L'ultimo Marx
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L'ultimo Marx

1881-1883. Saggio di biografia intellettuale

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L'ultimo Marx

1881-1883. Saggio di biografia intellettuale

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Gli ultimi anni della vita di Marx sono stati spesso considerati come un periodo durante il quale egli avrebbe appagato la propria curiosità intellettuale e cessato di lavorare. L'analisi di alcuni manoscritti, ancora inediti o poco conosciuti, permette di sfatare questa leggenda e dimostra che egli non solo continuò le sue ricerche, ma le estese anche a nuove discipline. Nel biennio 1881-1882 Marx intraprese uno studio approfondito delle più recenti scoperte nel campo dell'antropologia, della proprietà comune nelle società pre-capitaliste, delle trasformazioni determinatesi in Russia in seguito all'abolizione della servitù e della nascita dello Stato moderno. Inoltre, egli fu attento osservatore dei principali avvenimenti di politica internazionale e le sue lettere testimoniano il suo deciso sostegno alla lotta per la liberazione dell'Irlanda e la ferma opposizione all'oppressione coloniale in India, Egitto e Algeria. Le ricerche dedicate a nuovi conflitti politici, tematiche e aree geografiche, ritenute fondamentali per il proseguimento della sua critica del sistema capitalistico, permisero a Marx di maturare una concezione più aperta alle specificità dei diversi paesi e di considerare un possibile approdo al socialismo diverso da quello precedentemente prefigurato. Questi sviluppi teorici vennero interrotti da una lunga e dolorosa malattia che lo costrinse a vagare tra Inghilterra, Francia, Svizzera e Algeria, alla ricerca del clima più adatto a favorire la guarigione. Il soggiorno di oltre due mesi ad Algeri, l'unico della sua esistenza trascorso lontano dall'Europa, rivestì grande interesse per Marx, poiché gli offrì la possibilità di sviluppare importanti riflessioni sul mondo arabo e contro l'occupazione francese. Dai manoscritti, dai quaderni e dalle lettere di questi anni emerge dunque un uomo molto diverso da quello raffigurato da tanti suoi critici, o presunti seguaci. Dopo essere stato dapprima assimilato al cosiddetto «socialismo reale», e poi frettolosamente messo da parte dopo il 1989, oggi Marx sta conoscendo una significativa riscoperta e questo volume, che ne analizza con grande rigore la biografia intellettuale nel periodo meno esplorato della sua vita, rappresenta una preziosa novità.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788868435707

