La città dell'acciaio
eBook - ePub

La città dell'acciaio

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La città dell'acciaio

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Due secoli e una città. Attraverso l'uso magistrale delle sue fonti predilette – le testimonianze orali – Alessandro Portelli porta a compimento, con questo libro di sintesi, una ricerca storica di grande respiro, perseguita lungo il corso di quarant'anni: oltre duecento interviste che coprono almeno un secolo, dai più anziani, nati prima del 1890, ai più giovani, nati dopo il 1980. Tra la piccola dimensione urbana e l'incombente mole dell'impianto siderurgico, si muove il protagonista collettivo di questa storia: la classe operaia di Terni, forte delle sue memorie risorgimentali, legata a filo doppio alla nascita della grande industria, ai suoi complessi sviluppi, e alla fine alla sua crisi fatale. Due secoli di un'Italia che passa dall'universo rurale a quello postindustriale attraverso la storia, epocale ed effimera, complicata e a suo modo esemplare, della rivoluzione industriale e delle sue culture. Si assiste così, seguendo il racconto scandito dalla voce dei protagonisti, dapprima alla formazione di una centralità industriale che sembrava invincibile, e poi al suo declino, preparato dal sistematico smantellamento, pezzo dopo pezzo. Insieme alla fabbrica, è un mondo intero ad andare in frantumi, con il progressivo e inesorabile sfaldamento di un'identità operaia che aveva nella dimensione collettiva della condivisione e della lotta la sua modalità di espressione privilegiata. e l'affresco corale prende forma attraverso i dettagli puntuali e minuti, potenti e precisi, della storia orale, delle memorie personali, della vita quotidiana, che ci proiettano all'indietro verso il Risorgimento e la formazione della nazione, e al tempo stesso in avanti, verso un futuro globale nebuloso e imperscrutabile.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a La città dell'acciaio di Alessandro Portelli in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Storia e Storia mondiale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788868436971
Argomento
Storia

Parte prima

Biografia di una città

I. Il rosso e il nero

1. «A Terni dove fu l’appuntamento»1.

