Morire a Mattmark
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Morire a Mattmark

L'ultima tragedia dell'emigrazione italiana

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Morire a Mattmark

L'ultima tragedia dell'emigrazione italiana

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A Mattmark non ci si fermava mai, si lavorava giorno e notte per costruire un'imponente diga capace di produrre l'energia necessaria a un paese, la Svizzera, che stava vivendo una crescita economica senza precedenti. Nel cantiere lavoravano più di mille persone, in maggioranza straniere e provenienti soprattutto dalla provincia italiana. La «piccola» Svizzera accoglieva da sola quasi il 50 per cento dell'intero flusso migratorio italiano, dando occupazione a operai impegnati in grandi opere, come la diga di Mattmark. Ma il 30 agosto 1965, in pochi secondi, accadde l'irreparabile: «Niente rumore. Solo, un vento terribile e i miei compagni volavano come farfalle. Poi ci fu un gran boato, e la fine. Autocarri e bulldozer scaraventati lontano». A parlare è uno dei sopravvissuti intervistati nel libro, uno dei testimoni della valanga di più di 2 milioni di metri cubi di ghiaccio che seppellì 88 lavoratori. Di questi, 56 erano italiani. Come a Marcinelle, la tragedia rappresentò una cesura nella lunga e travagliata storia dell'emigrazione italiana, segnando un punto di non ritorno. Inoltre, suscitò molto scalpore in tutta Europa: per la prima volta, stranieri e svizzeri morivano l'uno a fianco all'altro. Nei giorni successivi si scavò senza sosta con la speranza di trovare ancora vivi amici, padri, fratelli, figli. Ci vollero più di sei mesi per recuperare i resti dell'ultima salma. Questa storia si concluse nel modo peggiore: i tempi dell'inchiesta furono lunghissimi, oltre sei anni, e i diciassette imputati chiamati a rispondere dell'accusa di omicidio colposo furono tutti assolti, nonostante l'instabilità del ghiacciaio fosse nota da secoli. In appello andò anche peggio, con la conferma dell'assoluzione e la condanna dei familiari delle vittime al pagamento delle spese processuali. L'oblio nel quale è caduta la catastrofe fa parlare di Mattmark come di una «Marcinelle dimenticata». Questo volume, a cinquant'anni di distanza, sfida quell'oblio attraverso una ricostruzione, attenta e documentata, di quanto avvenne.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788868433970
Argomento
History
Categoria
World History