I. Il fardello dell’esistenza e i nuovi orizzonti di ricerca

1. La stanza di Maitland Park Road.

In una notte del gennaio del 1881, nella stanza di una casa della periferia di Londra, un uomo dalla barba ormai quasi del tutto bianca era immerso nello studio di un mucchio di libri ammassati su un tavolo. Con la più intensa concentrazione, egli sfogliava le loro pagine, annotandone, con cura, i passaggi più significativi. Con perseveranza pari a quella di Giobbe, portava avanti il compito che aveva assegnato alla sua esistenza: fornire al movimento operaio le basi teoriche per distruggere il modo di produzione capitalistico.
Il suo fisico recava i segni di decenni di duro lavoro quotidiano, trascorsi sempre a leggere e scrivere. Sulla schiena, e in varie altre parti del corpo, erano rimaste le cicatrici degli orrendi foruncoli apparsi nel corso degli anni, mentre lavorava alla stesura di Il capitale. Con caustica ironia, di essi aveva scritto, al termine di una delle loro manifestazioni più acute, che aveva preceduto il completamento del suo lavoro più importante: «spero che la borghesia penserà per tutta la sua vita ai miei favi»1.
Nell’animo portava il fardello di altre ferite, impresse da una vita trascorsa tra pene e stenti economici e mitigata, di tanto in tanto, dalla soddisfazione per qualche buon colpo assestato ai parrucconi dei ceti dominanti e ai rivali del suo stesso campo politico.
In inverno era malato e, spesso, stanco e debilitato. La vecchiaia cominciava a limitare il suo abituale vigore e le ansie per lo stato di salute della moglie lo affliggevano sempre più. Eppure era ancora lui: Karl Marx.
Con passione inalterata, proseguiva nel suo impegno per la causa dell’emancipazione delle classi lavoratrici. Il suo metodo era lo stesso di sempre, quello adottato sin dai tempi dei primi studi all’università: incredibilmente rigoroso e intransigentemente critico.
La scrivania dove era solito lavorare, seduto su una sedia di legno con braccioli, e sulla quale aveva sgobbato per anni, durante tutto il giorno e per lunga parte della notte, era piccola e modesta, lunga tre piedi e larga due2. Conteneva appena lo spazio per una lampada dal paralume verde, i fogli sui quali era solito scrivere e un paio di libri dai quali ricopiare le citazioni che più gli interessavano. Non gli occorreva altro.
Il suo studio era situato al primo piano della sua casa, con una finestra che dava sul giardino. Dalla stanza, dopo che i dottori gli avevano proibito di fumare, era svanito l’odore del tabacco, ma le pipe di terracotta, dalle quali, immerso nelle sue letture, aveva aspirato per tanti anni, erano ancora lì a ricordargli notti insonni trascorse a demolire i classici di economia politica.
Un’impenetrabile muraglia di scaffali nascondeva le pareti. Essi erano carichi, fino all’inverosimile, di libri e pacchi di giornali. La sua biblioteca non era imponente come quella degli intellettuali borghesi della sua stessa levatura, certo ben più facoltosi di lui. Negli anni di povertà, egli aveva per lo più utilizzato i volumi della sala di lettura del British Museum, ma poi aveva comunque collezionato circa duemila tomi3. Il reparto più fornito era quello di economia, tanti, però, erano anche i classici di teoria politica. Numerosi erano anche gli studi di storia, in particolare quella francese, e le opere di filosofia, soprattutto della tradizione tedesca. Nutrito, poi, era anche il gruppo di testi di scienza.
Alla varietà di discipline corrispondeva la diversità delle lingue in cui i libri erano stati scritti. I volumi in tedesco erano pari a un terzo del totale; quelli in inglese a circa un quarto e i francesi erano a questi ultimi di poco inferiori. Non mancavano tomi in altre lingue romanze come l’italiano, ma, a partire dal 1869, quando iniziò a imparare il russo per potere studiare direttamente i libri che descrivevano le trasformazioni in corso in quel paese, quelli in cirillico divennero, nel giro di pochi anni, una cospicua entità.
Sugli scaffali di Marx non erano presenti, però, soltanto testi accademici. Un anonimo corrispondente del «Chicago Tribune», che nel dicembre del 1878 visitò il suo studio, ne descrisse così il contenuto in un’intervista:
Generalmente si può giudicare qualcuno dai libri che legge. Il lettore può trarre da sé le proprie conclusioni, se gli dico che cosa vidi con un rapido sguardo: Shakespeare, Dickens, Thackeray, Molière, Racine, Montaigne, Bacone, Goethe, Voltaire, Paine; libri blu4 inglesi, americani e francesi; opere politiche e filosofiche in lingua russa, tedesca, spagnola, italiana, e altro ancora5.
Gli interessi letterari e la vastità delle conoscenze di Marx furono descritti, in modo simile, anche dal socialista francese e suo genero, Paul Lafargue. Nel ricordare la sua camera da lavoro – della quale disse: «questa stanza è storica ed è necessario conoscerla se si vuole penetrare l’intima vita spirituale di Marx» – sottolineò che:
Marx sapeva a memoria Heine e Goethe, che citava spesso discorrendo. Leggeva sempre opere di poeti che sceglieva da tutte le letterature d’Europa. Ogni anno rileggeva Eschilo nel testo originale greco; venerava lui e Shakespeare come i due massimi geni drammatici che l’umanità avesse prodotto. […] Dante e Burns erano tra i suoi poeti prediletti. […] Era un gran lettore di romanzi. Aveva una preferenza per quelli settecenteschi, in particolare per il Tom Jones di Fielding. I romanzieri moderni che più lo divertivano erano Paul de Kock, Charles Lever, Alexandre Dumas padre e Walter Scott. Di quest’ultimo definiva un capolavoro La vecchia mortalità. Dimostrava una spiccata predilezione per i racconti umoristici e d’avventura. Al primo posto fra tutti poneva Cervantes e Balzac. Don Chisciotte era per lui l’epopea della cavalleria morente, le cui virtù diventavano ridicole e pazzesche nel mondo borghese nascente. La sua ammirazione per Balzac era così profonda che si era proposto di scrivere una critica della sua grande opera, La commedia umana. […] Marx sapeva leggere tutte le lingue europee. […] Ripeteva volentieri la massima «una lingua straniera è un’arma nella lotta della vita». […] Quando si diede al russo […], dopo sei mesi di studio se ne era già impadronito, al punto da godere la lettura dei poeti e degli autori russi che più stimava: Puškin, Gogol’ e Ščedrin6.
