche e astrofisiche più avanzate. All’inizio del secondo millennio per gli arabi i nostri crociati erano dei barbari, incapaci finanche di curarsi le ferite3.
Il problema delle frontiere dell’Europa, e in particolare quelle dell’Ue, rimane una questione attuale. Durante i lavori della Convenzione incaricata di preparare una bozza di Costituzione europea, l’ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing dichiarò in un’intervista: «Come possiamo sperare di creare una cittadinanza europea in un’Europa senza frontiere?»4. A suo avviso, la costruzione di un’identità necessita della costruzione di una cittadinanza, e quindi della possibilità di delimitare geograficamente tutti coloro che potrebbero usufruire dei vantaggi del contratto sociale definito dai popoli inclusi in queste frontiere. Se un individuo non è in grado di sapere chi è e chi non è cittadino, si ritroverà in una condizione di incertezza destabilizzante, non potendo immaginare un futuro perché calato in una realtà instabile. Un sentimento simile sembra essere suscitato anche dai flussi migratori in Europa. Davanti all’ineluttabilità politica dell’allargamento dell’Ue i capi di Stato e di governo eludono la questione delle frontiere geografiche affermando, come scritto nella dichiarazione del Consiglio di Laeken (14-15 dicembre 2001) che «la sola frontiera che traccia l’Europa è quella della democrazia e dei diritti dell’uomo». La domanda è quindi: un tale spazio indefinito può rimpiazzare le frontiere geografiche nella costruzione di un’identità europea meglio definita? A questa domanda se ne aggiunge un’altra, più attuale: se così fosse, non dovrebbero essere espulsi dall’Europa i paesi che non rispettano più lo Stato di diritto, pilastro della democrazia e dei diritti dell’uomo?

2. La creazione di un’identità europea.

Come abbiamo analizzato...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. I. Identità, identità nazionale, cittadinanza e sovranità
  7. II. La sovranità nazionale e i suoi limiti
  8. III. Illusioni di sovranità: il caso della Brexit
  9. IV. Europa e identità europea
  10. V. Europa matrigna. Migrazione e identità
  11. VI. Europa matrigna: euro e sovranità nazionali
  12. VII. Verso la sovranità della schiavitù
  13. Conclusioni
  14. Bibliografia
  15. Elenco delle illustrazioni