La persecuzione fascista contro gli ebrei nell’università italiana*
1. Il censimento razziale del personale universitario.
Accingendosi a trattare il caso della matematica al convegno sulle Conseguenze culturali delle leggi razziali in Italia, organizzato dall’Accademia nazionale dei lincei, Edoardo Vesentini premetteva di concordare con i propositi enunciati dal presidente Amaldi: tra gli scopi del convegno non vi era quello «di tirare fuori gli scheletri dagli armadi […] anche se tutti sappiamo che quegli armadi esistono e quegli scheletri pure, dimenticati o nascosti, e se tutti sappiamo che quella ricognizione non potrà essere rinviata indefinitamente». Tale incombenza non spettava agli uomini della sua generazione. «Non è il caso, oggi, di imbastire processi sommari a colleghi più anziani, a Maestri di scienza scomparsi da pochi anni, il cui ricordo è ancora presente nella nostra memoria, misto all’ammirazione e, talvolta, all’affetto»1. Veramente l’insigne matematico, pur evitando riferimenti personali, non mancava poi di ricordare episodi di servile allineamento alla politica razzista del regime. Ma quel dichiarato imbarazzo a rievocare senza reticenze i comportamenti del mondo accademico e scientifico in questa vicenda inquietante della storia nazionale, val bene a rappresentare le ragioni profonde di un processo di rimozione della memoria collettiva, che si riflette nel ritardo e nel distratto interesse con cui la storiografia ha affrontato il tema della persecuzione contro gli ebrei. Come se si fosse trattato di un episodio marginale, di una sorta di variabile accidentale nella storia del fascismo e della società italiana, non meritevole di particolare attenzione. Poche pagine, o brevi periodi frettolosi, in alcuni casi persino il silenzio, è quanto offrono, con poche eccezioni, anche serie e autorevoli monografie e opere generali sul regime fascista: con evidente incomprensione dell’importanza centrale assunta dal razzismo antisemita nell’ideologia e nella politica del fascismo2.
È significativo che anche dopo l’opera fondamentale di Renzo De Felice, pubblicata nel 1961, cui spetta il merito di aver ricostruito in tutta la sua complessità, e con notevole franchezza di giudizio, la storia degli ebrei e della persecuzione antisemita sotto il fascismo3, occorrerà attendere l’occasione del cinquantesimo anniversario delle leggi razziali perché una nuova stagione di studi e ricerche avviasse finalmente una prima approfondita riflessione sugli effetti della persecuzione contro gli ebrei nella cultura e nella comunità scientifica italiana4. Nondimeno non disponiamo ancora di indagini sistematiche, che consentano di tracciare un quadro sufficientemente compiuto e realistico di quanto accadde nelle università italiane. Gli stessi dati statistici sono assai lacunosi e in parte errati, e mancano ricerche specifiche sui singoli atenei5.
Rivolgeremo dunque la nostra attenzione in primo luogo al censimento razziale del personale universitario – una fonte sinora ignorata – attuato nell’agosto-settembre 1938, nel quadro delle iniziative antisemite del ministro Bottai e del governo fascista; cercheremo quindi di integrare e correggere, per quanto possibile, i dati sinora disponibili riguardanti il personale «di razza ebraica» espulso dall’università; vedremo infine di verificare come fu vissuta nell’esperienza di un ateneo – quello di Padova – la persecuzione antisemita, e quali ne furono le conseguenze. Non è parso invece necessario ripubblicare in questa sede i noti elenchi dei professori ordinari e straordinari e dei liberi docenti, già più volte editi, sia pure con alcuni errori e lacune. Non rientra nei limiti di questa ricerca una rassegna di tutti i nomi dei perseguitati e dei loro profili biografici, neppure degli scienziati e studiosi più insigni e famosi; salvo per la ricerca dell’Università di Padova, come richiede un’indagine calata nel caso specifico di un ateneo.
La svolta razzista e antisemita del regime, voluta e imposta da Mussolini, interpretava anche umori e orientamenti diffusi nel gruppo dirigente fascista, e pure tra i quadri intermedi del partito e degli apparati del regime6. Il razzismo costituiva uno sviluppo logico, ancorché non necessario, dei principi stessi e degli atteggiamenti mentali su cui si fondava l’ideologia del fascismo: della sua anima ultranazionalistica e imperialistica, gerarchica e autoritaria, attivistica e irrazionalistica, negatrice dei valori umanistici costitutivi della moderna civiltà occidentale. Non tutti i gerarchi, com’è noto, erano convinti sostenitori della politica antisemita. Non fu invece senza conseguenze per l’università e la scuola che proprio Giuseppe Bottai, il ministro dell’Educazione nazionale, si distinguesse tra i più decisi e intransigenti fautori della politica razzista e antiebraica7.