Elchide Trippa2. «Questa è la storia vera, perché è la storia che mi è stata tramandata, de la tradizione, da mio nonno. Mio nonno mi raccontava che suo padre gli aveva detto che il nonno, carbonaro nei moti 1827-1831 a Napoli, maestro di corte a Napoli, dovette scappare. Dovette scappare, rifugiarsi prima nelle Puglie e poi traversare il confine del Regno delle Due Sicilie con lo Stato pontificio, rifugiarsi qui – esattamente a Collestatte. Che, io credevo che ci fosse qualcosa di romanzato; invece mio nonno era perfetto, corretto, una memoria lucidissima. Sapeva a memoria la Divina Commedia. Mi diceva esattamente dove suo padre gli aveva detto di avere attraversato il confine, con la località, con precisione, eccetera. Dopo la guerra, quando ho avuto modo di constatare se effettivamente le cose erano andate così come mi erano state raccontate, io ho fatto un paio d’ore di marcia, di montagna, sono andato al Salto del Cieco, e ho constatato di persona quello che mi aveva detto mio nonno. Il confine, con il cippo che divideva il Regno di Sicilia dallo Stato pontificio, eccetera. Quindi non ho motivo di dubitare delle parole di mio nonno».
Quando l’esule carbonaro si rifugia a Terni, si trova in una «città di seconda classe», un borgo agricolo del circondario di Spoleto che conta meno di diecimila abitanti3. «In fondo tutti i nostri signori, i Simonetti, i Setacci, i Manassei, erano agricoltori; potevano avere un titolo, però erano gente che viveva in campagna. C’erano delle case signorili; però anche queste… non erano delle residenze brillanti» (Ilario Ciaurro)4. Uno dei primi atti del governo pontificio (cui i francesi restituiscono la città nel 1815) è una distribuzione di pane chiamata «sfamo del popolo». Nel 1816 infuria il tifo petecchiale; l’assistenza consiste nelle elemosine del clero e dei nobili.
Arnaldo Lippi5. «Mia nonna, pe’ trovare un chilo di pane – andavano allora nelle case patrizie a pigliare il sabato il centesimino, come s’usava. Allora. Questo lo sapete: che Manassei, Castelli, ogni sabato davano l’elemosina. Mia nonna faceva la coronara, ovverosia infilava le corone che poi vendevano nelle feste; faceva lo stallaggio, quando portavano li fasci delle legna, i mazzi delle legna a vendere. Allora non avevano altre cose, di conseguenza dovevano comprarla dai somari che la portavano giù dalle macchie. Quando questi scaricavano, vendevano la legna, portavano lì lo stallaggio, pagavano un soldo, e mia nonna ce faceva il letame, e lo soldo. E fra tanto infilava le corone – era una bestemmiatrice, un’atea per eccellenza. Poi se dice che mio nonno fosse anarchico, il padre de mio padre. Era calzolaio. Faceva magna’ la carne ai figli quando se scapicollava un cavallo; ch’annava co’ lo coltello da carzolaio allo scortico che stava fòri porta Romana. De quelli de la cavalleria: cascavano, e allora magnavano la carne. Se no, la carne no’ la conoscevano».
Attorno al 1830, Terni è un intrico di viuzze, orti, pochi palazzi, molte chiese, poco pulita e male illuminata. Dal 1850 diventa capoluogo di distretto; nel 1853 ha tredicimila abitanti, un lanificio, una ferriera, che spiccano nel pulviscolo di mole, concerie, filande6. «Mi’ nonna, è morta a novantun anno, porettella, scappava7 alle cinque, perché li signori de Terni glie facevano di’ le messe pe’ li morti, pe’ l’animaccia loro. Glie davano cinque sòrdi, dieci sòrdi, capito? E tutte le mattine quella poretta annava lì in San Pietro e lì San Francesco – a di’ le preghiere. Poi se moriva uno de loro, te davano un soldo a figlio, du’ soldi a figlio, pe’ portàlli al camposanto, pe’ fa’ vede’ che la gente era tanta, che erano persone altolocate. Le persone accidenti che se li spacca. Li signori insomma, in poche parole» (Aurora)8.
