Scusate il ritardo
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Scusate il ritardo

Una proposta per il Mezzogiorno d'Europa

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Scusate il ritardo

Una proposta per il Mezzogiorno d'Europa

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«La prima cosa è un cambiamento del punto di vista. Non più un Mezzogiorno chiuso a contemplare se stesso e i suoi difetti: al contrario, una regione cruciale per gli sviluppi storici di un'area assai più vasta, di cui si colloca ben al centro. Mezzogiorno cuore d'Europa e del Mediterraneo».Si può colmare, il «ritardo» del Sud? Si possono concepire i suoi problemi in termini di concreta ricerca delle soluzioni? O si deve pensare al «divario» come a una irremissibile condanna? Dopo decenni di discussioni stanche e ripetitive, declinatesi via via in tono minore, cui ha corrisposto una sostanziale paralisi nella elaborazione di progetti e iniziative, il dibattito sulle condizioni del nostro Mezzogiorno sta assumendo auspicabilmente, in questa fase, caratteri più concreti. Alle storiche contrapposizioni tra meridionalismo classico e neomeridionalismo, o tra intervento «dall'alto» e intervento «dal basso», sembra possibile sostituire una visione di sintesi più operativa. Si tratta di indicare i filoni fondamentali di un disegno di sviluppo che riguardi quelle dotazioni economiche e civili di cui il Sud ha più che mai bisogno. Questo volume è il frutto della collaborazione tra due personalità che hanno condotto esperienze impegnative in campi diversi, ma che si sono ritrovate in una interpretazione innovativa del Mezzogiorno, della sua evoluzione e delle sue prospettive: Gianni Pittella, forte della lunga attività svolta nel Parlamento europeo, da vicepresidente di questa istituzione e ora capogruppo del Pse; e Amedeo Lepore, storico economico e meridionalista di grande competenza, ora impegnato nella Giunta regionale della Campania. Al centro del lavoro vi è l'idea di una «convergenza attiva» del Mezzogiorno nel contesto nazionale ed europeo. Una convergenza che richiede, da parte dei meridionali, sangue e passione, e soprattutto la capacità di guidare il proprio percorso di riscatto. Al governo na-zionale e alle istituzioni europee si impone d'altro canto il compito di garantire una strategia nazionale ed europea, partendo dalla consapevolezza che «se il Sud ha bisogno di buone politiche, non è meno vero che l'Italia e l'Europa hanno bisogno del Sud». Dopo avere avanzato una diagnosi complessiva della «questione», il libro propone anche un blocco di undici progetti, in grado di contribuire al disegno di una nuova frontiera meridionale. Apre il volume una prefazione di Matteo Renzi, che delinea il quadro delle strategie con cui l'attuale governo intende operare nella prospettiva di una politica nazionale per il Mezzogiorno.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788868434717

