Diario di un naufragio
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Diario di un naufragio

  1. 272 pagine
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Diario di un naufragio

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«Il nesso fra cronaca e storia è centrale nel mio diario: può aiutare a muoversi fra le nebbie, e spesso fra le melme, della seconda Repubblica. E può portare ancora più indietro: alla qualità stessa della modernizzazione italiana, e al rapporto fra istituzioni, sistema politico e paese». Il presente come storia: in questo suo nuovo libro Guido Crainz racconta in presa diretta gli ultimi dieci anni di vita italiana. Se il suo grande affresco in tre volumi sulla storia dell'Italia repubblicana si fermava alle soglie del nuovo millennio, qui la materia si fa attualissima, lo stile più perentorio, il giudizio più tagliente. La forma è quella di un diario che ripercorre anno dopo anno la trama del nostro passato più recente sul filo di una originalissima «memoria individuale», intessuta di raffronti tra i giudizi del momento, annotati da Crainz a ridosso dei singoli accadimenti, e le valutazioni che l'autore ne può dare oggi. Una parabola – quella di quest'ultimo decennio – davvero impressionante: dall'apparente consolidarsi della seconda Repubblica al suo rovinoso crollo. Sullo sfondo, crisi e bufere globali, dal dramma di Nassiriya al «pericolo greco», dagli attentati di Londra e Madrid a una crisi economica internazionale che disvela gli inganni del neoliberismo. Sino al nodo dell'Europa, e all' «angoscia da spread». Un interrogarsi, anche, sul lungo permanere della stagione berlusconiana; sulle radici a cui essa è saldamente ancorata e sulle deformazioni che induce nel corpo vivo della società italiana; con lo sprezzo crescente dei valori e dei vincoli collettivi, con il primato del «sé» sul bene pubblico, con l'erosione quotidiana delle norme elementari di legalità e diritto. Su tutte, una domanda. Perché questi processi hanno trovato così deboli anticorpi? Perché la stagione berlusconiana ha potuto protrarsi così a lungo, inducendo stravolgimenti gravi nel funzionamento delle istituzioni e in quell'equilibrio fra i tre poteri dello Stato che è il cardine di ogni democrazia? Nel suo stesso svolgersi, il libro diventa in primo luogo una riflessione impietosa sull'inadeguatezza della sinistra italiana, sulla sua incapacità di progettare il futuro e di modificare radicalmente il proprio modo di essere restituendo ai cittadini la fiducia nella democrazia: una fiducia gravemente erosa da una «partitocrazia senza partiti» sempre più priva di etica, e spesso di decenza. Se una nuova partenza è possibile, può avvenire solo da qui.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788868432683
Argomento
Storia

III. Berlusconi fra trionfo e crollo

1. 2008 (aprile-dicembre).

Il voto sancisce una vittoria netta del centrodestra, pur privo dell’Udc, e Berlusconi sintetizza: “prima c’erano due metà del paese, adesso siamo all’incirca due terzi contro un terzo”1. Non è proprio così ma il senso sembra quello2. «Scompare dal Parlamento la Sinistra arcobaleno (comunisti e verdi) e sono invece significativi i risultati della Lega e dell’Italia dei Valori (e su entrambi influisce qualche refolo dell’antipolitica)»3. È un esito inatteso, in queste proporzioni, ed è utile chiedersi da cosa dipenda davvero: «solo da due anni di governo di un centrosinistra logorato dalle tensioni interne? Ha certo pesato negativamente l’incertezza nel portare avanti le innovazioni (ad esempio sul terreno delle liberalizzazioni) e ha pesato l’aumento della pressione fiscale, soprattutto ai tempi della prima legge finanziaria. Un aumento necessario ma condotto con ap prossimazioni, incertezze, oscillazioni che sono apparse insensate. È però sul terreno della politica, del suo radicale rinnovamento, che il centrosinistra è completamente mancato. Il Partito democratico disegnato da Veltroni ha segnato un’inversione di tendenza capace di impedire il dissolvimento delle forze riformatrici – dato che non sembrava scontato, nell’ultima fase del governo Prodi – ma non di portarle alla vittoria: risultato che evidentemente non era realistico»4 (si vedrà poi che il 33% conquistato allora dal Pd, e mai più raggiunto, è quasi un miracolo). Il quadro politico è enormemente mutato ed è significativo «il trionfo della Lega, che l’ha riportata al momento d’oro del 1993-1994. Hanno indubbiamente contato alcuni temi, a partire dalla sicurezza e dalla tradizionale protesta antifiscale, ma come nel 1994 questo non basta a comprendere una realtà molto più complessa»5. E come nel 1994 la sinistra «rischia di essere preda dello smarrimento. Rischia di riproporre quello spaesamento che molti ebbero già sessant’anni fa, nell’aprile del 1948. Tornano alla mente i versi affettuosi con cui Vittorio Sereni ricordava un Saba “ramingo in un’Italia di macerie e di polvere” che all’indomani di quel 18 aprile errava “da una piazza all’altra/ dall’uno all’altro caffè di Milano/ inseguito dalla radio./ ‘Porca – vociferando – porca’…/ Lo diceva all’Italia”»6.