«Non potevamo crescere che ribelli, con nonne simili» (Arnaldo Lippi). Situata al confine e collegata con Roma attraverso la valle del Tevere, la Flaminia e la Salaria, Terni è un luogo naturale di agitazione risorgimentale. Nel 1831 i moti culminano con un fallito attacco alla roccaforte papalina di Rieti; nel 1847 c’è una rivolta «contro il clero e gli aristocratici, responsabili della carestia e della fame»9. Fra i protagonisti è Giovanni Froscianti, piccolo possidente di Collescipoli. «Se doveva fa’ prete, e venne via dal convento. Non disse il perché; soltanto che, se vede che non aveva più quella fede. Ci stava la taglia; se dette alla macchia. E sopra il campo passò Garibaldi; e andò con Garibaldi» (Alba Froscianti)10. In realtà, Froscianti incontrò Garibaldi solo nel 1849 a Roma, e ne divenne stretto compagno d’armi. Decine di ternani, soprattutto da Collescipoli, accorrono alla difesa di Roma: Pietro Faustini, futuro sindaco, è tra i responsabili delle fortificazioni. Dopo la caduta, Garibaldi è accolto trionfalmente a Terni. Un nucleo di cospiratori che fa capo al conte Federico Fratini organizza nel 1853 un tentativo insurrezionale che Fratini sconterà con tredici anni nelle carceri pontificie.
Una notte… alzammo in piazza un palo lungo almeno quindici metri che i carbonari erano andati a tagliare vicino a Stroncone e in cima vi mettemmo il tricolore. La mattina appresso tutti lo guardavano sbalorditi e molti si domandavano che cosa significasse quella bandiera.
Due giorni dopo vennero tanti spagnoli (i soldati borbonici), tolsero l’albero e poi cominciarono a perquisire facendo molti arresti. Ma una sera, in piazza, dei graduati di quella truppa vennero a lite con gli «italiani» (così venivano designati i seguaci del movimento insurrezionale) e molti spagnoli, trovati ubriachi nelle bettole, furono agguantati e gettati nei pozzi11.
Arnaldo Lippi. «A Terni s’usava dire, i carbonari. E già lottavano per l’unità d’Italia, e erano le prime idee ancora non chiare, mazziniane, che Terni è stata una culla di questo. Tant’è vero che l’ultimo ghigliottinato a Terni dal papato è uno che gli dicevano Sorcino; e ammazzò il prete de Montefranco. Era uno di quei carbonari che cospiravano per l’unità d’Italia. Magari va sotto la condanna della chiesa come un bandito, ma non era un bandito. Tanto è vero che in un piccolo caffè a corso Vittorio Emanuele avevano tutto preparato: quando loro commettevano l’atto di dare una schioppettata a questo prete, quelli che oggi chiamiamo compagni, allora se saranno chiamati amici, erano già d’accordo, diedero un [alibi] falso. Questa è storia ternana, perché a me me l’ha raccontata mio padre, il quale era del 1860, e tra questi c’era un suo parente, un suo zio, che fu anche lui incarcerato, fece dodici anni nel carcere. Gli esecutori furono Sorcino e un compagno; il compagno se convertì, lo ghigliottinarono in via Castelli, noi lo chiamavamo in Castello. E Sorcino fu ghigliottinato per secondo. A raccontare questa cosa sembra ’na cosa da favola12. Voi sapete che questi non potevano essere sotterrati nelle chiese, e dovettero sotterrarlo alla Passeggiata, i giardini pubblici. Allora, in questo bosco, non ce si poteva andare perché ci veniva l’anima errante di Sorcino».
Ilario Ciaurro. «Ricorro a un ricordo. Una bettola, un’osteria, che si chiamava Scocciapiatti. Era sul piazzale antistante la Passeggiata, e ci andavano carrettieri, eccetera. Una sera c’erano piccoli clienti, un calzolaio, un barbiere… che raccontavano del fantasma. E dicevano: “Sai, la lattàra de San Martino ha visto il fantasma e ha fatto in tempo a corre a casa per abortire, da lo spavento”; due soldati, che erano stati presi dal tremito perché avevano visto il fantasma. E allora, questo personaggio che allora era un po’ in vista, ed era un muratore, un capomastro, il quale stava a senti’ ’ste storielle che dicevano questi signori, a un certo punto si alza, annoiato, paga, accende il sigaro e se ne va. E va lì alla Passeggiata».
Arnaldo Lippi. «Dunque, lo zio di mio padre – era un Viola di cognome – quando uscì che scontò la pena, gli dissero li carbonari che nella Passeggiata si vedeva l’anima errante di Sorcino. Al che lo zio di mio padre disse: “Be’, ce vado io a trovàllo. Eh! ce conoscemo tanto bene, semo stati cospiratori assieme…”. Così che, partì. E, va a l’appuntamento per vedere. Veniva su da questi vicoli; a un certo punto, quando arriva su la prima curva, c’è uno stradone tutto dritto che arriva fin a do’ stavano i conventi, vede qualche cosa di bianco. Si dice, la leggenda, si dice che tra le piante secolari che c’erano, siccome era ’na serata di luna, tra gli alberi ci fosse una penetrazione d’un riflesso lunare. E proprio in questo momento, aleggiava questo coso bianco, per fare paura».