IV. Undici progetti strategici

Premessa
di Claudio Cipollini

I progetti proposti nelle pagine seguenti sono stati predisposti da manager ed esperti dei vari settori di competenza. Essi hanno in comune la caratteristica di essere integrati, intersettoriali e funzionali al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Ciascuno di essi richiede inoltre, per poter essere realizzato, una forte integrazione nazionale ed europea, e un’adeguata proiezione mediterranea. Tutti quanti puntano a un’opportuna valorizzazione del capitale umano. Tutti fanno riferimento a risorse già potenzialmente disponibili e non necessitano di risorse aggiuntive. Tutti, infine, si propongono di realizzare alcune condizioni e alcuni obiettivi che vanno al di là del loro singolo terreno di attuazione e riguardano aspetti essenziali su cui è necessario «recuperare il ritardo» che il Mezzogiorno ancora oggi presenta. Proviamo qui a riassumere i punti più significativi che li accomunano:
Rendere le comunità locali coese e integrate. Afferma Borgomeo nel suo intervento (progetto 1): «Se non c’è una comunità coesa, non c’è amore per le regole e non c’è sviluppo». Questa allora è la priorità, insieme alla lotta alla criminalità che si fa anche valorizzando civilmente e imprenditorialmente i beni confiscati alle varie mafie locali (Caputo, progetto 2) e all’integrazione dei diritti e delle culture di donne, giovani e immigrati.
Valorizzare la rete delle specificità locali. Esposito nel suo intervento (progetto 3) ricorda come ormai molti tra i maggiori esperti internazionali di sviluppo «sottolineano il nesso essenziale tra industrializzazione, sviluppo, società civile e caratteristiche culturali e ambientali, secondo una logica che implica la necessità di valorizzare gli aspetti storico-locali». Lo stesso concetto è espresso da Sfodera (progetto 4) quando propone un modello di sviluppo turistico basato sulle caratteristiche fisiche e sociali delle comunità locali, e tale concetto è basilare anche per un idoneo sviluppo del settore agroalimentare delle eccellenze (Schiavelli, progetto 5).
Diffondere cultura e innovazione. Matera capitale europea della cultura nel 2019 deve essere l’occasione per coinvolgere tutto il Mezzogiorno e poi anche il Mediterraneo allo scopo di valorizzare le capacità di cambiamento culturale. Insieme, a breve termine, deve esservi una forte azione sulle competenze digitali delle persone e delle imprese, chiave indispensabile per accedere ai nuovi mondi dell’innovazione dove applicare anche i risultati della ricerca dopo un nuovo patto tra Università e imprese (Cipollini, progetto 6). E, a medio-lungo termine, i risultati attesi dagli opportuni investimenti nella scuola e nell’alternanza scuola-lavoro, dove, ricorda Rossi (progetto 7), il tema della sostenibilità ambientale deve entrare pesantemente.
Migliorare la mobilità interregionale e locale. Gli standard oggi esistenti in quasi tutto il Sud sono insoddisfacenti e non consentono la valorizzazione dei settori di sviluppo. Tra le città e i territori, nonché tra il Sud e il Nord dell’Italia e dell’Europa, vi sono troppe strozzature a livello di servizi e di infrastrutture. Tutto questo comporta seri problemi alle industrie manifatturiere agroalimentari per l’esportazione, al turismo per l’attrazione di stranieri, ai professionisti per l’ottimizzazione dei tempi di lavoro. Alcuni di quelli indicati sono interventi infrastrutturali e tecnologici (l’Alta velocità Napoli-Bari e l’Alta capacità sulle linee adriatiche e tirreniche, l’utilizzo dei binari nelle città e nelle aree urbanizzate locali per le ferrovie; alcuni collegamenti stradali a livello urbano e di alcune connessioni di nodi intermodali quali porti e aeroporti) altri, la gran parte, sono soluzioni gestionali e di servizi (gestione dei porti, degli interporti e degli aeroporti, servizi per il trasporto pubblico locale; Cipollini, progetto 8).
Accrescere le competenze digitali. È necessario affiancare e assistere associazioni di categoria, sindacati, piccoli imprenditori, artigiani e commercianti e i dipendenti sul campo, nelle imprese e accompagnarli verso le nuove frontiere digitali attraverso le attività di nuova informazione, l’alternanza scuola-lavoro (avvicinando giovani nativi digitali e imprenditori), workshop in-formativi capillari sul territorio, il coinvolgimento di aziende operanti nel digitale nel processo di alfabetizzazione di imprese più a carattere «tradizionale». Il tema «banda larga» è prioritario, ma bisogna rendere competenti (e quindi richiedenti i servizi che fornisce la banda larga) i cittadini e le imprese (Cipollini, progetto 9).
Favorire la crescita di reti d’impresa. Si tratta di organizzare adeguatamente l’internazionalizzazione delle imprese (al Nord ci si investe il 20% delle risorse pubbliche destinate, al Sud solo l’1%); di irrobustire i processi di innovazione e trasferimento delle tecnologie dai settori maturi a quelli cosiddetti «abilitanti» (settori poco sensibili a generare innovazione) e infine di far leva sui settori già presenti e consoni alle specificità locali (l’agroalimentare, settori dell’abbigliamento, aerospazio, meccanica e meccatronica) per la loro capacità di generare spillover tecnologici, produttivi e conoscitivi (Esposito, progetto 3). Tutto questo costituendo finalmente le Zone economiche speciali, una grande opportunità «misteriosamente» ancora non attivata, che tra l’altro potrebbe dare un significativo contributo anche al ruolo dei porti in una prospettiva mediterranea e internazionale (Berlinguer, progetto 10).
– Organizzare l’amministrazione pubblica con modalità multilivello (a livello nazionale, macroregionale, regionale e comunale). Per consentire una programmazione integrata e sistemica e un monitoraggio delle azioni complessivo e unitario per ciascun tema di intervento, prevedendo la possibilità concreta di avere quei poteri sostitutivi necessari per raggiungere i risultati attesi, con le risorse programmate e nei tempi previsti (Rossi, progetto 7).
Avere di mira la sostenibilità, puntando sulle energie rinnovabili e alternative. Ogni azione, attività e intervento pubblico e privato dovrà essere impostato e verificato nella sua sostenibilità ambientale, sociale ed economica, mentre dovrà essere garantita quella istituzionale (Esposito, progetto 3). Gli obiettivi di Europa 2020 e poi quelli per il 2030 e il 2050 non sono solo una «direttiva comunitaria», ma soprattutto un’esigenza vitale di tutti. Dai dati rilevati (Giustino, progetto 11) è possibile prevedere l’opportunità di organizzare delle vere e proprie filiere per la produzione delle biomasse, la lavorazione e la commercializzazione di carburanti «verdi». Grande opportunità potrà essere altresì lo sviluppo dei biocarburanti double counting che potrebbero dare una nuova vita ai rifiuti alternativa alla termovalorizzazione. In ogni caso, i tre i settori applicativi offrono ancora grandissimi spazi di sviluppo per il nostro paese sia per i fabbisogni interni sia per la creazione di una vera e propria filiera di export, sfatando definitivamente il luogo comune secondo cui le fonti rinnovabili rappresentano solo un costo netto per la collettività da sostenere per il bene della salute del pianeta. Lavorare sul mix delle fonti rinnovabili, sull’innovazione tecnologica, sull’incentivazione della ricerca teorica e applicativa sarebbe per il nostro paese un investimento dal ritorno «garantito».

