Agricoltura-mondo
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La storia contemporanea e gli scenari futuri

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La storia contemporanea e gli scenari futuri

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Alla metà del secolo scorso, nelle economie avanzate, l'agricoltura rappresentava ancora una fonte importante di reddito e di occupazione. Oggi il suo contributo alla formazione della ricchezza e all'impiego di forza lavoro è minimo. Ma è divenuto grande il peso dei sistemi agroalimentari. È avvenuto un cambiamento radicale nelle campagne, che ha inciso sulle abitudini alimentari, sugli stili di vita, sullo stesso immaginario dei nostri contemporanei. Il viaggio di Guido Fabiani nell'agricoltura mondiale abbraccia tutto il Novecento, fino a oggi. Si parte dalla rivoluzione avvenuta nei sistemi economici avanzati in seguito alla Grande crisi del 1929 e quindi alle diverse forme di intervento statale – il New Deal negli Usa, la collettivizzazione in Urss e l'autarchia agricola in Italia –, per passare alla fase segnata dall'egemonia statunitense e poi, con l'affermarsi dei paesi dell'Unione europea, alla costituzione dei due più forti sistemi agro-alimentari al mondo, che hanno dominato la scena per alcuni decenni. Il quadro sta cambiando velocemente: le agricolture emergenti possono giocare un ruolo da protagoniste nello scenario globale; sono cresciute le esigenze alimentari delle popolazioni, specie in alcune aree geografiche; si è alterato il rapporto uomo/natura con riflessi pericolosi sull'uso e la conservazione delle risorse naturali. Se l'agricoltura è diventata un laboratorio di modernizzazione, si diffonde sempre più la consapevolezza, anche ai massimi vertici delle istituzioni internazionali, che il paradigma fin qui dominante non è più sostenibile. Produzione biologica, agriturismo, agricoltura sociale, presidio del territorio, valorizzazione delle produzioni tradizionali, ecosostenibilità sono le attività dell'agricoltura contemporanea. Restano aperti, e affascinanti, gli interrogativi circa le forme che prenderà il nuovo modello di agricoltura.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788868434250
Categoria
Sociologia

Parte terza

L’intervento dello Stato nel governo dell’agricoltura. Tre casi modello (gli anni venti-trenta)

