Organizzazioni criminali
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Strategie e modelli di business nell'economia legale

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Strategie e modelli di business nell'economia legale

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Come da tempo dimostrato nella letteratura scientifica e dai più importanti organismi pubblici di contrasto alle mafie, le organizzazioni criminali si rafforzano attraverso la creazione di relazioni con diverse tipologie di attori (rappresentanti della politica, delle pubbliche amministrazioni, del mondo imprenditoriale e delle professioni). Questo volume affronta, secondo una prospettiva manageriale, il tema della relazione tra economia legale e illegale approfondendo le strategie e i comportamenti organizzativi delle imprese che operano nell'ambito degli appalti pubblici in modo (apparentemente) legittimo ma che rispondono a una catena di controllo di tipo criminale. Dalla documentazione analizzata emerge una relazione costante tra mafia e impresa, una continuità che è difficile da interpretare e accettare: le organizzazioni criminali di stampo mafioso non si limitano a monopolizzare i tradizionali business illegali, ma si spostano progressivamente verso attività di tipo legale. Dai casi esaminati emerge come non si possa parlare di due mondi semplicemente in contatto tra loro, ma di un'unica entità ambigua che si manifesta e si realizza sotto forme e modalità differenti. Il volume – che ospita i contributi di Giovanni Melillo e di Stefano D'Alfonso, e una postfazione di Roberto Vona – intende offrire un apporto di conoscenza sull'analisi delle logiche imprenditoriali e dei meccanismi operativi e di coordinamento adottati dalle organizzazioni criminali rivolgendosi anche al legislatore e agli organismi investigativo-giudiziari nella duplice prospettiva preventiva e sanzionatoria.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788868439804
Argomento
Storia
Parte prima
L’espansione delle organizzazioni criminali nell’economia legale

I. Il contributo delle teorie manageriali alla comprensione delle imprese e delle organizzazioni criminali

1. Introduzione.

Le discipline manageriali possono offrire un contributo all’analisi e alla comprensione delle organizzazioni criminali e dei loro legami con il mondo delle imprese. Questa riflessione non ha solamente una funzione teorica o di progresso della conoscenza scientifica in materia, ma risponde anche a un obiettivo di ordine sociale. Comprendere le logiche imprenditoriali e i meccanismi operativi e di coordinamento adottati dalle organizzazioni criminali, infatti, può aiutare nell’azione di contrasto sia in una fase di pianificazione e promulgazione legislativa sia in quella più operativa/esecutiva, affidata all’azione della magistratura e delle forze dell’ordine.
Le organizzazioni criminali di stampo mafioso sono in grado di controllare ingenti risorse, stabilendo relazioni di collaborazione e di alleanza con altri soggetti legali e/o illegali, privati e/o pubblici. Allo stesso tempo si registrano, sempre più di frequente, comportamenti collaborativi da parte di imprenditori privati, anche di rilievo, che decidono di trovare intese con la criminalità organizzata. Questo dato di fatto, oltre a porre crescenti problemi in termini di responsabilità sociale di impresa, impatta sulla definizione stessa del confine tra area legale e illegale del mondo degli affari (Very - Wilson 2012).
In via preliminare è utile constatare che il tema delle organizzazioni criminali è stato solo raramente considerato oggetto di studio da parte della letteratura manageriale. La finalità principale di questo capitolo pertanto è rileggere alcune teorie manageriali alla luce del contributo che potrebbero dare alla comprensione dei modelli di azione, degli strumenti e delle strategie adottati dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso nella penetrazione nell’economia legale.
Provando a ragionare secondo una prospettiva che considera simultaneamente diversi livelli dell’analisi organizzativa (Mercurio, De Vita, Testa 2007), è possibile affermare che la relazione delle organizzazioni criminali di stampo mafioso con le imprese legali è uno degli elementi che alimenta l’area grigia e che impone agli studiosi nuove domande di ricerca: quali sono le strategie e i comportamenti organizzativi delle imprese? Come si devono considerare le imprese che sono apparentemente legali ma in realtà rispondono a una catena di controllo di tipo criminale?
Alcuni filoni tradizionali, sia pure in modo marginale, hanno affrontato dinamiche che talvolta è possibile collegare al mondo della criminalità, oppure hanno utilizzato il mondo della criminalità organizzata per analizzare le dinamiche del mercato, e i comportamenti delle aziende. Rispetto a tali studi, faremo di seguito riferimento: a) agli approcci rientranti nel concetto di dark side of business; b) all’analisi della organizational corruption; c) al tema della Responsabilità sociale d’impresa (Rsi); d) alla teoria della dipendenza dalle risorse (Rdt, Resource Dependence Theory).

