I figli dell'arcobaleno
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I figli dell'arcobaleno

  1. 128 pagine
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I figli dell'arcobaleno

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Ogni sera, in Italia, prima di andare a letto ci sono bambini che danno il bacio della buonanotte a due papà o a due mamme. I gay e le lesbiche stanno mettendo su famiglia anche nel nostro paese, nonostante uno Stato quasi sempre indifferente, talvolta ostile. In queste famiglie uno dei due genitori per la legge italiana non esiste, la sua iscrizione all'anagrafe è vietata perché «contraria all'ordine pubblico». Non sempre le scuole sono pronte ad accogliere i bambini, nonostante la buona volontà degli insegnanti. La politica considera la vita di queste persone un campo di battaglia per raccogliere facili voti, anche a costo di seminare odio negando che gay e lesbiche con figli possano dirsi famiglie. Famiglie che, come tutte, hanno bisogno di tutele e riconoscimenti. Questo libro racconta la storia e le storie, pubblica e private, di questi fratellastri d'Italia discriminati – combattivi eppure serenamente convinti che anche nel nostro paese il vento stia cambiando e che i loro bambini non dovranno essere più cittadini di serie B. Le storie delle Famiglie arcobaleno – così hanno scelto di chiamarsi – sono storie di viaggi all'estero per concepire i propri figli grazie a tecniche di fecondazione artificiale qui vietate. Sono storie fatte di libri di fiabe un po' speciali, di battaglie nei tribunali, di muri di gomma della politica e marce ai Gay Pride spingendo i passeggini e con in mano i biberon al posto delle bandiere. Sono le storie dei dubbi e delle paure, ma anche delle gioie, di chi è diventato padre e madre quando tutto e tutti dicevano che sarebbe andata diversamente. Sono storie – come dice nella prefazione Pippo Civati – fatte «per superare l'ignoranza. E l'ipocrisia». Storie di famiglie che, anche senza riconoscimento da parte dello Stato, sanno di essere come tutte le altre. Perché, come racconta mamma Tina, «se non hai mostri dentro di te, i mostri non li vedi».

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788868433031
Categoria
Sociologia

V. Lottando nei tribunali

C’è una piccola precauzione che Maria Grazia Sangalli consiglia di prendere a tutte le coppie gay e lesbiche che hanno un bambino. Le foto con i figli, quelle si conservano sempre e comunque, ma i biglietti aerei? Le prenotazioni degli alberghi con nome e cognome, magari le ricevute di quella volta che si è andati in barca tutti assieme? La gente normalmente queste carte le butta, non sa che farsene. Ma le coppie omosessuali farebbero meglio a tenerle perché, in caso di morte del genitore biologico, sono una prova per il genitore intenzionale rimasto che esiste un legame con il figlio, una prova da portare davanti al giudice per avere l’affidamento del bambino, nel caso le cose si mettessero male.
Maria Grazia Sangalli è un giovane avvocato di Bergamo e questo che racconta è solo un piccolo consiglio, ma la vita dei genitori omosessuali è disseminata di precauzioni legali come questa e lo sarà fino a quando non sarà approvata una legge che li tutela. Da sette anni, Sangalli segue le coppie gay che vogliono vivere assieme e quelle che vogliono avere un bambino. Finora non le è mai capitato di dover affrontare nei tribunali il caso dell’affidamento di un minore nato in una coppia omogenitoriale e che ha perso il genitore biologico, ma è una cosa che può succedere e la vita delle famiglie arcobaleno è fatta anche di paracaduti legali per rimediare alla mancanza di leggi che tutelino la loro vita.