II. Mattmark: il territorio, il progetto, il lavoro

1. Bellezza e miseria di una valle.

L’alto Vallese, come già descritto da Rousseau, oltre a rappresentare il crocevia di tante meraviglie naturali, era ancora nell’immediato secondo dopoguerra un luogo pieno di contraddizioni.
Dalle vetrine delle agenzie di viaggi spiccano immagini della bellezza di queste valli, della purezza delle acque e della maestosità del paesaggio montano. […] Zermatt, il Matterhorn sono noti, oramai, anche al di fuori dei nostri confini nazionali. Chi non vorrebbe passare qualche settimana di vacanza tra queste bellezze naturali?
Il Vallese però è fatto anche di un’altra pagina, una buia, poco felice. […] basta fare cento passi più in là degli hotel di lusso e si ritrovano persone che vivono nella miseria1.
Questo è l’incipit di un opuscoletto che, nei primi anni cinquanta, venne realizzato dallo Schweizerisches Arbeiterhilfswerk (Soccorso operaio svizzero, Sos)2 per raccogliere fondi a favore delle famiglie indigenti dell’alto Vallese. Diverse le piaghe descritte.
La prima è quella abitativa, «la piaga peggiore del Vallese. Viste da fuori queste casette in legno trasmettono un’immagine romantica e idilliaca». Ma entrando la miseria si tocca con mano. «L’alloggio di una famiglia, 6 figli e 2 adulti, è composta da una cucina minuscola e da una cameretta da letto. Hanno a disposizione 4 letti, uno dei quali in cucina, dove dorme un bambino di 4 mesi. In più, per la notte viene sgombrato il tavolo della cucina e trasformato in letto»3.
3. Bambine in una casa tipica dell’alto Vallese. In Not im Wallis!, ottobre 1950, p. 7.
3. Bambine in una casa tipica dell’alto Vallese. In Not im Wallis!, ottobre 1950, p. 7.
Le condizioni economiche dei piccoli villaggi erano tra le peggiori e molte famiglie erano profondamente indebitate.
In questi paesini sperduti, per gli uomini, le opportunità sono poche. Per questa ragione cercano impiego come muratori, minatori o manovali per lavori stagionali. Lo stipendio medio è di 400 franchi. In questa vallata abbiamo incrociato una famiglia con 9 figli, di cui uno affetto da crisi epilettiche. Il padre, del suo stipendio di 300 franchi, riesce mensilmente a mandarne a casa solo 100. Ogni giorno la madre compra 2 chili di pane, con una spesa mensile di 33 franchi. Con il resto, la donna deve riuscire a coprire le spese mediche, il vestiario ecc. La donna deve essere in grado di fare magie se vuole pagare tutto. Il latte non viene comprato, ma è prodotto dall’unica capra posseduta dalla famiglia4.
L’inverno era la stagione peggiore: gli uomini restavano a casa disoccupati e i bambini, fin dalla tenera età, dovevano aiutare in maniera concreta le famiglie. «Generalmente lavorano presso i contadini, con orari da adulti, e in cambio ricevono qualche patata, frutta e qualche genere alimentare per il sostentamento di tutta la famiglia»5. Questi bambini «appaltati» (Verdingkinder)6 rappresentano – assieme ai bambini clandestini7 – una delle pagine più buie della recente storia svizzera. Le condizioni sanitarie erano pessime, come prevedibile, nella maggior parte dei casi. Molti bambini erano affetti da tubercolosi, fisicamente sottosviluppati e denutriti.
Queste descrizioni sembrano le stesse del secondo dopoguerra sulla miseria nella quale versava la provincia italiana8.
Paradossalmente, come altre volte nella storia, si incontrano e si incrociano i destini dei tanti protagonisti che, partendo dall’Appenino meridionale o dal profondo Veneto, o vivendo in luoghi a ridosso dei grandi cantieri, fornivano energie umane allo sviluppo industriale dell’Europa continentale e non solo.
Se la manodopera a basso costo abbondava sia in loco sia in Italia – serbatoio dal quale la Svizzera attinse senza sosta per almeno un trentennio dal secondo dopoguerra in poi –, le imprese locali in grado di progettare e realizzare queste grandi opere erano invece scarse se non quasi del tutto inesistenti. Come era accaduto nei decenni passati nel resto della regione, anche nell’alto Vallese l’industrializzazione avvenne attraverso lo sviluppo del settore idroelettrico.