A completare il quadro viene poco dopo il ballottaggio al Comune di Roma: una inaspettata vittoria del centrodestra, ed «è difficile dire se è stato un trionfo di Alemanno o una disfatta di Rutelli»7. Vi hanno contribuito «due elementi: il sostanziale confluire dell’elettorato dell’Udc nell’area del centrodestra e un astensionismo che ha penalizzato maggiormente il centrosinistra. Il primo aspetto suona come una sconfitta dello spirito stesso del Partito democratico, nato per contendere il centro al polo opposto, ma il centrosinistra dovrà interrogarsi ancor più a lungo sulla disaffezione dei suoi elettori: c’era semmai da attendersi un loro massiccio ritornare alle urne per rendere meno schiacciante la vittoria nazionale del Cavaliere. Altri dati costringono a riflettere. La campagna elettorale del centrodestra, basata su di un’immagine catastrofica di Roma, ha straordinariamente pagato anche se l’amministrazione della Capitale in questi anni poco corrisponde all’immagine tutta negativa che Alemanno ne ha dato. E Rutelli e Veltroni hanno operato incomparabilmente meglio delle amministrazioni capitoline degli anni ottanta (per non parlare di quelle degli anni cinquanta e sessanta, quelli del ‘sacco di Roma’). Non è sufficiente neppure chiedersi tardivamente se sia stato opportuno riproporre Francesco Rutelli8: semmai questo rinvia a un altro nodo di fondo del Partito democratico, la difficoltà nel promuovere un reale rinnovamento del proprio ceto politico»9.
In realtà il crollo del centrosinistra a Roma mette in discussione anche alcuni architravi che avevano sorretto la candidatura a premier di Walter Veltroni. Come molti altri l’avevo sinceramente condivisa anche perché da sindaco sembrava aver «avviato un reale progetto-Roma. Ridato orgoglio civico a una città che aveva perso fiducia in se stessa»10: esattamente quel che serviva al paese. L’idea di Italia che aveva proposto era sembrata ancor più credibile proprio perché a Roma aveva «fatto crescere un’idea di città»11. Ora la realtà appare diversa, e forse non si tratta solo di una rivincita di periferie trascurate (come molti dicono e come in parte è).
Naturalmente una chiara idea di Italia rimane l’unica arma di una forza riformatrice e «molto dipenderà dalla capacità del Partito democratico di rispondere realmente al disorientamento e alla amarezza di una dura sconfitta. Dipenderà dalla sua capacità di portare fino in fondo quegli elementi di innovazione che stanno alla base della nascita del nuovo partito»12. Per ora è Berlusconi a giocare la partita, inizialmente con la sicurezza dei padroni incontrastati13. In quegli stessi giorni, va aggiunto, l’Europa toglie «spazio e vigore alle accuse di malgoverno al centrosinistra. Toglie infatti l’allarme sull’Italia posto sul finire dell’ultimo governo Berlusconi»: evidente conferma «del buon lavoro svolto dal governo Prodi (come nel 1996) nel mettere a posto i conti»14.