La difesa dei diritti legali dei gay è il compito che si è data Avvocatura per i Diritti Lgbti (la «i» sta per intersex, ovvero persone con caratteri sessuali non definibili esclusivamente come maschili o femminili) – un gruppo di avvocati che dal 2007 ha dato vita a una rete di professionisti chiamata Rete Lenford. Si chiamano così in onore di Lenford Harvey, un attivista giamaicano impegnato nella difesa delle persone sieropositive che fu ucciso l’anno prima che l’avvocatura gay nascesse su iniziativa degli avvocati Saveria Ricci, Francesco Bilotta e Antonio Rotelli. «In quegli anni non c’era giurisprudenza sul tema delle famiglie arcobaleno. Ma c’erano interessi di ricerca, dal punto di vista sociologico come di quello giuridico», racconta Maria Grazia. L’associazione Famiglie arcobaleno era nata solo l’anno prima, con una manciata di iscritti. Ma nel 2006, grazie alla collaborazione tra Famiglie arcobaleno e la cattedra di Psicologia giuridica dell’Università di Bergamo, viene organizzato un primo convegno a Milano che, voluto dal professor Gaetano De Leo, aveva fatto rumore per il gran numero di iscritti accorsi con l’intenzione di trattare il tema delle famiglie omogenitoriali. È un tema sfuggente, con pochi appigli per gli avvocati italiani e poco è cambiato da allora: nelle coppie omosessuali il genitore non biologico per la legge non esiste, anche se tale «buco» potrebbe ora in parte essere coperto – se verrà approvata – dalla norma sulla «stepchild adoption» che dovrebbe essere contenuta nella nuova legge a tutela delle coppie gay e lesbiche.
Una sentenza di luglio 2014 del Tribunale dei minori di Roma si è già espressa in tal senso a favore di una coppia lesbica in cui la madre intenzionale aveva chiesto l’adozione della bambina nata dalla pancia della moglie sposata in Spagna. Ma sino all’approvazione della legge, le famiglie arcobaleno rimangono per lo Stato un plotone di figli con un solo genitore che – incidentalmente – ospitano a casa loro un perfetto estraneo, senza diritti o doveri nei confronti dei bambini. Finora, nel crudo linguaggio giuridico e a eccezione del caso di Roma, la registrazione dei genitori intenzionali all’anagrafe per i figli delle coppie omosessuali è impedita perché «contraria all’ordine pubblico». È difficile immaginare come un signore o una signora che fanno da mamma e papà a un bambino possano essere catalogati come un problema di ordine pubblico. Nel linguaggio giuridico vuol dire che, se l’anagrafe trascrivesse nell’atto di nascita l’esistenza di due genitori dello stesso sesso – è il caso delle coppie il cui figlio è nato negli Stati Uniti o in Spagna, o in Gran Bretagna –, compirebbe un atto illegale perché sovverte le leggi dello Stato, che non prevedono nulla del genere nel nostro paese. Così spiega un parere giuridico della Procura di Torino dell’agosto 2012 sul caso di due madri, una italiana e una spagnola, che avevano chiesto l’iscrizione all’anagrafe per la figlia con la registrazione di entrambi i genitori e quindi il riconoscimento della cittadinanza italiana: «L’atto di nascita del minore che risulta figlio di due madri non può essere trascritto perché contrario all’ordine pubblico formato da quell’insieme di principi desumibili dalla Carta costituzionale».
Diversamente che per gli omosessuali, per gli eterosessuali che ricorrono alla fecondazione eterologa o alla Gpa all’estero, il problema del riconoscimento per il genitore biologico non esiste, essendo concessa in ogni caso e senza doversi rivolgere ai giudici l’adozione del figlio del partner, mentre in caso di fecondazione eterologa è riconosciuto come genitore anche chi non ha legami biologici con i bambini nati.
Ma nel caso della Gpa succede anche che, per vergogna, una coppia eterosessuale dichiari al ritorno in Italia che il figlio concepito con la gestazione per altri all’estero è figlio biologico di entrambi, rischiando così di essere condannata per «alterazione dello stato civile». È successo a una coppia di Brescia, nel novembre 2013, a cui è stata inflitta in primo grado una pena di cinque anni e un mese di prigione.