1. COESIONE SOCIALE E SVILUPPO. LA FONDAZIONE «CON IL SUD»

di Carlo Borgomeo

Il tema dello sviluppo del Mezzogiorno è una questione antica, ma sempre aperta, tornata recentemente al centro del dibattito politico dopo la pubblicazione dell’ultimo Rapporto Svimez.
Siamo da sempre, almeno da sessantacinque anni, abituati ad affrontare il problema misurando il divario tra Sud e Nord sostanzialmente in termini di Pil: un divario di fatto stabile, pur se con importanti oscillazioni nel corso degli anni. Forse bisogna interrogarsi, anche in modo radicale, sulla natura del divario: chiedersi se è soprattutto una questione economica, di reddito, o non piuttosto una questione di coesione sociale, di senso comunitario, di cultura della legalità diffusa, cioè di generali condizioni di vita, anzi, più esattamente, di qualità della convivenza civile.
È evidente che le forti differenze in termini di ricchezza disponibile costituiscono una causa di differenziazione nelle condizioni di vita; come è sacrosanto ribadire che il paese, nonostante tutto, ha un obbligo di solidarietà verso il Mezzogiorno. Ma la questione è valutare se questo approccio è quello giusto; è quello praticabile; è quello culturalmente vincente e politicamente produttivo.
Penso che ormai nessuna credibile prospettiva di sviluppo sia possibile se non partendo dalla convinzione che la priorità vera, nel Sud, è la coesione sociale. La questione meridionale è, ormai palesemente, una questione sociale: di nuove povertà; di diversi bisogni; di frammentazione del tessuto civile.
Non si può continuare a pensare che il sociale sia subordinato alla crescita e rappresenti un ambito su cui intervenire solo in presenza di un’economia fiorente. È esattamente il contrario. Se non c’è una comunità coesa, non c’è amore per le regole e non c’è sviluppo.
Il consistente fenomeno della dispersione scolastica, la scarsa capacità di attrarre i «cervelli» al Sud, la mancanza di opportunità per i giovani, l’incuria dei beni comuni e l’incapacità di valorizzare il nostro patrimonio, la penuria di servizi essenziali sono solo alcuni esempi di una cultura politica miope che, oltre a provocare effetti diretti all’economia (basti pensare ai costi per gestire le «emergenze» o contenere i danni), privano il Sud e il paese di un enorme potenziale di sviluppo. Un esempio su tutti è la gestione dei servizi all’infanzia, con un divario tra Nord e Sud e resto d’Europa così grande che dovrebbe essere la priorità di una politica minimamente attenta al «futuro» dell’Italia. In Calabria la copertura di asili nido è poco più del 2%, mentre in Emilia Romagna la percentuale di bambini presi in carico dai servizi per l’infanzia è del 27,3%. Un enorme scarto di opportunità che vale anche per tante altre aree del Sud rispetto a quelle del Centro-nord. C’è da aggiungere, poi, che il Consiglio europeo di Lisbona ha individuato per il 2020 l’obiettivo del 33% di copertura relativa al servizio asili nido in ciascuno Stato membro. Un divario di cittadinanza, potremmo dire, che parte dalla tenera età e che prosegue, crescendo e intrecciandosi con altre criticità, fino alla maturità e oltre. Che senso ha, quindi, mettere a punto ricchi incentivi per attrarre investitori in territori dai quali molto spesso noi stessi vorremmo che i nostri figli andassero via?
Dal secondo dopoguerra in poi lo sviluppo immaginato per il Sud è stato, di fatto, «eterodiretto»: poca rilevanza alle spinte locali, scarsa attenzione verso i soggetti emergenti e una preoccupante disattenzione alla qualità. Al contrario, lo sviluppo è un processo lento che andrebbe costruito con il coinvolgimento di tanti soggetti che non possono essere considerati «beneficiari», ma protagonisti.