Già all’indomani della pubblicazione del documento Il fascismo e i problemi della razza (14 luglio 1938) – più noto come Manifesto degli scienziati razzisti, prima esplicita presa di posizione ufficiale della svolta razzista – la volontà di Bottai di bruciare i tempi e di applicare in modo sistematico e rigoroso le misure discriminatorie contro gli ebrei si manifestava con la proposta di effettuare un censimento razziale del personale della scuola. La lettera «riservatissima» che il ministro dell’Educazione nazionale inviava il 20 luglio alla Direzione generale per la demografia e la razza del ministero dell’Interno – la famigerata Demorazza, appena istituita – rappresenta il primo documento a nostra conoscenza in cui si prospetta la necessità di un censimento degli ebrei, e val la pena di riportarla integralmente.
In relazione alle direttive del Regime nei confronti degli ebrei, già da qualche mese ho evitato di nominare studiosi ebrei a posti di comando, e anche nelle commissioni giudicatrici di concorsi e di esami. Poiché però manca a tutt’oggi un censimento del dipendente personale d’origine israelitica, si è potuto avere riguardo soltanto ai casi notori. Riterrei opportuno procedere ora a tale censimento, da affidare alle autorità scolastiche da me dipendenti. Atteso peraltro il carattere di simile ricerca, prego cotesto on. Ministero di volermi far conoscere il proprio avviso al riguardo, e fornirmi ogni opportuno suggerimento, sia per ciò che concerne le modalità dell’accertamento, sia per quello che si riferisce alle diverse condizioni in cui il personale di origine israelitica potrà trovarsi (iscritti, o meno, alla comunità ebraica, convertiti ad altra religione, appartenenti a famiglia convertita da qualche generazione)8.
Per il momento Bottai era invitato a soprassedere. Ma dopo un paio di settimane una raffica di provvedimenti contro gli ebrei segnava il passaggio dalla fase preparatoria all’attuazione pratica della politica antisemita9. Un ruolo di punta toccava al ministero dell’Educazione nazionale, per l’importanza strategica del settore di sua competenza, e anche, in questa fase iniziale, per la fretta di allontanare docenti e studenti ebrei dalle scuole e dalle università prima dell’inizio dell’anno scolastico. Anticipando con semplici circolari le norme legislative ancora in corso di elaborazione – procedimento illegale anche rispetto allo stesso ordinamento giuridico vigente, tanto più grave in quanto andava a incidere nella sfera dei diritti civili e umani – Bottai si atteneva ai criteri più rigidi e radicali. Con la «circolare urgente» 6 agosto 1938, n. 19153, «in conformità ad ordini Superiori» – vale a dire per ordine del duce – il ministro dell’Educazione nazionale disponeva che a decorrere dall’anno accademico 1938-39 era vietata l’ammissione ai corsi universitari degli studenti ebrei stranieri, «compresi quelli dimoranti in Italia. Tale disposizione concerne non soltanto coloro che domandassero eventualmente per la prima volta di iscriversi ai vari corsi universitari ma anche gli iscritti negli anni precedenti»10. Norma, quest’ultima, successivamente corretta per intervento del ministero degli Esteri contro la resistenza di Bottai.
Nei confronti degli ebrei italiani una prima misura discriminatoria era già stata introdotta con la circolare 3 agosto 1938, n. 5680 del ministro dell’Educazione nazionale. Attuando tempestivamente una direttiva generale impartita ufficialmente a tutti i dicasteri il 20 luglio11, la circolare vietava «la partecipazione di studiosi di razza ebrea a congressi e a manifestazioni culturali all’estero»12. Ma il ministero ne aveva anticipato l’attuazione, se già il 2 agosto il rettore dell’Università di Padova aveva dovuto comunicare a Israele Zolli, rabbino capo della Comunità israelitica di Trieste, libero docente di Lingua e letteratura ebraica e professore incaricato di Ebraico e lingue semitiche comparate nella facoltà di Lettere, che gli era stata revocata l’autorizzazione, concessa pochi mesi prima, di partecipare a Bruxelles al XX Congresso degli orientalisti13.
Altre norme antisemite colpivano pochi giorni dopo le scuole elementari e medie vietando il conferimento di supplenze e incarichi a insegnanti ebrei, l’iscrizione di studenti ebrei stranieri e l’adozione di libri di testo scritti da ebrei.