2. Le teorie tradizionali.

Dark side of business

Il concetto di dark side non è univoco e si riferisce a diverse modalità di interpretazione e a diversi livelli organizzativi anche nell’ambito della letteratura più strettamente manageriale.
L’approccio analitico del dark side è tipicamente individuale: i sub-temi prevalentemente approfonditi in questo ambito riguardano questioni di ordine sociologico e psicologico collegate al comportamento individuale, ad esempio depravazioni, perversioni, trasgressioni, depressione, effetti patologici collegati all’uso delle nuove tecnologie (Vaughan 1999).
Il contributo principale di tale riflessione teorica riguarda la possibilità di interpretare in maniera più appropriata possibili comportamenti patologici (frodi, malversazioni ecc.) che le imprese di matrice criminale possono «gestire» in modo diverso dalle imprese legali, perché possono avvalersi di strumenti, risorse e persone che, ponendosi al di fuori del contesto regolamentare convenzionale, operano liberamente nella risoluzione dei problemi aziendali (Canonico e altri 2011a, 2011b, 2012, 2013a, 2014). Partendo dai primi anni settanta, la letteratura manageriale ha incluso nel dibattito approfondimenti sulle patologie organizzative (Perrow 1972, 2008), sulla corruzione (Pinto, Leana, Pil 2008), sulle devianze all’interno delle organizzazioni (Anheier 1999; Bamberger - Sonnenstuhl 1998).
Un punto di riferimento importante è rappresentato dall’approccio di Vaughan che si concentra sulla spiegazione dell’origine e dei percorsi delle devianze all’interno dei contesti organizzativi. In un suo contributo sul dark side, apparso sulla «Annual Review of Sociology», Vaughan afferma che l’obiettivo del suo intervento è di spiegare le ragioni e le modalità per le quali le organizzazioni raggiungano dei risultati difformi rispetto alle aspettative, indagando il concetto di devianza organizzativa come routine di non-conformità (Vaughan 1999). Paradossalmente, stabilendo una relazione diretta tra l’approccio di Vaughan e il modo in cui intende il dark side e la riflessione sulle imprese criminali, si può ricavare un’interessante conseguenza: per le imprese criminali i temi che vengono approfonditi nell’area di studi del dark side sono spesso connaturati alla matrice criminale di riferimento. Nella sua elaborazione sul concetto di devianza, Vaughan così definisce l’errore all’interno delle organizzazioni: «Mistakes are acts of omission or commission by individuals or groups of individuals, acting in their organization roles on behalf of organization goals, that produce unexpected adverse outcomes with a contained social cost» (ibid., p. 284).
In quest’ottica è utile richiamare il contributo di Griffin e O’Leary-Kelly (2004), i quali si concentrano sull’ambiguità e più in generale sui comportamenti motivati che contribuiscono ai processi umani e organizzativi che possono contemporaneamente diventare funzionali o disfunzionali a seconda della natura della motivazione, del contesto e delle conseguenze negative intenzionali o non intenzionali. Come hanno affermato questi autori, il lato oscuro consiste in «situazioni» in cui la ricerca di ricchezza, potere o vendetta (comportamenti tipici delle organizzazioni criminali) conduce a comportamenti non etici, illegali, spregevoli o riprovevoli.

