Il linguaggio delle crisi
eBook - ePub

Il linguaggio delle crisi

L'economia tra esplosioni, tempeste e malattie

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il linguaggio delle crisi

L'economia tra esplosioni, tempeste e malattie

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Fin dall'antichità, la continuità dello sviluppo economico è stata interrotta da fasi di crisi. Ma con l'avvento dell'industrializzazione e dell'organizzazione capitalistica della produzione, tali fasi sono diventate più frequenti, e hanno cominciato a manifestarsi con una certa regolarità e con caratteristiche simili tra loro e diverse rispetto ai secoli precedenti. A partire dall'epoca moderna le crisi cominciano a rappresentare un momento di verità per la teoria economica: è in queste fasi cicliche che emergono tutte le difficoltà di funzionamento del capitalismo, cosicché l'interpretazione della crisi diventa parte integrante dell'analisi dei sistemi economici. Parallelamente, ogni rappresentazione teorica dei fenomeni si esprime attraverso un linguaggio che si evolve man mano che le crisi si succedono e ne descrive morfologia e peculiarità. Ecco perché l'analisi del linguaggio usato per descrivere le crisi diventa la chiave che rivela in che modo la crisi è compresa: tanto dagli economisti che dagli attori politici che ne adottano le conclusioni. Bolla, stagnazione, panico, depressione, ciclo, fluttuazione, recessione, terremoto economico, uragano finanziario, febbre speculativa… la scelta del linguaggio per descrivere una situazione, infatti, non è mai neutrale: ciascun termine potenzialmente adatto è carico di significati, ciascuna metafora seleziona certe implicazioni piuttosto che altre. Il libro di Daniele Besomi, attraverso un'analisi storica della trasformazione del linguaggio, offre al lettore gli strumenti critici per orientarsi tra i vari modi di interpretare le crisi. L'autore esplora sia i termini impiegati per descrivere le crisi dall'Ottocento a oggi, sia le metafore utilizzate nella fase formativa delle teorie delle crisi (e più tardi dei cicli economici) per illustrare, al di là dei tecnicismi di cui si ammanta la teoria economica moderna, le visioni fondamentali che stanno alla base delle principali linee interpretative di questi fenomeni proposte dagli economisti.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il linguaggio delle crisi di Daniele Besomi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Politica e relazioni internazionali e Politica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788868436452

Parte seconda. Le metafore delle crisi

Introduzione

«Tutti gli affari fluttuano. Il saggio oscilla con il pendolo del commercio; il folle ci sbatte contro la testa»1.
Le economie industrializzate sono state soggette fin dalla loro nascita, e lo sono tuttora, a crisi più o meno gravi, che hanno coinvolto il settore finanziario, o l’economia reale, o più spesso entrambi. Vi sono state delle prime manifestazioni in questo senso anche in epoche anteriori, che hanno lasciato tracce profondissime e durevoli nell’immaginario collettivo: la mania dei tulipani, il risultato di speculazioni sui bulbi di tulipano in Olanda a partire dal 1634 che hanno portato i prezzi di questi fiori a livelli impensabili, e le bolle speculative del 1719-20 denominate bolla del Mississippi e bolla dei Mari del Sud, legate ai titoli della Compagnia dei Mari del Sud e della Compagnie de l’Ouest (per una lista parziale delle crisi principali si veda l’Appendice). Tutte queste speculazioni hanno coinvolto persone di tutti i ceti e si sono concluse con un collasso finanziario generalizzato. Ma è soprattutto dalla fine del Settecento che simili crisi hanno cominciato a verificarsi con una certa sistematicità e ad affliggere non più mercati locali ma interi sistemi economici, quelli in cui l’industria e il credito erano più avanzati: dapprima l’Inghilterra, poi – dopo la conclusione delle guerre napoleoniche – gli Stati Uniti e la Francia, quindi la Germania, infine l’Italia e via via tutti gli altri.