Lafargue si soffermò, inoltre, sul rapporto che Marx aveva con i suoi libri. Per lui erano
strumenti di lavoro e non oggetti di lusso. «Sono i miei schiavi e devono ubbidire alla mia volontà» – diceva. Li maltrattava senza riguardo […], ne ripiegava gli angoli, copriva i margini con segni a matita, li sottolineava. Non vi faceva delle annotazioni, ma, quando l’autore usciva dal seminato, non poteva fare a meno di mettere un punto esclamativo o interrogativo. Il sistema di cui si serviva per sottolineare gli permetteva di ritrovare il passo cercato in un libro con la massima facilità7.
D’altro canto, egli si concedeva a loro con altrettanta dedizione, fino al punto di autodefinirsi «una macchina condannata a divorare libri per buttarli fuori, in forma diversa, sul letamaio della storia»8.
La biblioteca di Marx conteneva anche le sue opere, in fondo non tantissime, se comparate con il numero di quelle che aveva progettato e lasciato incompiute nel corso della sua intensa attività intellettuale.
Vi erano una copia di La sacra famiglia, la critica della Sinistra hegeliana pubblicata assieme a Friedrich Engels (1820-1895) nel 1845, quando era ancora ventisettenne; la Miseria della filosofia, scritta, due anni dopo, in francese, affinché il destinatario della sua polemica, Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865), potesse intenderla. Non mancavano, ovviamente, alcune edizioni del Manifesto del partito comunista, testo redatto sempre assieme a Engels e uscito, tempestivamente, poche settimane prima dello scoppio delle rivoluzioni del 1848, anche se una sua significativa diffusione ebbe inizio solo a partire dagli anni settanta. A ricordargli i suoi studi sulla storia della Francia c’era Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte; mentre accanto ad alcuni opuscoli di politica, come quello contro il primo ministro britannico Lord Palmerston, giacevano scritti di un tempo lontano, quali le Rivelazioni sul processo contro i comunisti a Colonia, del 1853, e le Rivelazioni sulla storia diplomatica del XVIII secolo del 1856-57, e altri che non avevano riscosso successo: Per la critica dell’economia politica, del 1859, e Il signor Vogt, del 1860. Tra le pubblicazioni delle quali andava più orgoglioso c’erano, infine, il suo capolavoro, Il capitale, che al tempo era già stato tradotto in russo e in francese, e i più importanti indirizzi e le risoluzioni dell’Associazione internazionale dei lavoratori, della quale era stato il principale organizzatore tra il 1864 e il 1872.
Stipate da qualche parte, c’erano anche alcune copie di riviste e di giornali che aveva diretto da giovane: tra queste il volume degli «Annali franco-tedeschi», del 1844; l’ultimo numero del quotidiano «Nuova Gazzetta Renana», pubblicato in colore rosso prima della vittoria del fronte contro-rivoluzionario, nel 1849; e i fascicoli della «Nuova Gazzetta Renana. Rivista di economia politica», dell’anno seguente.
Accumulati in altre sezioni della biblioteca, si trovavano, poi, decine di quaderni di estratti e alcuni manoscritti rimasti incompiuti. La gran parte di essi era allocata, comunque, in soffitta. Lì erano stipati tutti i progetti ai quali aveva lavorato in diverse fasi della sua vita e che non era riuscito a completare. L’insieme di questo voluminoso ammasso di documenti, parte dei quali, come aveva scritto nel 1859, era stato abbandonato alla «critica roditrice dei topi»9, corrispondeva a un grande numero di taccuini e di fogli sparsi10.
Tra questi vi erano riposte le carte dalle quali sarebbero stati tratti e dati alle stampe due dei testi teorici più letti e dibattuti nel corso del XX secolo: i Manoscritti economico-filosofici del 1844 [1844] e L’ideologia tedesca [1845-46], che fu abbozzata nel biennio successivo alla stesura dello scritto precedente. Marx, che non pubblicò mai «nulla che egli non avesse rielaborato più volte, fino a trovare la forma adeguata», e che affermò che «avrebbe preferito bruciare i suoi manoscritti piuttosto che trasmetterli incompleti»11, di certo sarebbe rimasto molto sorpreso e negativamente colpito della loro diffusione.
La parte più voluminosa e rilevante dei suoi manoscritti restava, comunque, quella relativa a tutte le stesure preliminari di Il capitale, a partire dai Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (i cosiddetti Grundrisse) del 1857-58, fino agli ultimi appunti redatti proprio nel 1881.
La gran parte della corrispondenza che Marx ed Engels solevano chiamare «archivio del partito», si trovava, invece, a casa di quest’ultimo.
Tra tutti questi libri, collocato al centro della stanza, si trovava un divano di pelle sul quale, di tanto in tanto, si adagiava per riposare. Tra i suoi rituali per cercare sollievo dal tempo trasco...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Prefazione
  6. Preludio: «la lotta!»
  7. I. Il fardello dell’esistenza e i nuovi orizzonti di ricerca
  8. II. La controversia sullo sviluppo del capitalismo in Russia
  9. III. I tormenti del «vecchio Nick»
  10. IV. L’ultimo viaggio del Moro
  11. Epilogo: l’uscita di scena
  12. Appendice. Per il pane e per le rose
  13. Cronologia essenziale (1881-1883)