Per gli omosessuali queste storie sono ovviamente impossibili. Ma c’è un’altra finzione da mettere in piedi: quella di dover dichiarare – ai sensi di legge – che il proprio bambino è stato di fatto abbandonato dalla madre, o dal padre, ed è quindi figlio di un solo genitore. Le storie delle famiglie gay e lesbiche sono fatte anche di questo: paura di finire nei guai e certificati e atti legali conservati in casa ma da tirare fuori solo in casi di emergenza. In un cassetto nell’armadio della loro casa nel quartiere residenziale di Castelletto, a Genova, Michele ed Esteban, padri dei gemelli Gabriel e Davide nati con la gestazione per altri in California, hanno un documento di un giudice americano che non vorrebbero mai dover usare. Ma sta lì, sepolto sotto i maglioni: si tratta di una sentenza di un tribunale americano che assegna la paternità dei due gemelli a Michele ed Esteban. Il documento è stato preparato e firmato al quinto mese di gravidanza di Danielle, la donna che ha portato in grembo i due bambini. Prevede anche, però, in conformità con le leggi italiane, che al momento della trascrizione dell’atto di nascita in Italia venga riconosciuto un genitore solo, quello biologico. Non è possibile fare altrimenti: il secondo genitore è cancellato. «Io vivo nel terrore che succeda qualcosa ad Esteban – racconta Michele – e che qualcuno mi tolga i miei figli. A quel punto la mia unica arma sarebbe questa sentenza». Oppure affidarsi all’arbitrio di un giudice che, nel nome del superiore interesse dei bambini, dichiari che la cosa migliore per loro, se succede qualcosa a Esteban, è che rimangano con Michele, perché è la persona che li conosce meglio e non dovrebbero così vivere il trauma della separazione. C’è anche il problema contrario, visto che nessuna coppia è perfetta. Se Michele ed Esteban si separassero, il primo non avrebbe nessun dovere nei confronti dell’altro e il secondo potrebbe rifiutarsi di fargli vedere i figli. Nella pratica, per il momento, tutto si è risolto nelle occhiate di commiserazione rivolte a papà Esteban quando, rigorosamente da solo, si è recato agli uffici del Comune e a quelli della Asl a dichiarare che lui è il genitore unico dei gemelli, causando un’ondata di riprovazione nei confronti della supposta madre che aveva lasciato il giovane con due figli a carico, scappando chissà dove. Ce ne sono a centinaia di storie così, in tutta Italia.
L’avvocato Sangalli racconta che quando una coppia omosessuale si reca da lei, la prima cosa che consiglia di fare è un patto di convivenza, ovviamente privato, che regola in caso di separazione i rapporti patrimoniali tra i due. Poi, quando si pensa al bambino, c’è il tema della designazione del tutore, cioè la prima persona a cui viene affidato il minore in caso di morte del genitore biologico. Se il tutore non è stato designato, potrà essere scelto dal giudice all’interno della famiglia legalmente riconosciuta, tagliando così fuori il compagno omosessuale, che per le leggi italiane non esiste. Il tutore è il primo passo, ma la designazione non garantisce che il compagno del defunto possa adottare il bambino in un secondo momento e allora qui entrano in campo i biglietti dell’aereo, le foto, le testimonianze di chi riconosce che quella che ha appena perso un suo membro è una famiglia a tutti gli effetti. Almeno lo è dal punto di vista dei rapporti tra chi è rimasto, perché per la normativa italiana non c’è una famiglia, ma solo un orfano.