Il «normale» e le crisi

Con il verificarsi, il diffondersi e il ripetersi delle crisi nasce anche la necessità di darne una spiegazione, con lo scopo di comprenderne le cause e i meccanismi al fine di trovare i rimedi, prevenirle, o quanto meno di minimizzarne le conseguenze negative. Ciò, tuttavia, non è stato facile: la teoria economica dominante, all’inizio dell’Ottocento come oggi, semplicemente non aveva spazio per le crisi. Il funzionamento normale del sistema economico è quello in cui gli affari si svolgono senza intoppi, i flussi di beni e servizi sono sufficienti a garantire l’occupazione di capitale e lavoro. Certo la tecnologia cambia, si scoprono nuovi materiali, si aprono nuovi mercati, gli imprenditori possono sbagliare le loro stime, e soprattutto la politica economica interferisce con l’operare dei mercati. Ma il sistema economico reagisce a queste perturbazioni: se, ad esempio, si investe troppo in un settore e la produzione risulta eccessiva, i prezzi dovranno calare, rendendo il settore meno interessante rispetto ad altri e favorendo una regolazione dei flussi di capitale. In questa prospettiva, le crisi sono fenomeni temporanei, il risultato di frizioni accidentali: un’anomalia nel funzionamento dei sistemi economici, e quindi anche eventi abnormi di cui la teoria economica non ha bisogno di occuparsi. Nelle parole di uno dei fondatori di questa prospettiva, il francese Jean-Baptiste Say, la crisi è una «malattia politica» attribuibile a calamità naturali o all’avidità e l’imperizia del governo (il passaggio completo è citato e discusso nel capitolo 12). Chiameremo questo primo approccio la «prospettiva della crisi», al singolare per indicare che ogni crisi è considerata come un evento a sé, con spiegazioni specifiche che consistono nell’identificarne la causa (o l’insieme di cause) individuale, e il cui rimedio consiste nell’eliminare l’elemento di disturbo.
Un secondo approccio alle crisi, che ha avuto un certo seguito nel secondo quarto dell’Ottocento ma che ancora sopravvive, in forma modificata, nell’approccio dominante della teoria economica contemporanea, considera le crisi come il risultato delle normali fluttuazioni dell’attività produttiva. Anche a prescindere dalle interferenze politiche, sia la domanda che l’offerta di beni mutano in continuazione. I meccanismi di mercato solitamente tendono a livellare queste oscillazioni. Tuttavia, può accadere che, per ragioni accidentali, diverse di queste fluttuazioni si sovrappongano, così che il loro effetto si cumuli invece di smorzarsi in tempo breve. Oppure dei meccanismi istituzionali possono interferire con le normali fluttuazioni e amplificarle. Questa prospettiva, che chiameremo delle «fluttuazioni», condivide con la precedente l’idea che il sistema economico tende verso uno stato di equilibrio, ma ammette tuttavia che questo è periodicamente soggetto a oscillazioni sostenute, che sono parte della natura del sistema economico.
Nella seconda metà dell’Ottocento predominava un altro approccio, che chiameremo delle «crisi ricorrenti». L’evidenza storica (crisi nel 1793, 1797, 1816, 1825, 1836-39, 1847, 1857, 1866: per indicazioni sulle principali tra esse si veda l’Appendice) suggeriva che crisi violente tendono a susseguirsi più o meno ogni 10 anni, e seguendo modalità molto simili tra loro, indipendentemente dal fattore scatenante. In questa prospettiva, le crisi erano da vedere come eventi sistematici, che sembrano necessari (seppure non desiderabili) per il progresso dell’economia. Lo stato normale del sistema è la prosperità, ma questa tende a indurre in eccessi – in particolare speculativi, favoriti dalle concessioni di credito che permettono di espandere l’attività produttiva e commerciale al di là dei limiti ragionevoli –, che inevitabilmente si dimostrano insostenibili e devono essere eliminati, cosa che avviene appunto durante le crisi. Le crisi, dunque, sono parte della natura del capitalismo, ed è necessario dare una spiegazione del loro ruolo (non più unicamente negativo, come nell’approccio delle «crisi») e delle leggi cui sono soggette.
Alla fine dell’Ottocento, la prospettiva dominante si ribalta un’altra volta. La ricerca delle leggi delle crisi si è evoluta in ricerca delle leggi complessive del movimento della produzione e della domanda. Lo stato normale del sistema economico non è più la prosperità, né potrebbe esserlo la crisi, ma è il movimento nel suo insieme, il ciclo in cui si alternano sistematicamente fasi di prosperità, che degenerano in crisi (o in meno drammatiche recessioni), le cui conseguenze sono periodi di depressione che tuttavia generano le condizioni per movimenti di ripresa che portano a una nuova prosperità. I teorici delle «crisi ricorrenti» spiegavano il nascere, l’esplodere e il decorso delle crisi, ma non si preoccupavano di chiedersi come tutto questo poi rilanciasse l’economia in una nuova ripresa, visto che la prosperità, essendo lo stato «normale» del sistema, non ha bisogno di una spiegazione particolare. I teorici dell’approccio dei «cicli», invece, hanno chiuso il cerchio causale. E hanno anche reinterpretato le crisi: dapprima sono divenute il semplice punto di svolta dalla prosperità alla depressione, poi sono state eliminate dal quadro teorico, poiché non vi è alcuna necessità che l’inversione avvenga in modo violento. Il ciclo è rappresentato con una curva sinusoidale, liscia e armoniosa; le crisi, se avvengono, sono di nuovo un’anomalia – non più rispetto alla prosperità, ma rispetto al movimento ciclico complessivo.
A partire dalla metà del XX secolo si pongono le condizioni per una nuova interpretazione del fenomeno, che chiameremo prospettiva «del caos». Le teorie del ciclo formulate a partire dall’inizio degli anni trenta e sviluppate successivamente erano basate su equazioni matematiche che esprimevano il valore di qualche variabile in un certo istante come funzione del valore della medesima o di altre variabili in istanti diversi, e/o di derivate di qualcuna di queste. Le prime versioni di queste equazioni differenziali erano lineari, e la loro soluzione consisteva in uno spettro molto limitato di movimenti nel tempo delle variabili coinvolte: di tipo esponenziale, o di tipo ondulatorio (ma in cui oscillazioni persistenti erano un caso matematicamente improbabile), o una combinazione di questi effetti (quindi oscillazioni smorzate oppure crescenti all’infinito). Con l’introduzione di equazioni non lineari, a partire dagli anni cinquanta, il campo delle possibili soluzioni si è ampliato, includendo oscillazioni persistenti (adatte alla descrizione del ciclo economico) ma anche movimenti caotici. Per quanto questi movimenti possano esteriormente somigliare a fluttuazioni casuali, in realtà benché essi non mostrino una periodicità ben definita sono comunque deterministici, cioè dettati dalle relazioni tra le variabili del sistema e non da eventi esterni accidentali, e comportano l’instabilità del punto di equilibrio.