Vengono poi le prime misure prese o annunciate dal centrodestra: «alimentano l’immagine, sommamente desiderabile, di un governo capace di decidere ma è proprio così?». Al di là anche dei giudizi di merito, «si consideri la scelta più ‘decisionista’, quella a favore dell’energia nucleare. È certamente una opzione chiara ma gli esperti indicano in modo puntuale gli elementi che rendono poco credibile e molto costoso il programma di centrali sicure enunciato da Scajola». Vi è ‘decisionismo intransigente’ anche sull’immigrazione ma le prime misure si rivelano subito «indifendibili. E una accorata Mara Carfagna si è chiesta in Consiglio dei ministri: che ne sarà della badante di mia madre?». Vi è poi «l’abolizione dell’Ici sulla prima casa, misura già presa dal centrosinistra per le famiglie a basso reddito (il 40% del totale). Passato l’entusiasmo, il buon senso spingerà a chiedersi dove saranno attinti i fondi necessari agli enti locali. Inoltre i casi sono due: o esiste davvero il ‘tesoretto’ realizzato dal centrosinistra combattendo l’evasione fiscale, oppure queste spese faranno di nuovo crescere quel debito pubblico che il governo Prodi aveva ridotto»15. Vi è poi un vero e proprio colpo di mano, e «il provvedimento volto a salvare ancora una volta Retequattro indigna due volte. Per la protervia con cui un affare di famiglia viene imposto a scapito della legalità e della giustizia. E per le procedure d’urgenza adottate dal presidente della Camera Fini per una questione che attiene agli interessi di bottega di Berlusconi»16.
Non può certo mancare decisionismo sul tema della sicurezza, e anche qui propaganda e irresponsabilità si mescolano. La scelta di impiegare contingenti dell’esercito per pattugliare le grandi città è «in primo luogo un ingiusto e ingiustificato atto di sfiducia nei confronti di polizia e carabinieri: alle loro carenze dovrebbero sopperire infatti 2500 (duemilacinquecento) uomini dell’esercito. Eppure sono ventimila, come abbiamo appreso, gli operatori di polizia distolti dai compiti operativi: era proprio necessario chiamare in campo un organo come l’esercito, di per sé simbolo di eccezionalità, di stato d’assedio, di patria in pericolo? Un esperto come Fabio Mini si è chiesto: cosa succederà se la situazione non migliorerà? A chi si ricorrerà? All’Aviazione e alla Marina, come ha chiesto ironicamente il sindaco di Torino Chiamparino, o alle forze della Nato, come ha chiesto altrettanto ironicamente lo stesso Mini? Qualche consulente dovrebbe spiegare al premier e al ministro Ignazio La Russa che la guerra alla criminalità non è una partita di Risiko. Non basta illudersi di manovrare truppe: occorre dare vigore, razionalità e continuità all’azione delle forze dell’ordine. È proprio necessario l’esercito per stroncare in città come Roma quelle forme diffuse di parcheggio abusivo o di questua aggressiva che sconfinano apertamente nella piccola estorsione? Sono necessari i blindati per non permettere l’indisturbato diffondersi di impropri e abusivi suk? Un film recente – Il resto della notte di Francesco Munzi, ambientato a Torino – ha come sfondo quell’intreccio di criminalità locale e criminalità importata, per dir così, che le cronache non mancano di confermare, e ci sottopone domande scomode e difficili»17: ad esse occorrerebbe rispondere.
Figuriamoci, il premier ha altro per la testa. Pochi giorni dopo il governo approva «il disegno di legge preparato da Alfano e dall’onorevole Ghedini: il provvedimento sospende per l’intera legislatura i processi a carico di Berlusconi e delle altre più alte cariche (il capo dello Stato e i presidenti di Camera e Senato). Lo Schifani-bis, insomma, poco differente dall’originale, bocciato nel 2004 dalla Corte costituzionale. Redatto avendo d’occhio non gravi emergenze del paese (né improbabili problemi giudiziari di Giorgio Napolitano) ma le scadenze del processo Mills. Di fronte all’ipotesi che i magistrati (“metastasi della nazione”, secondo la definizione del Cavaliere) continuino il processo a tappe forzate, Gaetano Quagliariello ha detto che sarebbe un golpe (e di mestiere faceva lo storico…). Gargani, altro deputato di Forza Italia, ha evocato scene di guerra contro i giudici, con possibili appelli alla piazza: come nel finale del Caimano di Nanni Moretti. Il problema vero però non sta qui: sta nella certezza che se si votasse domani il premier non perderebbe neppure un voto, come non li ha persi in passato per analoghi usi e distorsioni delle leggi a proprio personalissimo vantaggio. E i sondaggisti ci spiegano che il risentimento anti-casta ha penalizzato non il premier e il suo partito ma il centrosinistra. Strano paese, e strana classe politica»18.