Anche quando non accade nulla che richieda il ricorso ai tribunali, la mancanza di tutele è una nota stonata che rischia di incrinare la gioia anche dei momenti più felici delle famiglie arcobaleno: rimane a tormentarti una sottile paura che qualcosa vada storto. Irene e Cristina tutto questo l’hanno provato sulla loro pelle quando è nata Vittoria, sicuramente il giorno più bello della loro vita insieme al matrimonio a New York, nel settembre del 2011. «Sposarsi negli Stati Uniti – racconta Irene, 42 anni – per noi ha significato mostrare a tutti che eravamo una coppia, una famiglia, anche se per la legge italiana quello che abbiamo fatto non ha valore. Il riconoscimento sociale è comunque importante: volevamo essere visibili e in una maniera attiva, qualcosa di più che semplicemente “non nascondersi”. Ed era un passo che volevamo fare prima della nascita della nostra bimba». Vittoria ha compiuto un anno a gennaio del 2014 e le sue foto, oggi, riempiono la casa che Irene, di mestiere consulente e Cristina, 50 anni, conducente di linea, dividono a Prato, in un quartiere di graziose abitazioni a due piani, con il giardino davanti all’entrata, la carrozzina fuori dalla porta. E, a chiudere il cerchio, un cane e due gatti a scorrazzare tra cucina, sala e corridoio. «Il giorno in cui abbiamo saputo che era una bimba ce lo ricordiamo ancora – raccontano Irene e Cristina – perché eravamo in vacanza e una nostra amica aveva il compito di controllare la posta e avvisarci se arrivava una lettera del Careggi, che è l’ospedale di Firenze. Eravamo fuori della casa della sorella di Irene, sotto un ulivo, ed è squillato il telefono. La lettera era arrivata e per la nostra amica era venuto il momento di aprirla e dirci i risultati degli esami. Legge passo dopo passo e a un certo punto ci dice “XX 46”. L’abbiamo fermata: XX, è femmina, allora, è femmina, urlavamo. E lei si agitava: non c’è scritto che è femmina. Sì, ribattevamo, ma se è XX vuol dire che è femmina, è femmina. E lei che continuava: ma non c’è scritto». Sotto quell’ulivo, dopo le spiegazioni, le urla di gioia, Irene e Cristina hanno deciso che la loro figlia si sarebbe chiamata Vittoria. Vittoria perché «ci piaceva come suonava, non perché avere una figlia sia stata per noi una vittoria. È quello che ci chiedono tutti, ma noi a questo non abbiamo affatto pensato».
Vittoria è nata più tardi, quando a Prato faceva freddo, a gennaio. Nessuno ha fermato Cristina quando ha chiesto di entrare in sala parto per assistere al parto di sua moglie, Irene. Ed è stata lei a tagliare il cordone ombelicale, a tenere in braccio per prima la piccola Vittoria, come mostrano le foto sulla pagina Facebook di Irene. Ed era tutto perfetto, tutto bellissimo se non fosse che, come talvolta accade, il parto ha avuto una piccola complicazione per Irene. Nulla di grave, ma per una cucitura è stato necessario un intervento in sala operatoria, con anestesia completa. «E in quel momento sai che qualcosa può andare storto e hai paura – racconta Irene –; se mi fosse successo qualcosa, se fosse successo qualcosa a mia figlia al momento della nascita, Cristina non avrebbe potuto decidere per me e per Vittoria anche se, nel tentativo di tutelarci, ci eravamo presentati con un sacco di fogli scritti da me, in cui delegavo mia moglie per ogni decisione. Ma forse non sarebbe servito. E poi: abbiamo un rapporto bellissimo con le nostre famiglie, Cristina avrebbe potuto comunque chiamare casa e far venire qui i miei genitori, ma non è la stessa cosa. E questo ti fa pensare». Ed è un pensiero costante che ti porti dietro. Seguendo i consigli degli avvocati che come Maria Grazia Sangalli seguono i casi delle famiglie omogenitoriali, anche Cristina e Irene conservano in casa ogni foglio che possa attestare il legame tra Vittoria e Cristina, la mamma intenzionale. La retta dell’asilo, ad esempio, è pagata da Cristina, con bonifici dal suo conto: sono queste le piccole difese di chi non ha diritti scritti sulla carta come tutti gli altri genitori.