La varietà degli interventi pubblici nel settore primario è dipesa dai diversi contesti politici e istituzionali, oltre che dai problemi ereditati nelle specifiche situazioni.
In Europa, come si è visto, la Grande guerra aveva decisamente disunito il Vecchio continente in quattro aree (la Russia rivoluzionaria, l’Europa orientale, l’Europa meridionale, l’Europa occidentale), ciascuna con i propri problemi dal punto di vista agricolo ma tutte con un settore primario rimasto per lungo tempo in condizioni di forte depressione e che necessitava di un intervento organico, difficile da rimandare. Nell’area occidentale europea, nel periodo tra le due guerre, l’agricoltura non era certo caratterizzata dalla presenza di quei fattori che si considerano strategici ai fini dello sviluppo economico, quali le innovazioni nei metodi di produzione, un alto livello di investimenti o l’apertura di nuovi sbocchi per le esportazioni. Al contrario, il settore mostrava allora molti dei segni di un’industria depressa, anzi della più depressa industria d’Europa (Svennilson 1954).
La crisi economica del 1929 aveva accentuato questa situazione e aveva spinto verso forme di controllo del settore primario a carattere autarchico e vincolistico, in nome di una conclamata politica di difesa delle agricolture nazionali che ha finito per accentuare i difetti strutturali dell’agricoltura europea, ponendo con molto anticipo le basi del successivo protezionismo agrario a livello comunitario (Rossi-Doria 1964). Un’esigenza di intervento si è sentita in questi anni finanche in Inghilterra dove, nonostante il settore primario avesse già pienamente compiuto l’inserimento nel contesto industriale, la politica economica liberista è intervenuta con varie forme di regolamentazione per prodotto. Ma qui l’agricoltura era già stata completamente trasformata e industrializzata e il suo peso sull’economia era ormai relativamente ridotto, in un contesto in cui una parte consistente dell’approvvigionamento alimentare, tra l’altro, faceva conto sui cospicui flussi provenienti dai mercati coloniali (Grigg 1989).
In Europa il caso italiano, per molti aspetti in anticipo rispetto ad altri, ha rappresentato una delle forme di traduzione più spinta del protezionismo in termini di politica agraria. Qui si è attuato un forte controllo sociale e una consistente difesa protezionistica di un’agricoltura ancora condizionata da arretrati rapporti di produzione e caratterizzata da una bassa crescita, ma che veniva chiamata a rispondere alle esigenze di una fase di riorganizzazione e trasformazione della base industriale del paese. In realtà, le forme che ha assunto l’intervento dello Stato nell’agricoltura italiana, oltre che riflettere gli interessi coagulati intorno alla proprietà agraria assenteista (direttamente identificabile con la produzione cerealicola), rientravano in un’impostazione più generale, e interventista, delle politiche del lavoro, del commercio internazionale e degli investimenti attuate in questo paese nel periodo tra le due guerre, con l’obiettivo di rinforzare la struttura economica in una visione completamente interna ai confini nazionali. Senza, quindi, la possibilità di durare in un contesto aperto, perché assolutamente mancante del respiro che avrebbe potuto dare (come nel caso del New Deal) una prospettiva di sviluppo a dimensione internazionale.
Sull’altro versante europeo è nota l’esperienza nuova e radicale della collettivizzazione sovietica. Questa avrà un cammino autonomo, costituendo un caso a sé, anche se per molti versi sviluppatosi in parallelo al resto delle economie industriali. L’esperienza attuata in questi anni in Urss è caratterizzata da una specificità sostanziale: l’avvio di un sistema di pianificazione centralizzata mai prima sperimentato, per inserire l’agricoltura di quel paese, segnata da una esasperata condizione di arretratezza economica e sociale, in un intenso processo di sviluppo trainato dall’industria pesante.
Nel caso dell’Urss sono stati eliminati completamente il ruolo e le funzioni del mercato attraverso norme imposte dall’alto in forma rigidamente centralistica. Qui il mercato è scomparso completamente a seguito di un’industrializzazione forzata e squilibrata a favore dei settori di base e attraverso l’imposizione di un controllo diffuso e capillare sull’attività produttiva del solo settore, quello primario, in grado di fornire, per le sue dimensioni relative, una quota significativa del surplus disponibile. Agendo, quindi, attraverso la collettivizzazione e la pianificazione economica sulla ragione di scambio dell’agricoltura con gli altri settori, si è tentato di garantire gli approvvigionamenti alimentari necessari e il surplus di risorse indispensabile per sostenere un’accelerata crescita industriale. Lo sviluppo dell’agricoltura è stato subordinato sotto ogni aspetto allo svolgimento di questa funzione strategica basilare. Di conseguenza, il suo sviluppo, oltre a subire una forte condizione di subalternità rispetto all’industria, è stato costretto in un ambito economico totalmente chiuso alla dimensione internazionale e a ogni sollecitazione di competitività.