Intanto ai primi di agosto – mentre avviava le operazioni preparatorie del censimento generale degli ebrei fissato al 22 agosto – il ministero dell’Interno aveva inviato una circolare agli altri ministeri e ai principali organi dello Stato affinché procedessero a un censimento riservato di tutti i dipendenti di razza ebraica14. Bottai poteva così porre in atto la sua precedente proposta, diramando «a tutte le autorità dipendenti» la circolare 9 agosto 1938, n. 12336, che ordinava di effettuare quest’altro «censimento del personale di razza ebraica» da compiersi entro la fine del mese di settembre15. Si tratta di un rilevamento parallelo e diverso rispetto al noto censimento generale del 22 agosto, che s’inserisce nel quadro alquanto confuso degli accertamenti razziali, in cui si intrecciano e si sovrappongono molteplici iniziative attuate contemporaneamente da varie amministrazioni pubbliche, al centro e in periferia, nel clima di improvvisazione e di febbrile urgenza con cui il regime volle imporre la svolta antisemita16.
Com’è noto, il censimento del 22 agosto, impostato e gestito dalla Direzione generale per la demografia e la razza del ministero dell’Interno, con la collaborazione tecnica dell’Istituto centrale di statistica, ricalcava in parte il metodo dei censimenti generali della popolazione, con la fondamentale differenza che la rilevazione era limitata ai soli nuclei famigliari nei quali le indagini preliminari avessero accertato la presenza di uno o più individui definibili ebrei «ai fini del censimento», cioè di religione israelitica o figli anche di un solo genitore ebreo. Ma sui «fogli di censimento» distribuiti alle famiglie e compilati a cura dei rilevatori comunali, fra i molti quesiti nessuno concerneva direttamente la razza, ché tali di per sé non potevano considerarsi i dati relativi alla religione e all’eventuale iscrizione a una comunità ebraica17. Insomma, anche se la finalità politico-razziale era evidente, nel suo impianto tecnico, attraverso il foglio di rilevamento, il censimento si presentava – e tale voleva apparire per volontà dello stesso ministero – una normale rilevazione statistica «ad esclusivo scopo di studio»18.
Diversa invece, mirata a una diretta definizione di appartenenza razziale e a una immediata utilizzazione amministrativa dei dati, appare l’impostazione del censimento attuato dal ministero dell’Educazione nazionale tra tutti i suoi dipendenti. Di fatto questo censimento, concepito come strumento necessario per applicare tempestivamente e con il massimo rigore i provvedimenti antisemiti, si configura quale prima fase di un’unica operazione in due tempi: identificazione degli «appartenenti alla razza ebraica», e conseguenti provvedimenti di espulsione.
Sarà sulla base di questo censimento che il ministero potrà diramare ai rettori, il 14 ottobre 1938, l’elenco del personale docente e assistente di ciascuna università, che ai sensi degli articoli 3 e 6 del r.d.l. 5 settembre 1938, n. 1390, veniva sospeso dal servizio a decorrere dal 16 ottobre, demandando agli stessi rettori il compito di emanare analoghi provvedimenti per il personale di nomina rettorale19: primo intervento d’urgenza, in attesa dei successivi provvedimenti definitivi di espulsione.
Sulle schede personali tutti i dipendenti di ruolo e non di ruolo, compresi i liberi docenti («anche se non esercitano temporaneamente l’insegnamento»), dovevano dichiarare la propria posizione razziale: «se appartenga alla razza ebraica per parte di padre», se sia iscritto alla comunità israelitica, se professi la religione ebraica, se la madre e il coniuge siano di razza ebraica. Allo stato della documentazione, e mancando pure ricerche specifiche sugli analoghi censimenti compiuti nell’ambito degli altri ministeri, non è possibile stabilire sino a che punto tali criteri riflettessero l’orientamento prevalente in quel momento tra i responsabili della politica razziale, o fossero concepiti autonomamente da Bottai e dai suoi collaboratori. Sta di fatto che assumendo il principio dell’appartenenza alla razza ebraica «per parte di padre» (opposto a quello della tradizione ebraica), Bottai faceva proprio il criterio più radicale ed estensivo, appena attenuato dalle successive norme legislative che escluderanno dalla «razza ebraica» il figlio di matrimonio misto, purché professante una religione diversa da quella israelitica e il genitore non ebreo fosse di nazionalità italiana.
Tra agosto e settembre, dunque, gli uffici del ministero, delle università e delle scuole – al pari di tutte le altre amministrazioni pubbliche – furono mobilitati nelle operazioni del censimento; e tutti i dipendenti coinvolti personalmente dall’obbligo di compilare la scheda razziale – anzi in molti ca...