Eppure, qualcosa, lentamente sta cambiando. Se la politica e le leggi sono pressoché immobili, la giurisprudenza ha fatto molti passi in avanti nel riconoscimento delle coppie gay come famiglia e sul tema della capacità degli omosessuali di essere buoni genitori. Sul primo versante, i gay italiani devono ringraziare due testardi signori di Latina, Antonio Garullo e Mario Ottocento, sposatisi nel 2002 all’Aia e, da allora, impegnati in una lunga battaglia nei tribunali per far trascrivere il matrimonio anche in Italia. In realtà è una battaglia portata avanti da decine e decine di coppie. Rete Lenford, in una campagna per l’affermazione civile del diritto degli omosessuali al matrimonio, patrocinò agli inizi degli anni duemila coppie di uomini e di donne in cinquanta tribunali d’Italia. Ma il caso Garullo-Ottocento è il primo che, arrivato in Cassazione a marzo del 2012, ha cambiato radicalmente le carte in tavola. La chiave di volta è in una sentenza di 72 pagine che se da una parte nega la trascrizione del matrimonio, perché spetta al Parlamento legiferare in materia, dall’altra sentenzia che «il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia derivante […] immediatamente dall’articolo 2 della Costituzione comporta che i singoli (o entrambi i) componenti della “coppia omosessuale” hanno il diritto di chiedere “a tutela di specifiche situazioni” e “in relazioni a ipotesi particolari”, un “trattamento omogeneo” a quello assicurato dalla legge alla “coppia coniugata”». Insomma, Antonio e Mario non sono sposati ma a loro, quando e se lo chiedono, vanno riconosciuti gli stessi diritti delle persone sposate. Non è per altro la prima volta che un giudice chiede allo Stato di intervenire. Era successo due anni prima, nel 2010, quando la Corte Costituzionale aveva ricordato che l’art. 2 della Costituzione – «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» – ricomprende nelle «formazioni sociali» previste anche il diritto «fondamentale» delle coppie omosessuali «di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri» e che «spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare forme di garanzia e riconoscimento per le unioni suddette».
Un nuovo invito a muoversi in tal senso «con la massima sollecitudine» è arrivato, sempre dalla Consulta, a giugno del 2014 quando i giudici hanno negato l’annullamento del matrimonio di una coppia in cui uno dei due componenti aveva cambiato sesso. Annullamento irregolare perché, spiegano i giudici, manca una forma di tutela equipollente al matrimonio per le coppie dello stesso sesso.
Nel frattempo è evoluto anche il giudizio sui genitori omosessuali, per effetto del moltiplicarsi di contenziosi sull’affido dei figli in coppie separate, in cui uno dei parenti metteva in dubbio l’idoneità dell’altro a educare la prole a causa del suo orientamento sessuale.
Le sentenze sono la cronaca di un paese che sta cambiando ma lo fa agganciandosi a quello che succede nel resto del mondo, piuttosto che sulla base di come (non) stanno cambiando le leggi italiane. Nel 1999 la Corte europea dei diritti dell’uomo, alle cui sentenze devono allinearsi gli Stati firmatari la Convenzione, tra cui figura anche l’Italia, si trova a decidere sul caso di Salgueiro Da Silva Mouta a cui la Corte d’Appello di Lisbona aveva negato l’affidamento della figlia minorenne perché omosessuale convivente con un altro uomo. Era, per i giudici portoghesi, una «situazione anomala». Ma, richiamando gli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – il primo tutela il diritto alla via privata e familiare, il secondo riguarda il divieto di discriminazione – Strasburgo capovolge la sentenza. C’è un giudice a Strasburgo, direbbero gli omosessuali italiani (e portoghesi), e la distanza con il resto d’Europa – uno spread che a differenza di quelli tra i titoli di Stato non sempre è tenuto molto in considerazione – da quel momento in poi si riduce.