Ilario Ciaurro. «A mezzo viale incomincia a vedere il fantasma. Lui seguita a camminare; quando si fa sotto a questa visione, questo lenzuolo che si agitava nella notte, il fantasma prende voce: “Non t’accosta’, Violo’, no’ lo vedi che so’ ’n fantasma?” Allora, Violone vedeva le scarpe sporche de calcina: era un muratore. “E da quand’è che li fantasmi fanno li muratori?” Violone aveva messa ’na stangarella sott’a le braccia; dà ’na stangarellata, il fantasma se divincola per terra, in mezz’a ’sto lenzolo. “Sta bòno Violo’, lo faccio pe’ li figli, perché se fa pe’ la pagnotta…”. Dice, “la pagnotta te la pòli guadagna’ andando a lavorare”. Lo tira su e l’arporta lì all’osteria. “Dàteje da béve che ha bisogno. Che domattina se no’ stai su lo lavoro, so’ per te”. Questa è la storiella. No’ l’ho inventata io: l’avrei voluta inventare io perché è carina».
Nel 1860 entrano a Terni i piemontesi accolti dai canti delle operaie del lanificio: «O dolce Napoli ti sei commosso/ che Garibaldi ti salta addosso/ con cento pezzi d’artiglieria/ Italia mia, Italia mia»13. Nel giugno 1867, dalla casa di Pietro Faustini partono centocinque uomini: quelli che non sono fermati prima del confine dalle truppe italiane vengono rastrellati subito dopo dagli zuavi pontifici. Il 13 ottobre, Menotti Garibaldi guida una colonna verso Montelibretti; il 20, a casa Fratini, i fratelli Cairoli danno l’appuntamento per l’impresa di Villa Glori; il 22, Giuseppe Garibaldi raccoglie a Terni i volontari diretti a Monterotondo e Mentana, dove muoiono diciassette ternani14.
Isolina Bastoni15. «Nonna era socialista; ha combattuto sempre per l’idee sue. Lei era figlia di contadini; era proveniente da Ravenna. Invece la famiglia dei Bastoni erano ricchi, ciavevano pure due cardinali in famiglia, e un vescovo. Insomma tutti quanti preti; invece il padre de papà mio era l’unico che era garibaldino. Se mise co’ Garibaldi; e parti’ co’ Garibaldi il giorno che ha sposato la nonna mia. Quattordici anni, nonna, ciavèa; e lui ce n’aveva diciotto. Se so’ sposati de nascosto, perché la famiglia de lui non voleva, che questa era ’na contadina, lavorava coll’aratro sui campi, no. [Dopo sposati] allora, lui dice che era andato a pija’ la carne. Se veste, dice, “Vado a pija’ la carne, vai a casa, aspettame”. E invece lui ha incontrato Garibaldi con tutta la squadra sua, che partivano pe’ la Sicilia. E lui ha preso, è annato giù in Sicilia. Questa cristiana è rimasta tre giorni dentro casa, aspettando il marito ch’era annato a pija’ la carne. E poi, dopo lo terzo giorno, ha chiamato, dice, “buttateme giù la porta perché io sto chiusa qua dentro”. E insomma nonno è tornato dopo ’n so quanto. Aveva combattuto. Poi dopo l’hanno diseredato dalla famiglia: dice, “non vojo gnente”. Difatti è venuto a Terni».
Garibaldi è sempre in opposizione alla famiglia: «Garibaldi voleva tutte persone che non avessero moglie, che non fossero ammogliate», dice un altro nipote di garibaldino; i fratelli Trinchi «si arrolarono con Garibaldi di nascosto dai genitori: lasciarono una lettera e andarono tutti con Garibaldi» (Agata Trinchi)16. Per la causa, Giovanni Froscianti fece «dissanguare» la famiglia. «Gente un pochino esaltata, senza regolarità di cose», seguaci di «un brigante fortunato», come dice il parroco di Collescipoli Gino Paiella17, i garibaldini rompono con casa e chiesa per lanciarsi in un’avventurosa storia di vagabondaggio ribelle. Ma col tempo queste memorie di liberazione dalla famiglia si trasformano in memorie di fondazione della famiglia: «Tante volte mi dicono che con Garibaldi ci sono andate soltanto, così, la gente un po’ avventurosa, un po’… Non è vero, perché la famiglia nostra non era così. Ci sono andati perché sentivano il desiderio di questa causa patriottica» (Agata Trinchi). «Quando presero il tesoro borbonico, lì in Sicilia, [Froscianti] dormiva sopra una cassa; e il padre de mio marito glie diceva, “zio, bastava che avessi preso un sacchetto…”. E lui, dice, “te sembrava che noialtri, da esse uomini da fare queste cose?”» (Alba Froscianti). «Dunque, che viene portato come cosa di cui ci gloriamo – dice Silvia Bonifazi18, pronipote di Federico Fr...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. La gente a cui devo qualcosa
  6. Introduzione. Proprietà di linguaggio
  7. Parte prima. Biografia di una città
  8. Parte seconda. Acciai speciali