Crisi e metafore

Naturalmente quella appena svolta è una schematica e sintetica ricostruzione a posteriori dei dibattiti attorno alle teorie delle crisi: le idee non erano poi così chiare nel momento in cui si cominciava a discutere del fenomeno e gli schieramenti, da una parte e dall’altra, non erano così netti e consapevoli. E questo da parte non solo di coloro che lavoravano nel settore (come banchieri, mercanti, politici e alcuni operai) ma anche – cosa non certo meritoria, come osservava Schumpeter2 – da parte degli studiosi, i quali solo occasionalmente hanno affrontato il tema della relazione tra crisi e stato normale del sistema, nonostante questo sia il perno attorno a cui ruota l’interpretazione del fenomeno.
Tuttavia, il linguaggio impiegato nella descrizione di questi fenomeni è rivelatore della concezione delle crisi che avevano coloro che lo descrivevano. Come detto, la teoria economica dominante descriveva il sistema come tendente verso uno stato normale e ottimale, così che non esistevano uno spazio teorico dove collocare le crisi né il linguaggio analitico per descriverle. Per questo, molto spesso, veniva imboccata la strada delle metafore, trasferendo proprietà di fenomeni ben conosciuti ai nuovi concetti. Ciò avvenne soprattutto agli albori della riflessione sulla crisi, quindi nell’Ottocento, quando frequente era il ricorso a metafore e similitudini non tanto come elemento retorico, quanto proprio come espediente euristico e comunicativo fondamentale, che permetteva di esprimere e articolare un pensiero altrimenti muto. Chiamare la crisi «tempesta finanziaria», per esempio, attribuisce all’oggetto «crisi» le proprietà (o almeno alcune di esse) dell’oggetto «tempesta»: non si dice che la crisi è una tempesta, ma che una parte delle caratteristiche delle tempeste e dei ragionamenti che si applicano a questi fenomeni meteorologici si possono applicare anche alle crisi. Ciò aiuta da un lato lo scrivente a elaborare un proprio ragionamento sulle crisi, e dall’altro il lettore a trasferire all’oggetto «crisi», che non comprende bene, le proprietà dell’oggetto «tempesta» con cui invece è più familiare.
Nei capitoli di questa seconda parte esamineremo alcune delle maggiori famiglie di metafore usate per descrivere le crisi economiche nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento, l’epoca cioè in cui si è cominciato a registrare l’occorrere, poi il ripetersi, e infine il concatenarsi delle crisi, e a darne le interpretazioni fondamentali che ancora oggi stanno alla base delle principali rappresentazioni teoriche del fenomeno. Naturalmente il linguaggio analitico si è evoluto parecchio dopo il lavoro dei pionieri: mentre fino al primo Novecento le trattazioni erano verbali, talvolta arricchite da qualche tabella o grafico, a partire dal terzo decennio del XX secolo la matematica ha preso il sopravvento, ed è diventata la forma ma anche la sostanza del ragionamento economico. Tuttavia, salvo l’aggiunta della prospettiva «del caos» e delle dinamiche complesse, i modi di interpretare il fenomeno sono rimasti sostanzialmente immutati, tanto che molte delle metafore dell’Ottocento si ritrovano quasi invariate anche nelle discussioni sulla crisi finanziaria del 2008. Sebbene se non esploreremo sistematicamente il linguaggio figurato del XX secolo, una breve sintesi delle principali metafore e similitudini adottate nell’Ottocento è sufficiente per avere un quadro del modo in cui si rifletteva sulla crisi non solo nel XIX secolo ma anche ai giorni nostri.