Nel 2006 il Tribunale di Napoli si trova a decidere sulla richiesta di un padre che vuole l’affidamento esclusivo del figlio in virtù del fatto che la ex moglie ha intrapreso una relazione con un’altra donna. «Ai fini dell’affidamento dei minori, prima ancora della valutazione dell’idoneità genitoriale – scrive il giudice – è di per sé irrilevante e giuridicamente neutra sia la condizione omosessuale del genitore di riferimento, sia la circostanza che questi abbia intrapreso relazioni omosessuali». Inoltre: «L’atteggiamento di ostilità, più o meno velata, nei confronti dell’omosessualità, nel settore di oggetto, è ormai frutto di meri stereotipi pseudoculturali, espressione di moralismo, e non di principi etici condivisi». Motivo per cui, il fatto stesso di richiamare l’omosessualità dell’ex partner come «arma» per ottenere l’affido esclusivo è già di per sé un’opzione che svaluta la richiesta stessa. Due anni dopo, a Bologna, una madre «avanzava il timore che la figlia si potesse trovare a frequentare, non ancora posta a conoscenza dell’omosessualità del padre, località estive dove “potessero manifestarsi eventi ambigui e traumatici per la stessa”», e il riferimento – spiega l’avvocato Sangalli – era all’isola di Mykonos. Ma, ancora una volta, i giudici ricordano che «il semplice fatto che uno dei genitori sia omosessuale non giustifica – e non consente di motivare – la scelta restrittiva dell’affidamento esclusivo». A Firenze, nel 2009, al termine di una consulenza tecnica chiesta dal tribunale, viene stabilito che l’omosessualità del genitore non danneggia lo sviluppo psico-fisico del minore, essendo «una variabile naturale del comportamento umano» e che «non vi sono controindicazioni a rivelare l’omosessualità paterna alla prole», poiché «la letteratura in merito conferma la necessità di informare i figli prima possibile». I gay, insomma, possono essere buoni genitori come gli altri e non c’è nulla da nascondere.
«Oggi – riconosce Sangalli – la non rilevanza dell’orientamento sessuale rispetto alla capacità genitoriale e alla idoneità educativa è un elemento ormai acquisito dalla giurisprudenza e non desta alcuno stupore. Sarebbe strano che vi fosse una pronuncia di segno opposto, quella sì che farebbe notizia». Eppure ci sono ancora avvocati, rivela Sangalli, che ritengono di consigliare ai propri assistiti di nascondere la propria omosessualità e la nuova relazione con una persona dello stesso sesso in caso di conflitti sull’affidamento dei figli dopo la separazione. È il caso di una donna – di cui l’avvocato non può rivelare nome e nemmeno la città di residenza – a cui chi la patrocinava aveva consigliato di presentarsi nel giudizio di separazione, in cui si discuteva anche dei rapporti con il figlio minore, negando la propria omosessualità e tacendo della propria vita affettiva. La donna si era così costruita una vita parallela raccontando di un nuovo compagno che non esisteva, per dissimulare il nuovo progetto di vita familiare con una donna. «Secondo me una situazione gravissima determinata da un consiglio pessimo. La donna in questione può avere seri problemi se i servizi sociali incaricati dal giudice di verificare il contesto di vita del minore scoprono la finzione. Quei problemi che certo non derivano dal suo orientamento sessuale ma da una messinscena grottesca. Avvocatura per i Diritti Lgbti – Rete Lenford lavora anche per questo: per formare e aggiornare i colleghi che si trovano a seguire casi in cui sono coinvolte persone gay, lesbiche o trans, circa l’evoluzione che ha compiuto in questi ultimi anni la giurisprudenza, nazionale e sovranazionale, e per promuovere una cultura del rispetto dei diritti della persone Lgbt che abbatta pregiudizi e ignoranza, anche tecnica».
Oggi l’associazione, che prima aveva sede a Firenze, ha casa a Bergamo, al primo piano di un palazzo nel centro della città bassa. Quattro stanze, di cui una dedicata alla segreteria, una ai convegni, una terza a una biblioteca dedicata ai temi dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere nella dottrina giuridica e sociologica e nella giurisprudenza. La biblioteca è il cuore del Centro studi europeo su orientamento sessuale e identità di genere, curato da Giacomo Viggiani, giovane dottorando in filosofia del diritto. Sul tema delle tutele giuridiche c’è anche un sito www.articolo29.it, che pubblica sentenze, articoli di approfondimento, discussioni. Molti, moltissimi i riferimenti a quello che succede negli altri paesi d’Europa.