Bisogna avviare una battaglia culturale e politica per il Mezzogiorno che, in primo luogo, si ponga l’obiettivo di andare oltre il divario di Pil tra Nord e Sud e che cambi la gerarchia degli interventi, delle priorità, nella convinzione che la coesione sociale, l’affermarsi di una corretta logica comunitaria, non sono conseguenze, ma indispensabili premesse dello sviluppo.
È questa l’idea che guida l’impegno della Fondazione «Con il Sud» per il Mezzogiorno. Si tratta di una fondazione giovane, nata nove anni fa dall’alleanza tra due realtà molto diverse tra loro: le fondazioni di origine bancaria e il mondo del terzo settore e del volontariato. L’esperienza di una moderna filantropia propria delle prime e il radicamento territoriale delle organizzazioni del volontariato e della cooperazione sociale sono gli elementi che ne caratterizzano l’identità e l’azione.
La sua missione è appunto quella di promuovere l’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno, cioè di puntare sulla coesione sociale per favorire lo sviluppo. Lo fa con capitali interamente privati e, soprattutto, ha deciso di promuoverlo «con» il Sud, intravedendo nella società civile e nel capitale sociale le condizioni e le leve di uno sviluppo concreto e sostenibile. Questo è il principale aspetto che vorrei mettere in rilievo: il suo essere un laboratorio di idee e di interventi che sappiano contaminare il territorio, diffondendo la cultura e le prassi di comunità. Parlando di vincoli, posso sottolineare come la Fondazione intervenga in uno scenario in cui è fortissimo lo squilibrio tra domanda e offerta. La capacità erogativa – in media attorno ai 20 milioni di euro l’anno (26 milioni nel 2015, in risposta alla crisi) –, pur consistente in termini assoluti, diventa addirittura esigua in termini relativi, sia per la dimensione del territorio di riferimento (circa 20 milioni di abitanti), sia per il grande e diffuso disagio sociale, sia, infine, per la scarsissima presenza di altre fondazioni di erogazione.
Attraverso bandi e altre iniziative, la Fondazione stimola il territorio a costituire o rafforzare le reti di solidarietà – in primis tra organizzazioni non profit con l’eventuale coinvolgimento di altre realtà, pubbliche e private – attorno a progetti e interventi efficaci, che possano essere dei modelli di riferimento, dunque replicabili e diffondibili.
La Fondazione sostiene interventi «esemplari» per l’educazione dei ragazzi alla legalità e per il contrasto alla dispersione scolastica, per valorizzare i giovani talenti e attrarre i «cervelli» al Sud, per la tutela e la valorizzazione dei beni comuni (cultura, ambiente, riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie), per la qualificazione dei servizi socio-sanitari, per l’integrazione degli immigrati, per favorire il welfare di comunità.
Sono tre gli strumenti principali utilizzati dalla Fondazione «Con il Sud» per il perseguimento della propria missione. Primo, i progetti «esemplari», ossia iniziative che, per contenuto innovativo, organizzazioni coinvolte, impatto e rilevanza territoriale, possono diventare modelli di riferimento per l’infrastrutturazione sociale.
Secondo, il sostegno ai programmi di volontariato, con l’obiettivo di rafforzare il ruolo e l’impatto sul territorio delle organizzazioni di volontariato.
Il terzo strumento è assolutamente nuovo per il Mezzogiorno. Si tratta delle «fondazioni di comunità», enti non profit privati che si basano sull’aggregazione e la collaborazione di diversi soggetti «espressione» della realtà locale, in grado di attrarre risorse, valorizzarle attraverso un’oculata gestione patrimoniale e investirle localmente in progetti di caratt...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Prefazione
  6. Introduzione
  7. I. Il Mezzogiorno, protagonista d’Europa
  8. II. Il dualismo economico e sociale: una condanna storica?
  9. III. Politiche ordinarie o fondi strutturali?
  10. IV. Undici progetti strategici
  11. Conclusioni
  12. Appendice.
  13. Riferimenti bibliografici
  14. I collaboratori del volume