Organizational corruption

Collegato al concetto di dark side of business è il tema della corruzione nelle organizzazioni. Si tratta di un aspetto di crescente importanza, dal momento che il problema della presenza di comportamenti corruttivi o patologici non sempre può essere spiegato con il riferimento alle deviazioni dei singoli individui o di intere organizzazioni (Breit e altri 2015; Damgaard 2015; Osrecki 2015; Yue - Peters 2015).
Lo spostamento verso le economie legali da parte delle organizzazioni criminali ha spinto queste ultime a un ricorso sistematico a strumenti meno visibili rispetto alla tradizionale violenza, indirizzandole verso l’adozione di logiche corruttive.
La corruzione è definibile come un abuso del pubblico ufficio per un guadagno privato (Bardhan 1997), oppure come vendita da parte di un pubblico ufficiale di proprietà pubbliche per ottenere un guadagno privato (Shleifer - Vishny 1993). Naturalmente definire la corruzione come un abuso del pubblico ufficiale per l’ottenimento di un guadagno privato non significa escludere tutte le possibili transazioni e operazioni corrotte tra privati, in particolare organizzazioni, società, aziende; non si deve, quindi, tralasciare il fatto che, in ultima istanza, sono i singoli individui a commettere atti illeciti. Negli ultimi anni studiosi, ricercatori e accademici hanno effettuato ricerche e sviluppato teorie relative alla corruzione nella vita delle organizzazioni come fenomeno sistemico e sinergico, che accompagna non solo l’azione individuale ma anche quella collettiva.
Sin dall’inizio del nuovo millennio (2001), a partire dal default della Enron1, i media e le autorità investigative americane hanno fatto emergere un lungo elenco di registri che rivelavano pratiche di corruzione organizzativa. Per poter svolgere un’utile e apprezzabile analisi bisogna ampliare la nozione di comportamenti corrotti, includendo in questa categoria le seguenti declinazioni: il comportamento non etico, quello antisociale, la devianza disfunzionale, la scorrettezza organizzativa, il lavoro controproducente.
Questo allargamento del campo di indagine serve a contrastare un limite oggettivo della letteratura tradizionale in area manageriale sul concetto di corruzione, rappresentato da un’enfasi eccessiva sui comportamenti individuali a scapito della dimensione di gruppo. Trascurare la dimensione collettiva impedisce una più matura comprensione dei fattori che determinano i comportamenti corruttivi nelle organizzazioni.
Un altro elemento sul quale è necessario effettuare una precisazione è relativo alla natura dei processi corruttivi, che non vanno considerati statici ma dinamici, dal momento che non si tratta di individuare e sanzionare solo il comportamento istantaneo e circoscritto nel tempo di un singolo individuo, ma anche il ben più ampio processo di infezione virale di un gruppo, di un’azienda e di un’organizzazione, che per sue caratteristiche intrinseche non è più circoscrivibile a un singolo intervallo temporale. Infatti, se le azioni di un singolo individuo corrotto restano impunite, possono diffondersi anche negli altri individui e causare un incremento della corruzione che può evolversi in una vera e propria «cultura» della corruzione per l’intera organizzazione (Pinto, Leana, Pil 2008). La corruzione diventa sistemica, profondamente inglobata nelle dinamiche organizzative quotidiane. Tutta la vita aziendale finisce con l’esserne indissolubilmente intrisa, creando un vero e proprio nodo gordiano. Per maggiore chiarezza può essere utile inquadrare il fenomeno della corruzione distinguendo diversi livelli di analisi.
La corruzione può essere considerata un elemento strategico e complementare al crimine e quindi, in un certo senso, un elemento catalizzatore di ulteriori comportamenti criminali (Kugler, Verdier, Zenou 2005). Il tema del ricorso a forme di corruzione nei confronti dei pubblici ufficiali è stato approfondito nella letteratura di natura economica che si è concentrata sulla relazione che esiste tra la diffusione della corruzione e l’intensità della deterrenza.
Uno degli elementi di maggiore interesse riguarda il fatto che la diffusione di pratiche corruttive può rendere la corruzione stessa una norma collettiva. Se azioni corruttive si diffondono all’interno di una comunità, il rischio è che la devianza individuale si trasformi in «institutionalized corruption: personal behaviors become impersonal norms, emergent practices become tacit understandings and idiosyncratic acts become shared procedures» (Ashforth - Anand 2003, p. 9). In questo caso, quando si parla di norma non si fa riferimento a qualcosa di moralmente approvato, ma di ragionevole e plausibile.
È diffusa la predisposizione a concepire i fenomeni corruttivi come un problema riconducibile alla presenza di individui corrotti che si comportano male, isolatamente, all’interno di un sistema che è ispirato a principî di razionalità e che ha al proprio interno i giusti anticorpi per contrastarli.
L’analisi delle organizzazioni è importante per la comprensione della corruzione, poiché esse influenzano l’azione dei propri membri. La cultura aziendale fornisce delle norme che regolano i comportamenti organizzativi. Se queste norme e pratiche operano principalmente per il raggiungimento degli interessi competitivi dell’azienda, in una corsa sfrenata verso i profitti a ogni costo le orga...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Organizzazioni criminali, modelli di impresa e mercati. di Giovanni Melillo
  6. Parte prima. L’espansione delle organizzazioni criminali nell’economia legale
  7. Parte seconda. La presenza della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici: tre casi a confronto
  8. Parte terza. Strategie e modelli di business delle organizzazioni criminali per il controllo degli appalti pubblici
  9. Postfazione. di Roberto Vona
  10. Bibliografia
  11. Gli autori