Intanto, nei tribunali italiani per le famiglie arcobaleno le cose sono evolute molto rapidamente anche in assenza di una legge pur invocata e auspicata dalla Consulta, e non una volta sola. È del gennaio 2013 una sentenza della Cassazione che, dopo aver stabilito che un genitore non è meno degno e capace di un altro a causa della sua omosessualità, sostiene che questo vale anche per una coppia. Ed è la prima volta che si apre a un’ipotesi – due mamme o due papà – che gran parte dell’arco politico e il mondo cattolico italiano continuano pervicacemente a escludere. In questo caso i giudici dovevano decidere sull’affidamento di una bambina, a Brescia, dove il padre era contrario al fatto che la minorenne vivesse in casa della mamma e della sua compagna. «Non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale, finendo per dare per scontato ciò che invece è da dimostrare, ovvero la dannosità di quel particolare contesto familiare per il bambino» scrivono i giudici. Sui giornali se ne è parlato poco, ma è una svolta. È una frase che consiglia di aprire a mondi e realtà a cui invece il Parlamento, cui spetta di legiferare, ha negato a lungo cittadinanza in tema di genitorialità. E infatti si muovono altri tribunali, in una non troppo imprevedibile reazione a catena che però scandalizza molti. Se per le adozioni, infatti, al momento non cambia nulla, la sentenza della Cassazione cambia molte cose nel mondo degli affidi. Da anni, in verità, nel silenzio generale e senza troppo scandalo, ci sono minori affidati temporaneamente a famiglie o single omosessuali che hanno il compito non di fare da genitori sostitutivi, ma di aiutare quelli legittimi a superare il loro momento di difficoltà in vista di un ricongiungimento che è il vero obiettivo di tutte le parti coinvolte. Le norme per l’affidamento, infatti, hanno criteri diversi rispetto alle adozioni e chiedono e impongono ai servizi sociali di affidare i minori alla persona o famiglia più adatta decidendo sulla base della situazione contingente.
Mai però, nei tribunali, era stato esplicitamente decretato che una coppia di omosessuali fosse la scelta migliore per l’affido temporaneo di un minorenne. Sino al 31 ottobre 2013, quando il Tribunale per i minorenni di Bologna stabilisce che una bambina di tre...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. L’Italia che Merita i Giorni Dell’arcobaleno
  6. Piccolo Glossario (Più Qualche Regola Preliminare)
  7. Introduzione Genitori per Istinto nel Paese Senza Diritti
  8. I. Fuori Dall’armadio con un Bambino in Braccio Fuori Dall’armadio con un Bambino in Braccio
  9. II. Mamme Rai e il Battesimo Degli Equivoci Mamme Rai e il Battesimo Degli Equivoci
  10. III. Al Pride con i Biberon e i Passeggini Al Pride con i Biberon e i Passeggini
  11. IV. Le Zie D’America Le zie D’America Le zie D’America Le zie D’America Le zie D’America
  12. V. Lottando nei Tribunali Lottando nei Tribunali Lottando nei Tribunali Lottando nei Tribunali Lottando nei Tribunali
  13. VI. Quattro in Famiglia (e i Mostri Fuori Dalla Porta) Quattro in Famiglia (e i Mostri Fuori Dalla Porta)
  14. VII. Famiglie Scritte in Stampatello Famiglie Scritte in Stampatello
  15. VIII. Belle Fiabe (e Mostri Cattivi) a Venezia Belle Fiabe (e Mostri Cattivi) a Venezia
  16. IX. Le Prove Generali Dell’Italia che Verrà Sulla via Emilia Le Prove Generali Dell’italia che Verrà Sulla via Emilia
  17. Appendice Le Ragioni Dell’esilio
  18. Nota Bibliografica
  19. Indice