Sud e magia Prefazione
L’alternativa fra «magia» e «razionalità» è uno dei grandi temi da cui è nata la civiltà moderna. Questa alternativa ha il suo prologo in alcuni motivi del pensiero greco e della predicazione evangelica, ma si costituisce come centro drammatico della civiltà moderna con il passaggio dalla magia demonologica alla magia naturale del Rinascimento, con la polemica protestante contro il ritualismo cattolico, con la fondazione delle scienze della natura e dei loro metodi, con l’illuminismo e la sua fede nella ragione umana riformatrice, con le varie correnti di pensiero che si legano alla scoperta della dialettica e della ragione storica. In questo quadro anche l’epoca sanguinosa dei processi contro le streghe, per quanto possa apparire un ritorno alla concezione demonologica della magia medievale, si richiama mediatamente a questa fondamentale polemica antimagica che attraversa tutto il corso della civiltà occidentale nel suo complesso. Le nazioni moderne di cui si compone l’occidente sono «moderne» nella misura in cui hanno partecipato con impegno a questo vario processo nel quale siamo ancora coinvolti, almeno nella misura in cui accanto alle tecniche scientifiche e alla coscienza della origine e della destinazione umane dei valori culturali facciamo ancora valere in modo immediato la sfera delle tecniche mitico-rituali, la potenza «magica» della parola e del gesto.
Il presente saggio si propone un compito molto circoscritto e modesto: esso intende offrire soltanto alcuni spunti indicativi e programmatici per la determinazione della misura e dei limiti in cui la vita culturale del sud ha partecipato consapevolmente a questa grande alternativa della civiltà moderna. Ovviamente nel binomio «sud e magia» il termine «sud» non ritiene il valore di una designazione meramente geografica, ma politica e sociale. I comuni e le signorie del nord e del centro, lo Stato della Chiesa, il Regno di Napoli presentano nella loro storia culturale differenziazioni, colorazioni e sfumature della loro vita religiosa che sono in connessione con le rispettive storie sociali e politiche: in questo senso si può legittimamente parlare di una storia religiosa del sud come storia religiosa del Regno di Napoli, cioè di una formazione socialmente e politicamente definita, geograficamente delimitata fra l’acqua benedetta e l’acqua salata, fra lo Stato della Chiesa e il mare: una formazione che anche in senso religioso comporta determinate specificazioni, onde per es. il cattolicesimo meridionale, con le sue note di vistosità e di esteriorità e con le particolari sue accentuazioni cerimoniali e ritualistiche, ha formato ricorrente oggetto di osservazione ed ha costituito uno dei bersagli elettivi nella polemica anticattolica degli scrittori protestanti.
Per quel che concerne la concreta esecuzione, la presente ricerca si apre con una esplorazione etnografica delle sopravvivenze lucane delle più rozze pratiche di magia cerimoniale, e ciò nell’intento di determinare, in una delle aree più arretrate del sud, la struttura delle tecniche magiche, la loro funzione psicologica, il regime di esistenza che ne favorisce il perdurare. Successivamente l’attenzione viene concentrata sui rapporti fra queste sopravvivenze e la forma egemonica di vita religiosa, cioè il cattolicesimo nelle sue particolari accentuazioni magiche meridionali: vengono così indicati i numerosi raccordi, passaggi, sincretismi e compromessi che legano la bassa magia extracanonica con i modi di devozione popolare e con le stesse forme ufficiali della liturgia. Ne risulta un panorama a prima vista estremamente disgregato, contraddittorio, punteggiato da coesistenze assurde: e tuttavia, a un più attento esame, si renderà palese il tema unitario che tiene insieme elementi così eterogenei, e cioè la richiesta di protezione psicologica di fronte alla straordinaria potenza del negativo nella vita quotidiana, e alla angustia di comportamenti efficaci «realisticamente» orientati. Come terzo momento della ricerca si analizza la partecipazione dell’alta cultura meridionale alla polemica antimagica da cui è nata la civiltà moderna: partecipazione che ebbe aspetti egemonici a livello europeo per quel che concerne la polemica rinascimentale della magia naturale contro la magia demonologica, ma che presenta limiti istruttivi nella successiva età illuministica, quando la polemica antimagica entrò nella sua forma più pertinente di alternativa fra magia e razionalità, fra esorcismo ed esperimento, fra incantesimo e scienza riformatrice. Un limite generale è dato dalla scarsissima partecipazione dell’illuminismo napoletano alla polemica esplicita ed impegnata contro i tratti più esteriori e ritualistici della religione confessionale, e il suo restringersi nella sfera religiosa ai soli problemi politici dei rapporti fra Stato e Chiesa. Un limite più particolare, ma sotto certi rispetti particolarmente istruttivo, si manifesta nella formazione di una ideologia di compromesso che, del tutto irrilevante dal punto di vista teorico, esercitò a Napoli una notevole influenza nell’ambito pratico del costume: la ideologia della jettatura, che non è la cupa fascinazione medievale o dell’epoca dei processi contro le streghe, né la fascinazione della magia naturale, ma una formazione di compromesso di origine colta, e che si attiene ad una disposizione psicologica fra seria e faceta, scrupolosa e scettica. Nella ideologia della jettatura, così come fu elaborata da alcuni illuministi napoletani, alla ragione umana consapevolmente riformatrice e pianificatrice della vita sociale viene contrapposta con discreta ironia la figura dello jettatore come individuo che inconsapevolmente e sistematicamente introduce il disordine nella sfera morale, sociale e naturale della realtà, e che nel mondo sta come colui che, per cieco destino, fa andare sempre le cose di traverso. Questi limiti dell’illuminismo napoletano sono infine, nel presente saggio, messi in rapporto con ciò che – comparativamente e polemicamente – potrebbe designarsi come la non-storia del Regno di Napoli, cioè col fatto che mentre l’illuminismo anglo-francese nacque e maturò sulla base della reale forza razionalizzatrice di una vigorosa borghesia commerciale e industriale, operante nel quadro di forti monarchie nazionali in espansione, l’illuminismo napoletano non poté giovarsi delle stesse condizioni, e fu perciò più riservato e più indulgente verso le esigenze di protezione psicologica connesse al ritualismo magico-religioso.