Fuori dell’Europa, negli Usa l’impatto della Grande crisi e della successiva depressione è stato maggiore che nelle altre situazioni di economia di mercato e, di conseguenza, è stata più pressante l’esigenza di impostare un controllo generalizzato e incisivo del mercato a livello dell’intero sistema economico. Per quanto riguarda l’agricoltura l’intervento è stato finalizzato a orientare decisamente lo sviluppo del settore, ma tenendo ben fermi i capisaldi di tipo privatistico (Perkins 1969; Tolley 1938).
Negli Usa, durante il New Deal si sono poste le basi per un’azione di politica economica e sociale in agricoltura di lungo periodo e si è attivata una vasta gamma di strumenti per il sostegno dei prezzi e del reddito agricolo, nell’intento di tenere sotto controllo l’offerta del settore e di poter assumere il ruolo di principale protagonista sul mercato dei prodotti agricoli a livello mondiale. Si sono così avviate forme di aiuti diretti al reddito, sussidi per la riduzione delle superfici a coltura, si sono introdotte quote di produzione e commercializzazione, prezzi minimi garantiti, azioni di stoccaggio e redistribuzione dei surplus, marketing agreements, facilitazioni sui costi di produzione, licenze e autorizzazioni commerciali, interventi di commercio internazionale, attività varie di finanziamento e credito alle imprese, interventi sulle strutture del mercato interno, azioni per la conservazione dei suoli e delle risorse naturali: tutte componenti di un sistema di politica agraria finalizzato a tenere legata l’agricoltura al nuovo e dinamico corso dello sviluppo economico del paese e al nuovo contesto internazionale. Si è trattato di un edificio di politiche economiche e sociali per l’agricoltura tra i più completi nell’ambito delle economie di mercato e che sarà in vario modo riprodotto e adattato altrove in tempi successivi.
L’agricoltura Usa del New Deal, la collettivizzazione sovietica, l’agricoltura autarchica del fascismo italiano costituiscono tre «modelli» che ben rappresentano la complessa realtà dei paesi industriali del tempo. Le diverse modalità con cui queste economie hanno impostato e introdotto nuove forme di intervento nel settore agricolo hanno un importante tratto comune: la forte limitazione del ruolo del mercato.
Considerando questi casi modello, mutuando con qualche approssimazione il suggestivo concetto di Braudel (1982), si può affermare che, con l’impostazione di una diffusa e generalizzata amministrazione centralizzata dell’agricoltura, le economie industriali hanno messo in questi anni le basi per la configurazione dell’«agricoltura-mondo» contemporanea; hanno, cioè, preparato l’assetto internazionale attuale del settore agro-alimentare. Con la fase in cui l’agricoltura si è configurata come settore amministrato centralmente è partito il lungo percorso comune che è durato fino ai giorni nostri, scandito in vari periodi, e che ha interessato ogni segmento del sistema agricolo dei paesi industriali, comportando cambiamenti e trasformazioni radicali in risposta a spinte economiche e sociali provenienti dagli specifici contesti nazionali.
Bisogna, infine, considerare che la maggiore presenza dello Stato nelle agricolture delle economie industriali occidentali (senza considerare, quindi, il caso sovietico, dove lo Stato è divenuto il soggetto economico totalizzante), oltre che sostenere lo sviluppo del settore e portarlo gradualmente a integrarsi con l’industria, ha costituito un fattore che ha accompagnato, e per certi aspetti favorito, altri due importanti processi generali:
– all’interno delle singole agricolture, la popolazione rurale dei paesi industrializzati diverrà gradualmente una minoranza istituzionalmente protetta (Fite 1981) da un generalizzato sistema di tutele sia di carattere produttivistico che sociale, posto a carico del resto della società. Ciò porterà il settore agricolo a trasformarsi in un sistema dominato dal rapporto tra un ampio settore pubblico e una forte presenza di organizzazioni private, secondo forme proprie del «capitalismo organizzato» (Kirkendall 1975). Si affermerà diffusamente la tendenza alla costituzione di organizzazioni in rappresentanza degli interessi degli agricoltori e molto ben organizzate per esercitare pressioni sulla formazione delle politiche agrarie dei rispettivi paesi e per far fronte, sul versante agricolo, alle crescenti tendenze verso la concentrazione industriale e finanziaria e al cambiamento negli equilibri sociali dell’intero sistema economico (Badger 1989; Saloutos 1982).
– Sul piano degli equilibri internazionali, le politiche agricole dei paesi industriali impostate in questi anni rafforzeranno lo squilibrio Nord-Sud, configurandolo come uno dei tratti caratterizzanti e strutturali dell’assetto del sistema economico mondiale della seconda metà del XX secolo. La scelta dei paesi più industrializzati di accordare un forte sostegno alle proprie agricolture significherà dirigersi verso un assetto agricolo internazionale scarsamente integrato; imporrà per molti anni l’egemonia delle agricolture dei maggiori paesi industrializzati sul resto del mondo; costituirà a lungo una delle cause per accentuare il distacco tra le due sezioni mondiali dello sviluppo e del sottosviluppo.