La rete metaforica

Di ciascun gruppo di metafore mostreremo i diversi usi, discutendo come siano consonanti con l’uno o con l’altro, e talvolta più d’uno, dei quattro approcci delineati sopra, a seconda delle proprietà che si vogliono trasferire dal dominio di partenza a quello di arrivo. Questo ci permetterà di delineare più in dettaglio le caratteristiche delle diverse prospettive interpretative cui abbiamo accennato.
Per inquadrare l’approccio dei capitoli successivi, va tenuto presente che una relazione metaforica (ma lo stesso vale anche per le similitudini e le analogie, che accorpiamo dunque per convenienza nella medesima categoria) si compone di tre elementi. Consideriamo la frase «la tempesta commerciale ha lasciato dietro di sé una scia di rovine». La crisi – pur non essendo esplicitamente nominata è chiaramente oggetto del confronto – è paragonata a una tempesta per la sua forza distruttrice. La tempesta è il dominio sorgente, il dato reale su cui poggia la metafora, la fonte del confronto. La crisi è il dominio obiettivo: l’oggetto al quale vengono trasferite alcune delle proprietà del dominio sorgente. La proprietà stessa, il tertium comparationis, è in questo caso la capacità distruttiva della tempesta. Talvolta le proprietà da trasferire non sono specificate: in tal caso, l’autore lascia al lettore il compito di decidere quali proprietà della sorgente siano pertinenti per descrivere l’obiettivo, correndo il rischio (ma anche creando l’opportunità) che il lettore scelga di applicare all’obiettivo proprietà diverse da quelle a cui pensava lui stesso. Il rischio è che il trasferimento non sia pertinente; l’opportunità consiste nel gettare una luce completamente nuova, impensata, potenzialmente feconda, sul dominio obiettivo.
Ovviamente ciascun dominio sorgente è caratterizzato da molte proprietà (per esempio, una tempesta può essere distruttiva ma anche rigenerativa, improvvisa ma anche prevedibile); e così per il dominio obiettivo. Ciascuna proprietà può caratterizzare più di un oggetto (per esempio, se si vogliono qualificare le crisi come distruttive si può ricorrere ad altro oltre alle tempeste: terremoti, esplosioni e valanghe producono il medesimo risultato). Questo significa che le metafore costituiscono un fitto reticolo, un serbatoio di proprietà dal quale diversi autori possono attingere in vari modi. Le scelte naturalmente non sono neutrali: dipendono dal contesto, dal tipo di prospettiva che si ha sull’oggetto, e pertanto illuminano il contesto e la prospettiva stessa.
Lo scopo dei capitoli seguenti è appunto quello di mostrare, attraverso l’uso specifico delle metafore della crisi, il modo in cui le associazioni metaforiche caratterizzano le crisi nei quattro principali approcci interpretativi sviluppati nelle fasi iniziali delle riflessioni sul fenomeno.

Nota bibliografica

L’anonima citazione in esergo è tratta da A Cambridge Fruit Farm, in «The Ludgate», VIII, novembre 1894, pp. 87-92. Il passaggio di J. B. Say è tratto dal Traité d’économie politique ou simple exposition de la maniere dont se forment, se distribuent et se consomment les richesses (2a ed., Antoine-Augustin Renouard, Paris 1814; trad. it. Trattato di economia politica o semplice esposizione del modo col quale si formano, si distribuiscono e si consumano le ricchezze, Stamperia del Ministero della Segreteria di Stato, Napoli 1817). Il giudizio di Schumpeter si trova nella History of Economic Analysis (Allen & Unwin, London 1954; cit. dall’edizione Routledge, London 2006).
Le quattro prospettive sulle crisi sono discusse più estesamente in D. Besomi, «Periodic crises». Clément Juglar between Theories of Crises and Theories of Business Cycles, in «Research in the History of Economic Thought and Methodology», XXVIIIA, 2010, pp. 169-283.
1 «All businesses fluctuate. The wise man swings o...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione. Semantica e metaforologia delle crisi
  6. Parte prima. Il vocabolario delle crisi
  7. Parte seconda. Le metafore delle crisi
  8. Appendice. Cronologia delle principali crisi economiche e finanziarie