A prima vista la sezione dedicata alla bassa magia cerimoniale lucana potrebbe sembrare troppo ampia nell’economia generale del presente saggio: ma in realtà ai fini della ricerca occorreva dare un particolare rilievo proprio ad un materiale documentario del genere. La bassa magia cerimoniale che ancora sopravvive nel sud, le accentuazioni magiche del cattolicesimo meridionale, la funzione egemonica dei Porta, dei Bruno e dei Campanella nella elaborazione della magia naturale della Rinascenza, e – d’altra parte – la non partecipazione dell’illuminismo napoletano alla polemica esplicita e impegnata contro i tratti magici e ritualistici della religione confessionale, e la elaborazione della ideologia della jettatura da parte di alcuni illuministi napoletani alla fine del ’700 stanno fra di loro in un rapporto storico definito, per determinare il quale era necessario sottolineare con la dovuta energia ciò che nella cultura meridionale sta ancor oggi al livello più rozzo e più basso. Tali bassure infatti segnalano un limite che va ricercato non già nella stupidità e nella ignoranza delle plebi, ma nelle stesse forme egemoniche di vita culturale, e in ultima istanza nella stessa «alta» cultura.
Vi è poi un’altra considerazione che ha spinto a dare un rilievo particolare alle basse forme di magia cerimoniale. La magia del sud non è soltanto costituita dai relitti di arcaici rituali che cadono in desuetudine ogni giorno che passa, ma anche – come si è detto – dalla particolare accentuazione magica del cattolicesimo meridionale: e qui già non è più possibile parlare di logori relitti e di forme di vita magico-religiosa che non abbiano importanza attuale per tutti gli strati della società meridionale. Ora proprio per la rozzezza ed elementarità i relitti di bassa magia cerimoniale rivelano più prontamente all’analisi i caratteri strutturali e funzionali di quel momento magico che – sia pure affinato e sublimato – si ritrova anche nel cattolicesimo, soprattutto nelle sue specificazioni e sfumature meridionali. D’altra parte quando si parla di «relitti» di bassa magia cerimoniale siamo portati ad immaginare avanzi archeologici che sopravvivono in uno stato di assoluto isolamento e in aspro contrasto con tutto il resto della vita culturale: in realtà questo isolamento e questo contrasto hanno luogo rispetto ai modi dell’alta cultura moderna con i quali paragoniamo astrattamente tali bassure, mentre nella realtà concreta le cose stanno diversamente. Nel nostro caso l’immediato collegarsi della rozza «magia lucana» con i vari momenti critici dell’esistenza, e il suo inserirsi al livello più basso in una serie di gradi e di raccordi che mette capo al culto cattolico, costituiscono una preziosa opportunità per studiare in concreto la dinamica magico-religiosa di una società determinata.
Vorremmo infine sottolineare il fatto che, nel presente saggio, il materiale relativo alla «magia lucana» non resta chiuso in se stesso, inerte e opaco. In generale il folklore religioso come coacervo di relitti disgregati che l’analisi etnografica astrae dal plesso vivente di una determinata società non è, nel suo isolamento, storicizzabile. Il relitto folklorico religioso può tuttavia acquistare il suo senso storico o come stimolo documentario che aiuta a comprendere una civiltà scomparsa di cui esso formava, una volta, elemento organico, ovvero come stimolo documentario che aiuta a misurare i limiti interni e la interna forza di espansione di una civiltà attuale in cui è conservato come relitto: al di fuori di queste due possibilità di conquista da parte del pensiero, il materiale folklorico-religioso resta storiograficamente una sorta di terra di nessuno, ancorché vi si possa svolgere la industre fatica dei raccoglitori di tradizioni popolari e vi possa trovare appiglio l’impulso romantico di qualche nostalgico di paradisi perduti. In rapporto a tale istanza metodologica il materiale folklorico lucano fu di stimolo a due distinte ricerche storico-religiose: la prima sul pianto rituale antico pubblicata col titolo Morte e Pianto rituale nel Mondo Antico (Torino 1958), e la seconda racchiusa nel presente libro. Mentre in Morte e Pianto rituale un particolare elemento del folklore religioso lucano – insieme ad altri consimili dati folklorici euromediterranei – fu assunto come particolare istanza documentaria per ricostruire, con le dovute cautele metodologiche, quel particolare modo di risoluzione culturale della crisi del cordoglio che si espresse nel pianto antico e che ebbe validità egemonica sino all’avvento del Cristianesimo, il presente saggio intende invece utilizzare il materiale relativo alla magia lucana come istanza docume...