V. Governo dell’agricoltura e regolamentazione del mercato: il New Deal negli Usa

1. I caratteri generali del New Deal.

Negli Usa la tumultuosa crescita economica degli anni venti, realizzata in un regime di sostanziale laissez-faire, si rivelò presto illusoria e gli squilibri strutturali dovuti allo sviluppo incontrollato dell’economia esplosero con il crack finanziario del 1929 avviando una reazione a catena che si tramutò nella più severa depressione economica del XX secolo. La caratteristica essenziale della Grande crisi del 1929-33 resterà quella di aver conchiuso definitivamente e irreversibilmente tutta la prima e grandiosa fase della storia americana, e di essere stata il detonatore che ha accelerato l’intervento diretto dello Stato nell’economia. Le condizioni nelle quali la storia americana s’era fino ad allora svolta erano infatti scomparse, sostituite da altre nettamente opposte. La posizione rispetto al mondo si era invertita: da paese debitore gli Stati Uniti erano divenuti paese creditore e, di conseguenza, più stretti si erano fatti gli spazi sui mercati esteri. Per quanto riguardava l’agricoltura, l’illusione di un’espansione senza limiti dell’attività produttiva su terre nuove era finita, e il cambiamento era stato simboleggiato dalla revoca del vecchio Homestead Act del 1862 – che prevedeva una continuativa distribuzione della terra da coltivare – sostituito dall’affermata necessità di una nuova politica di conservazione del suolo attraverso la sottrazione di terre alla coltura. In più, come affermava Rexford Tugwell (economista della Columbia University e sottosegretario all’Agricoltura nei primi anni del New Deal) nel 1934, «la tesi malthusiana di una popolazione che preme sulla disponibilità di cibo si è trasformata, almeno nella situazione attuale, in una disponibilità di prodotti alimentari che preme sulla popolazione. I malthusiani temevano le carestie poiché non erano in grado di prevedere il loro superamento. Ma la nostra generazione ha visto scomparire la carestia e la nostra paura costante, per quanto riguarda l’agricoltura, è la paura dell’abbondanza. Noi non vogliamo la carestia, ma vorremmo almeno liberarci dei surplus che inducono la caduta dei prezzi» (in Duso, a cura di, 1980, p. 30).
Sul piano più generale, la fondamentale politica del laissez-faire e dell’individualismo economico si era sostanzialmente infranta anche se non ancora sostituita da quella regolatrice e programmatica dell’intervento statale. All’imperturbabile attesa degli spontanei adattamenti per il superamento della crisi, come sempre nel passato, era nei fatti subentrata una frettolosa adozione di provvedimenti di emergenza.
La depressione seguita al ’29, che raggiunse il suo culmine nel 1932-33, colpì tutti i paesi capitalistici occidentali, ma fu particolarmente severa negli Stati Uniti. Qui gli anni venti – gli anni «ruggenti» – avevano visto una forte espansione dell’economia, con lo sviluppo dell’industria di beni di consumo durevoli, il formarsi di una importante middle-class, il fiorire delle arti. Ma erano stati anche gli anni della grande criminalità, della corruzione, della povertà degradante nelle campagne e negli slums delle città industriali; gli anni in cui si formarono, insieme, grandi imperi finanziari e rilevanti sacche di povertà. La crisi del ’29 portò drammaticamente in superficie le debolezze strutturali dell’economia americana: la profonda disuguaglianza nella distribuzione del reddito, l’arretratezza e povertà dell’agricoltura nel Sud, la miseria delle grandi agglomerazioni urbane del Midwest e del Nordest industriali. Era giunto il momento per una «nuova mano» di carte (New Deal) e Franklin Delano Roosevelt seppe coglierne l’occasione.
Gli anni tra il 1932 e l’entrata in guerra del paese hanno rappresentato il momento di maggiore avvicinamento del governo americano a un’esperienza di «pianificazione» socio-economica, unica nell’intera storia economica e politica del paese. Sotto la spinta dell’emergenza non solo si trasgredirono i principi fondamentali della finanza pubblica ortodossa – bilancio in pareggio e minima interferenza dello Stato nell’economia – ma fu radicalmente intaccato lo stesso «credo» della società americana basato sulla fiducia nell’individuo e sul libero mercato. Roosevelt seppe sfruttare questo momento di crisi ideale e il vasto consenso popolare che si era sviluppato dal 1932 al 1934 per portare avanti un disegno complessivo di riforma ben più avanzato di un semplice fronteggiamento dell’emergenza. Egli introdusse fondamentali riforme nel rapporto tra Stato ed economia tanto da essere accusato dai suoi avversari politici di «socialismo strisciante» e di «attentato alla libertà del paese». Ma, in realtà, le sue furono riforme estremamente pragmatiche, improntate alla salvaguardia del sistema capitalistico, oltre che all’esigenza di tutelare le frange più deboli della popolazione e correggere gli squilibri provocati dal laissez-faire selvaggio.
Eletto nel 1932, a tre anni dal crash finanziario e di fronte a un’economia allo sbando che la gestione repubblicana di Hoover aveva caparbiamente rifiutato di affrontare con strumenti nuovi, Roosevelt nel giro di pochi anni concentrò sotto il governo federale un potere decisionale e un controllo sull’iniziativa privata senza precedenti, avviando importanti misure di stabilizzazione e sostegno dell’economia. Da un punto di vista generale,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. Parte prima. Un percorso comune
  7. Parte seconda. I primi del Novecento: un periodo di instabilità per l’agricoltura mondiale
  8. Parte terza. L’intervento dello Stato nel governo dell’agricoltura. Tre casi modello (gli anni venti-trenta)
  9. Parte quarta. La modernizzazione dell’agricoltura in Usa e in Europa (1950-80)
  10. Parte quinta. Un sistema agro-alimentare più articolato e globale (1980-2010)
  11. Parte sesta. Scenari futuri dell’agricoltura-mondo
  12. Bibliografia