2. Il progetto e lo scontro tra interessi forti.

La zurighese Elektro-Watt, che si aggiudicherà la grande opera, vincendo la forte concorrenza di altre due società presenti da decenni nel Vallese – la Grande Dixence e la Lonza –, riuscirà a iniziare i lavori veri e propri solo nel 1960, nonostante il progetto preliminare fosse stato presentato già nel novembre del 19549. Il progetto escludeva la possibilità di realizzare una diga con lo sbarramento in cemento armato – modalità prevalente da più di qualche decennio in tutto il mondo10 – perché, in quel particolare contesto territoriale e a un’altezza di oltre 2000 metri, i costi sarebbero stati eccessivi. Si optò per il modello rockfill, con sbarramento in terra e materiali naturali da reperire in loco11. Tuttavia, nonostante il preliminare fosse immediatamente eseguibile, tanto da corrispondere, grosso modo, a quanto verrà effettivamente realizzato12, la disputa fra le tre società – che volevano assicurarsi non tanto la grande opera, quanto il diritto esclusivo di sfruttamento delle acque della valle – e il rilascio delle concessioni da parte delle amministrazioni locali rallentarono l’avvio dei lavori.
4. Schema del progetto tecnico per la diga di Mattmark, nell’opuscolo informativo Benvenuto a Mattmark (s.d.).
4. Schema del progetto tecnico per la diga di Mattmark, nell’opuscolo informativo Benvenuto a Mattmark (s.d.).
Per quanto riguarda le contendenti (Grande Dixence, Lonza e Elektro-Watt) la maggiore difficoltà fu dovuta al fatto che le prime due da tempo erano attive nel territorio e avevano siglato accordi di massima con i singoli Comuni per ottenere le concessioni. La Grande Dixence aveva sottoscritto un accordo con il Comune di Zermatt13 e la Lonza già agli inizi del secolo aveva ottenuto alcuni diritti di sfruttamento delle acque nell’alto Vallese. Negli anni venti quest’ultima si era in parte trasferita nel distretto14 e, di conseguenza, sulla scorta delle concessioni del 1905 e del 1929, pretendeva il diritto allo sfruttamento delle acque della riva destra della valle15. In più, da oltre trent’anni si occupava dell’idroelettrico nel Vallese e, grazie ai rapporti instauratisi con il Dipartimento dei lavori pubblici del Cantone e un accordo di massima con la Suisélectra di Basilea, faceva pressioni per mettere le mani sull’affare. Ancora, sempre la Lonza aveva presentato formale richiesta di concessione a quattro Comuni della Valle del Saas.
Dal canto suo, l’Elektro-Watt chiedeva invece di integrare i due progetti in modo che il carico da sostenere fosse contenuto e i vantaggi assicurati16. La decisione su come dirimere la questione era nelle mani del governo cantonale, che doveva tenere in considerazione diversi fattori: la produzione di energia a basso costo, i vantaggi per l’intero Cantone e soprattutto la garanzia del coinvolgimento delle imprese locali nei lavori preliminari. La partecipazione di queste ultime sarebbe stata agevolata anche dalla costruzione di una rete viaria; fino ad allora, infatti, i trasporti da e per la valle erano garantiti per via aerea17.
Ciò nonostante, il Cantone fu incline da subito a optare per la società zurighese cui aveva affidato la progettazione dell’opera, in maniera informale nel febbraio del 195418 e ufficialmente nel mese successivo.
Vista l’importanza del progetto e visto il personale tecnico di cui dispone l’Elektro-Watt, sarebbe auspicabile che questa società fosse l’esecutrice. Le tre società hanno chiesto di poter partecipare finanziariamente al lavoro fornendoci tutte le garanzie finanziarie, ma alcune a certe condizioni19.
Fu la Lonza, che voleva riservarsi in maniera esclusiva lo sfruttamento delle acque per il proprio settore elettrochimico, a porre dei vincoli. Ma dovette scontrarsi con l’opposizione delle comunità locali che insistevano per garantirsi la titolarità dei diritti sulla preziosa risorsa e che, di fatto, furono utilizzate dal decisore pubblico come giustificazione della scelta fatta, alla quale si unì una motivazione di natura strategico-economica: vendere l’energia prodotta al resto della Confederazione. Per raggiungere lo scopo, il Dipartimento cantonale dei Lavori pubblici propose di affidare il sondaggio geologico sulla fattibilità a una società terza, onde evitare di dover sottostare al diritto di prelazione derivato dai precedenti rapporti con il Cantone della stessa Lonza20....

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Prologo
  6. I. Da emigranti e contadini a produttori di energia
  7. II. Mattmark: il territorio, il progetto, il lavoro
  8. III. La catastrofe annunciata
  9. IV. Il racconto, le inchieste e la politica
  10. Epilogo
  11. Le vittime
  12. Ringraziamenti
  13. Apparati