Giungono di lì a poco al termine «i primi cento giorni del governo, e i segnali sono preoccupanti. La vicenda giustizia è la più chiara. Dopo esser riuscito a imporre il lodo Alfano, Silvio Berlusconi ha ritirato la proposta di legge che bloccava centomila processi per fermare quello che lo riguardava. Non s’era mai visto un simile abuso del potere pubblico per ragioni private: il vero ministro della Giustizia è stato in queste ore l’onorevole Ghedini, avvocato personale del Cavaliere. Preoccupa questa grave modifica della Costituzione materiale del paese, ma preoccupa ancor di più la sostanziale indifferenza della stragrande maggioranza dei cittadini a questi temi. Spesso negli anni scorsi si è auspicato che l’Italia diventasse un “paese normale”: la normalità che si sta profilando non promette nulla di buono. Su questo versante, dunque, il giudizio non permette molte sfumature. Più articolato ma anch’esso negativo appare il bilancio in materia economica. Sono un pessimo avviso i tagli annunciati alla Sanità, l’effetto per i cittadini sarebbe pesante. Inoltre, ripercorrendo le promesse elettorali di Berlusconi, appare lontana una più generale diminuzione della pressione fiscale: secondo la stessa legge Finanziaria essa resterà invariata per tutta la legislatura mentre il debito pubblico aumenta e le previsioni sulla crescita economica sono pessimistiche. In questo quadro, il federalismo fiscale che la coalizione di maggioranza aveva proposto con forza appare un fantasma oscuro, non un elemento di traino e di speranza. Un fattore improvvisato e improvvido di divisione, battistrada dei peggiori egoismi del paese, non una risorsa. C’è davvero di che preoccuparsi»19.
Aumenta le preoccupazioni inoltre una vicenda minore, quella dell’Alitalia: «la demagogia con cui il Cavaliere, sotto elezioni, ha allontanato Air France è costata all’azienda (e al paese) novanta milioni di euro»20. Ora quel brutto film prosegue nella maniera peggiore: «l’azienda è stata divisa in due e per quella da buttare è stato inventato un nome nuovo, ‘bad company’. ‘Alitalia da rottamare’, ne conveniamo, era meno suggestivo ma più realistico. L’Europa ha già avanzato obiezioni fondate, mentre il sindacato deve interrogarsi sulle scelte suicide dei mesi scorsi. Chiudere gli occhi sulla realtà lo aveva portato a fare grandi strepiti, in consonanza con Berlusconi, contro la soluzione Air France, che prevedeva un numero molto più basso di licenziamenti e di ricorsi forzosi alla cassa integrazione. Anche la miopia dei sindacati non è nuova, e nel settore aereo è stata aggravata nel tempo dai corporativismi più ottusi e rumorosi. C’è poi la nuova Alitalia, liberata dagli ‘esuberi’ – che brutta parola per indicare delle persone! – ma anche da vocazioni di lungo periodo. Alla cordata per la nascente Alitalietta concorre un gruppo di imprenditori guidati da Roberto Colaninno, che ha espresso intenzioni condivisibili: è necessario rimboccarsi le maniche, ha detto. Dio sa se ce n’è bisogno ma era questo il modo migliore per farlo? È legittimo dubitarne, ed è sufficiente il confronto con la soluzione che era stata trovata pochi mesi fa dal governo Prodi. Ora si faranno pagare ai dipendenti e allo Stato prezzi molto più salati, e vi sarà un ridimensionamento dei programmi aziendali ben poco adeguato all’epoca della globalizzazione»21.
Per molti versi, dunque, «oggi non v’è bisogno di opposizioni preconcette ma neppure di deleghe in bianco a questo governo: e se il Parti...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Dedica
  6. Introduzione
  7. I. Il primo declino del centrodestra
  8. II. Il fallimento annunciato del centrosinistra
  9. III. Berlusconi fra trionfo e crollo
  10. IV. Il centrodestra dimezzato, il centrosinistra inesistente e il Grillo rampante